C'era una volta
e c'è ancora chi abusa del proprio potere per comportarsi in modo arrogante, legato alla massima di Niccolò Machiavelli (1469-1527) "Uno
principe, e tutti li altri servi."
Un comportamento che ha ispirato il poeta dialettale Giuseppe Gioachino Belli (1791-1863) quando scrisse "I sonetti romaneschi" e in particolare "Li soprani
der monno vecchio" (21 gennaio 1832).
Li soprani der monno vecchio | I sovrani del vecchio mondo |
C'era una vorta un Re cche ddar palazzo
Mannò ffora a li popoli st'editto: «Iö sò io, e vvoi nun zete un cazzo, Sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto. Io fo ddritto lo storto e storto er dritto: Pòzzo vénneve a ttutti a un tant'er mazzo: Io, si vve fo impiccà, nun ve strapazzo, Ché la vita e la robba Io ve l'affitto. Chi abbita a sto monno senza er titolo O dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore, Quello nun pò avé mmai vosce in capitolo». Co st'editto annò er boja pe ccuriero, Interroganno tutti in zur tenore; E arisposeno tutti: E' vvero, è vvero. |
C'era una volta un Re che dal palazzo
mandò in piazza al popolo quest'editto: «Io sono io, e voi non siete un cazzo, signori vassalli invigliacchiti, e silenzio. Io cambio le cose da un modo all'altro e viceversa: Io vi posso vendervi tutti a poco prezzo: Io se vi faccio impiccare non vi faccio torto, Visto che Io ho il potere di darvi la vita e quello con cui vivere. Chi vive in questo mondo senza possedere una carica o del Papa, o del Monarca o dell'Imperatore, non potrà mai avere voce in capitolo». Con tale editto il boia si recò come portavoce, chiamando all'attenzione tutti quanti a gran voce; e il popolo intero rispose: E' vero, è vero! |
Il re dichiara dunque i suoi pieni poteri, senza preoccuparsi delle eventuali contestazioni. E' la realtà del tempo di Gioachino Belli, quando lo Stato
Pontificio era retto da papa Gregorio XVI, soggetto ai moti che attraversavano tutta la penisola tanto che fu richiesto l'intervento dell'esercito austriaco: la
Roma papale era dominata dalla violenza, dai soprusi, dal potere assoluto e dall'arbitrarietà della classe nobiliare, nei confronti di sudditi supinamente
sottomessi.
Pochi anni dopo, nel 1848, ci sarebbero stati i moti rivoluzionari per ottenere libertà politica e uguaglianza sociale ed economica.
Il tema sarà ripreso dal regista Mario Monicelli nel 1981, quando farà interpretare da Alberto Sordi il ruolo del marchese del Grillo nell'omonimo film e
riprenderà la terza riga del sonetto, rendendola celebre.
Nel film il nobile Onofrio del Grillo, personaggio storicamente esistito, si era recato in un'osteria e, grazie al suo rango, era stato risparmiato dall'arresto
dopo una rissa: con quella frase giustifica ai popolani il diverso trattamento.
Onofrio nacque a Fabriano, nello Stato Pontificio, il 5 maggio 1714. Il padre Giacinto, di origine genovese, apparteneva a un ramo cadetto della famiglia, senza
nobiltà e in ristrettezze economiche. Con l'aiuto dello zio Bernardo si laureò in legge a Urbino e successivamente si trasferì presso di lui, a Roma. Nel 1757 lo
zio morì lasciandogli una cospicua eredità e il 4 giugno dello stesso anno sposò una nobildonna romana (in poco tempo avrebbe dilapidato la dote e l'eredità).
Ereditato titolo nobiliare e relativi diritti, nel 1758 fu eletto consigliere capitolino, ma poi ne fu allontanato. Nel 1771 tornò agli incarichi pubblici e
durante il conclave seguito alla morte del papa Clemente XIV (12 settembre 1774), durato cinque mesi, compì e lasciò compiere numerosi abusi nella tassazione della
popolazione ebraica. A seguito dei numerosi reclami furono sostituiti i responsabili nominati da Onofrio, ma quest'ultimo rimase a capo della Camera Capitolina
anche quando il 15 febbraio 1775 fu eletto papa Pio VI, che lo nominò addirittura suo cameriere segreto.
Onofrio, prototipo del patrizio romano papalino, sprezzante del popolo, crudele con gli ebrei, morirà a Fabriano il 6 gennaio 1787.