Le Scienze – marzo 2001
Venditori, politici, amici e familiari hanno tutti bisogno di farvi accettare le loro richieste. La psicologia sociale ha individuato i principi base dell'arte
di far dire di sì.
E' ormai più di mezzo secolo che i processi attraverso cui si realizza l'influenza sociale vengono studiati scientificamente. L'inizio può essere fatto risalire
all'attività di propaganda, informazione e persuasione realizzata nel corso della seconda guerra mondiale. Da allora, numerosi psicologi e sociologi hanno indagato
i modi in cui un individuo può influenzare gli atteggiamenti e le azioni di un altro soggetto. Negli ultimi 30 anni ho concentrato la mia attenzione sui principali
fattori che determinano una particolare forma di cambiamento nel comportamento: il consenso a una richiesta.
Sono sei i fattori fondamentali del comportamento umano che entrano in gioco nel produrre una risposta positiva: la reciprocità, la coerenza, la convalida
sociale, la simpatia, l'autorità e la scarsità. Dato che questi fattori concorrono a regolare i rapporti di lavoro, l'impegno sociale e le relazioni personali, la
conoscenza delle regole della persuasione può essere vista come uno strumento di affermazione personale.
Reciprocità
Quando l'Organizzazione statunitense dei veterani invalidi invia lettere con richieste di contributi, le risposte positive non superano il 18 per cento. Ma
quando la lettera acclude in omaggio un pacchetto di biglietti da visita personalizzati, la percentuale arriva quasi al 35 per cento. Per capire l'effetto prodotto
dal regalo non richiesto, dobbiamo riconoscere la portata e la forza di una regola essenziale del comportamento umano: il codice di reciprocità.
Tutte le società prevedono una norma che obbliga gli individui a ripagare ciò che hanno ricevuto. E' stata probabilmente la pressione evolutiva a inculcare in noi,
in quanto animali sociali, questo comportamento. La reciprocità può dare una prima spiegazione alla crescita di donazioni verso i gruppi di veterani. Ricevere un
dono - non sollecitato e forse nemmeno desiderato – ha convinto un notevole numero di potenziali donatori a restituire il favore.
Ma non sono certo solo le organizzazioni umanitarie a usare questo metodo: i negozi alimentari, per esempio, offrono assaggi gratuiti e i centri estetici sedute
gratuite. I consumatori sono così «esposti» al prodotto o servizio, ma al contempo sono anche in debito. E i consumatori non sono gli unici a finire nel
mirino della reciprocità. Le case farmaceutiche spendono ogni anno milioni di dollari per finanziare ricercatori e per fare regali a singoli medici, attività che
possono esercitare una subdola influenza sui risultati degli uni sulle prescrizioni degli altri. In uno studio pubblicato nel 1998 sul «New England Journal of
Medicine», si afferma che solo il 37 per cento dei ricercatori che avevano pubblicato articoli critici sulla sicurezza dei calcioantagonisti aveva ricevuto
finanziamenti da importanti industrie farmaceutiche. Tra i ricercatori che si schieravano in favore della loro sicurezza, invece, la percentuale di coloro che
avevano goduto di viaggi gratuiti, di finanziamenti o di offerte di lavoro schizzava a 100.
La reciprocità non riguarda solo doni e favori; si applica anche alle concessioni che le persone si fanno l'una con l'altra. Supponiamo che vi opponiate a una mia
richiesta particolarmente onerosa e che io vi faccia una concessione riducendo il peso della richiesta. A quel punto è possibile che voi ricambiate con una
concessione da parte vostra: l'accettazione della richiesta meno impegnativa. Alla metà degli anni settanta condussi assieme ad alcuni colleghi un esperimento che
evidenziava la dinamica delle concessioni reciproche. Fermavamo un campione casuale di passanti e domandavamo loro se sarebbero stati disposti a trascorrere una
giornata allo zoo con alcuni reclusi di un carcere minorile. Come ci aspettavamo, furono in pochi a dare la loro disponibilità: il 17 per cento.
Con un altro campione di passanti, invece, partimmo da una richiesta ancora più gravosa: prestare per due anni la propria opera gratuita in qualità di
consigliere di quello stesso carcere due volte alla settimana. Nessuno, in questo campione, accettò la proposta. A quel punto offrimmo loro una concessione.
«Se questo non le è possibile - dicevamo - sarebbe disposto ad accompagnare per una giornata allo zoo qualche detenuto del carcere minorile? » La nostra
concessione funzionò da potente stimolo a concessioni di ritorno. Rispetto alla richiesta secca, la percentuale di consensi arrivò quasi a triplicare, sfiorando il
50 per cento.
Coerenza
Nel 1998 Gordon Sinclair, proprietario di un noto ristorante di Chicago, era alle prese con un problema che affligge tutti i ristoratori. Spesso i clienti
prenotano, ma poi non si fanno vedere, e senza disdire. Sinclair suggerì alle telefoniste di modificare leggermente quanto dicevano a chi chiamava per riservare un
tavolo. Ciò bastò a far scendere dal 30 al 10 per cento il tasso di mancato rispetto della prenotazione.
Il piccolo cambiamento era efficace perché metteva in gioco un'altra potente motivazione umana: il desiderio di essere, e apparire, coerenti. L'addetta al telefono,
invece di dire «La prego di chiamare se dovesse cambiare programma», chiedeva «Sarebbe così gentile da chiamare se dovesse cambiare
programma?». A quel punto, faceva una pausa educata e aspettava una risposta. L'attesa era decisiva perché induceva i clienti a colmare la pausa con un
impegno esplicito. E gli impegni pubblici, anche quelli apparentemente minori, indirizzano l'azione futura.
Un altro esempio: Joseph Schwarzwald e collaboratori alla Bar -Ilan University, in Israele, riuscirono a raddoppiare i contributi finanziari per i disabili
raccolti in alcuni quartieri. Il fattore chiave? Due settimane prima di chiedere fondi, facevano firmare ai residenti una petizione di sostegno ai disabili,
inducendoli a un impegno pubblico.
Convalida sociale
In una gelida mattina di un inverno di fine anni sessanta, nel bel mezzo di un affollato marciapiede di New York un uomo ogni tanto si arrestava, mettendosi a
osservare il cielo per un minuto, senza fissare nulla in particolare. Il bizzarro comportamento rientrava in un esperimento eseguito da Stanley Milgram, Leonard
Bickman e Lawrence Berkowitz, psicologi alla City University of New York. La grande maggioranza dei passanti si limitava a scansare o spintonare leggermente
l'osservatore: solo il 4 per cento si unì all'uomo a scrutare il cielo. L'esperimento fu ripetuto con un piccolo cambiamento, per testare il fenomeno della
convalida sociale. Uno dei modi fondamentali che abbiamo per decidere che cosa fare in una certa situazione è guardare come si comportano gli altri. Se molti si
sono dimostrati sensibili a una particolare idea, è probabile che li seguiremo, avendo la sensazione che quell'idea sia più corretta, più valida.
Per saggiare l'influenza della convalida sociale, Milgram, Bickman e Berkowitz non fecero altro che mettere cinque uomini, invece di uno, a guardare nel vuoto.
Grazie all'insieme iniziale più numeroso, la percentuale di cittadini che si misero a imitarli arrivò al 18 per cento. Insiemi iniziali ancor più consistenti
generavano risposte sempre maggiori: con 15 persone, al gruppo si univa il 40 per cento dei passanti, bloccando quasi il traffico.
Per sfruttare la convalida sociale, chi avanza una richiesta può stimolare il consenso dimostrando (o insinuando) che altri come noi vi hanno già aderito. Uno
studio ha mostrato che se un membro di un'associazione caritatevole locale esibiva agli inquilini di un palazzo un elenco di vicini che avevano fatto una donazione,
i contributi aumentavano in modo significativo; più lungo era l'elenco, maggiore era l'effetto. E' questa la ragione per cui i venditori si affannano a informarci
che il loro prodotto è il più venduto o quello più in voga nel suo genere, e le pubblicità televisive mostrano regolarmente folle che si precipitano nei negozi per
acquistare il prodotto reclamizzato.
Meno ovvie, invece, sono le circostanze in cui la convalida sociale può produrre l'effetto opposto a quello voluto. Un esempio è la tendenza, comprensibile ma
potenzialmente negativa, degli educatori sanitari a richiamare l'attenzione su un problema dipingendolo come diffuso. Le campagne di informazione mettono a volte
l'accento sul fatto che l'uso di alcool e di droghe è intollerabilmente alto, che le percentuali di suicidi tra adolescenti sono allarmanti e che gli inquinatori
stanno deturpando l'ambiente. Per quanto queste affermazioni siano vere e nascano da una buona intenzione, i loro ideatori non hanno colto un principio fondamentale
a proposito della convalida sociale. Nell'enunciato «Guarda quante persone stanno facendo questa cosa indesiderabile» si annida il potente e
insinuante messaggio «Guarda quante persone stanno facendo questa cosa indesiderabile». Varie ricerche dimostrano l'effetto boomerang di molte di
queste campagne, capaci di moltiplicare il comportamento indesiderabile.
Un programma d'intervento contro i suicidi realizzato nel New Jersey, per esempio, informava i giovani dell'alto numero di suicidi tra gli adolescenti.
David Shaffer e colleghi della Columbia University scoprirono che i partecipanti erano diventati significativamente più propensi a vedere nel suicidio una
soluzione ai loro problemi. Di maggiore efficacia sono le campagne che dipingono l'attività indesiderata come dannosa indipendentemente dal numero di individui che
la praticano.
Simpatia
«Affinità», «rapporto» e «affetto» sono tutti termini che descrivono un sentimento di intesa tra le persone. Ma la parola
«simpatia» cattura con maggiore proprietà il concetto. Le persone preferiscono dire di sì a chi è simpatico. Prendiamo il successo mondiale della
Tupperware Corporation, produttrice di articoli casalinghi, e del suo programma di «incontri a casa». Con le dimostrazioni che si svolgono in riunioni
di tipo familiare, l'azienda fa sì che i consumatori acquistino da un amico simpatico, l'ospite, invece che da un venditore sconosciuto. L'effetto è stato così
favorevole che, stando a quanto dice l'azienda, ogni 2,7 secondi ha inizio nel mondo una riunione Tupperware. Il 75 per cento di questi incontri non si svolge negli
individualistici Stati Uniti, ma in paesi in cui i legami sociali di gruppo sono più forti.
Naturalmente, la maggior parte delle transazioni commerciali avviene fuori delle case degli amici. In queste più normali circostanze, chi desidera sfruttare la
forza della simpatia utilizza tattiche incentrate su alcuni fattori di cui la ricerca ha dimostrato l'efficacia.
Uno di questi strumenti può essere l'avvenenza fisica. Lo ha dimostrato uno studio del 1993 condotto da Peter H. Reingen dell'Arizona State University e da Jerome
B. Kernan dell'Università di Cincinnati: in un'iniziativa a favore dell'American Heart Association i collettori di fondi di aspetto piacevole avevano un successo
quasi doppio (42 per cento contro 23 per cento).
Negli anni settanta, Michael G. Efran ed E. W. J. Patterson, dell'Università di Toronto, scoprirono che gli elettori canadesi avevano votato in misura molto
maggiore i candidati fisicamente più attraenti rispetto a quelli meno attraenti. Anche se tutti sostenevano che il loro voto non era certo stato influenzato da
qualcosa di così superficiale.
Anche la somiglianza può incidere favorevolmente. Spesso i venditori cercano, o inventano, una connessione con i clienti: «Oh, davvero? Lei è di
Minneapolis? Io ho studiato nel Minnesota!». I raccoglitori di sottoscrizioni agiscono allo stesso modo, con buoni risultati. Nel 1994 gli psicologi R. Kelly
Aune dell'Università delle Hawaii a Manoa e Michael D. Basil dell'Università di Denver pubblicarono i risultati di una ricerca che prevedeva la raccolta di
contributi per un'associazione benefica in un campus universitario. Quando gli incaricati aggiungevano la frase «Anch'io sono uno studente», le
donazioni erano più che doppie.
La simpatia è favorita anche dai complimenti. E sono efficaci anche gli elogi non sinceri. Da uno studio condotto nell'Università del North Carolina a Chapel
Hill è emerso che i complimenti generavano simpatia per l'adulatore, che fossero falsi o genuini.
La cooperazione è un altro fattore che si è dimostrato efficace nel produrre sentimenti e comportamenti positivi. I venditori, per esempio, spesso si sforzano
di essere percepiti dai potenziali clienti come cooperatori. E' abituale che i direttori degli autosaloni facciano la parte dei «cattivi», in modo che i
venditori possano «battersi» a favore dei clienti. La strategia induce una naturale forma di simpatia del cliente verso il venditore e le sue proposte.
Autorità
L'uomo che sfruttava la convalida sociale per indurre i passanti a fermarsi a guardare il cielo potrebbe anche ottenere l'effetto opposto, e indurre le persone
ferme a un semaforo a muoversi, semplicemente rivestendosi del manto dell'autorità. Nel 1955, Monroe Lefkowitz, Robert R. Blake e Jane S. Mouton, dell'Università
del Texas ad Austin, scoprirono che il numero di pedoni che segue un uomo che attraversa con il rosso può aumentare del 350 per cento se questi, invece di indossare
capi sportivi, esibisce segnali di autorità: vestito completo e cravatta.
Chi mette in mostra la propria esperienza, il parere di esperti o qualche credenziale scientifica sfrutta spesso la forza persuasiva dell'autorità. «Noi
ci occupiamo di bambini, solo di bambini», «Quattro dottori su cinque lo raccomandano» e così via. Non c'è nulla di male se queste affermazioni
rispondono al vero: non di rado desideriamo sentire l'opinione di vere autorità, che ci possono aiutare a scegliere bene.
Il problema nasce quando siamo bersagliati da dichiarazioni ingannevoli. Se rinunciamo a pensare, come spesso ci capita in presenza di simboli dell'autorità,
possiamo essere indirizzati nella direzione sbagliata da esperti fasulli, che hanno solo l'aura della legittimità. Lo sbadato pedone in completo e cravatta non
aveva certo un'autorità maggiore dei suoi imitatori in quanto ad attraversamento delle strade. In una riuscita campagna pubblicitaria degli anni settanta, l'attore
Robert Young sosteneva le virtù benefiche del caffè decaffeinato. L'efficacia delle opinioni mediche di Young dipendeva anche dalla circostanza che, all'epoca, egli
impersonava il più famoso medico della nazione. Il fatto che fosse solo il protagonista di una serie televisiva contava meno dell'apparenza di autorità.
Scarsità
Negli anni settanta, Stephen West, allora alla Florida State University, notò una stranezza nelle risposte date dagli studenti a un'indagine sulla mensa del
campus: i giudizi sul cibo miglioravano rispetto alla settimana precedente anche se non vi era stato alcun cambiamento nel menu, nella qualità del cibo o nella
preparazione. Lo spostamento nasceva dall'annuncio che, a causa di un incendio, la mensa non sarebbe stata agibile per varie settimane.
L'esempio chiarisce quanto incida sul giudizio una percezione di scarsità: beni e servizi diventano più desiderabili quando se ne riduce la disponibilità. E'
questo il motivo per cui i commercianti danno risalto all'unicità delle loro offerte. Ed è per questo che lanciano tante proposte «limitate nel tempo» o
mettono in competizione i potenziali clienti con campagne di vendita fondate sulle «disponibilità limitate».
Meno noto è il fatto che la scarsità non incide solo sul valore dei beni ma anche su quello dell'informazione. L'esclusività dell'informazione la rende più
persuasiva. Ne è una testimonianza la tesi di laurea di un mio ex studente, Amram Knishinsky, proprietario di un'azienda che importa carne di manzo negli Stati
Uniti e la rivende ai supermercati. Per studiare gli effetti della scarsità e dell'esclusività sul consenso, chiese ai suoi agenti di telefonare a un campione
casuale di clienti per sollecitare nel modo consueto un'ordinazione di carne. Con un altro campione casuale, i venditori dovevano aggiungere l'informazione, per
altro veritiera, che a causa di particolari eventi meteorologici era prevista una riduzione nelle forniture di carne australiana. Questa informazione aggiuntiva
fece più che raddoppiare le ordinazioni.
Infine, fece chiamare un terzo campione di clienti per dire loro (1) che stava per verificarsi una carenza di carne australiana e (2) che questa informazione
veniva da fonti esclusive dell'azienda presso il Servizio meteorologico australiano. Questi clienti aumentarono gli ordini di più del 600 per cento, sotto
l'influenza di una doppia scarsità: a scarseggiare non era solo la carne, ma anche la stessa informazione.
Sapere è potere
Molti di questi dati vengono da studi sulle pratiche dei professionisti della persuasione - commercianti, pubblicitari, collettori di fondi - il cui benessere
finanziario dipende dall'abilità nel farsi dire sì. Anche qui agisce una sorta di selezione naturale: chi usa tecniche fallimentari esce presto dal giro.
All'opposto, chi usa procedure efficaci sopravvive, prospera e trasmette le strategie di successo. Quindi, col tempo i princìpi di persuasione più efficaci
compariranno nei repertori delle professioni fondate sulla persuasione. Quei princìpi includono le sei fondamentali tendenze umane qui prese in esame: reciprocità,
coerenza, convalida sociale, simpatia, autorità e scarsità.
Dal punto di vista evolutivo, ciascuno di questi comportamenti sembrerebbe frutto di una selezione in animali (quali siamo) obbligati a trovare il modo migliore per sopravvivere in gruppi sociali. Nella grande maggioranza dei casi, questi princìpi ci guidano correttamente. Di solito è sensato restituire i favori, comportarsi in modo coerente, seguire la guida dei nostri simili, privilegiare le richieste di quelli che ci piacciono, conformarsi alle autorità legittime e dare valore alle risorse scarse. Dunque, chi usa onestamente questi princìpi per influenzarci ci fa un favore. Se un'agenzia pubblicitaria, per esempio, impostasse una campagna dando il giusto peso a un'autorevole testimonianza scientifica a sostegno di un prodotto contro il mal di testa, ciò andrebbe a vantaggio di tutti, agenzia, produttore e consumatori. Ma questo non avviene se l'agenzia, in mancanza di particolari meriti scientifici dell'analgesico, «contrabbanda» il principio di autorità con attori che indossano camici di laboratorio.
Siamo condannati a essere manipolati da questi princìpi? No. La comprensione delle regole di persuasione può aiutarci a riconoscere le strategie adottate, con l'obiettivo di costringere i professionisti della persuasione a render conto dell'uso che ne fanno, comprandone i prodotti e servizi, sostenendone le proposte o contribuendo alle loro cause solo se la loro azione è stata corretta.
Se teniamo presente questa distinzione, raramente ci capiterà di essere indotti all'assenso con l'inganno. Potremo invece dire di sì in modo informato.
Inoltre, se applichiamo la stessa distinzione nei nostri tentativi di influenzare gli altri, possiamo legittimamente mettere in pratica i sei principi. Un loro uso
corretto consente di servire gli interessi di tutte le parti e di dare un contributo al miglioramento della società.
Specchio delle mie brame, chi è il più convincente del reame?
di Piero Piazzano
Sono solo quattro esempi, ma il test completo per misurare il proprio NQ (iNfluence Quotient) ne include il doppio. Lo potete trovare nel sito di Robert B.
Cialdini, autore dell'articolo precedente, che non è solo docente universitario e studioso, ma soprattutto un apprezzato e, probabilmente, ben pagato consulente di
enti e aziende come Coca Cola, IBM, Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti e NATO.
Tra l'altro, mi piacerebbe sapere come vi è andata: a me, piuttosto male. Ho risposto esattamente solo a due domande su otto. Ma non so se devo essere
dispiaciuto per la patente di «non integrato» che mi sono guadagnato. Comunque, ecco le risposte alle quattro domande precedenti: 1,a; 2,c; 3,b; 4,b.
Dalle amadriadi a Cicerone
Come accade per altre professioni di cui pare che l'umanità non possa fare a meno, anche quella esercitata dal professor Cialdini ha origini assai antiche.
Addirittura, secondo alcuni autori, sarebbe presente in gruppi di primati non umani. Bernard Thierry, direttore del Laboratorio di etologia e neurobiologia
dell'Università Louis Pasteur di Strasburgo racconta infatti che le scimmie amadriadi, che vivono in regioni semidesertiche dell'Africa equatoriale, sono in grado
di prendere decisioni collettive nelle quali interviene una particolare forma di «acquisizione del consenso».
In pratica, al mattino, quando il gruppo di scimmie deve decidere dove andare a cercare il cibo, si svolge una vera e propria votazione, nel corso della quale i
membri del gruppo si accodano ad alcuni leader, che si spostano da un gruppo all'altro tentando di far valere la propria «influenza». Alla fine, il
gruppo segue la colonna più numerosa: un esempio di sistema maggioritario puro, che forse non dispiacerebbe al professor Sartori.
Nei manuali scolastici di storia del pensiero occidentale, comunque, le tecniche di acquisizione del consenso non si fanno risalire alle scimmie amadriadi, ma
alla scuola retorica siciliana, rappresentata da Gorgia, nato a Lentini nel V secolo a.C. e vissuto molti anni (pare 108), massimo divulgatore benché non inventore
dell'arte di convincere con la parola. Durante il suo viaggio ad Atene del 427 a.C. esportò con enorme successo la sua arte retorica nella capitale della democrazia
greca, e iniziò una scuola che ebbe una schiera di successori, da Isocrate a Socrate, da Platone ad Aristotele (per un discorso ampio e articolato, si veda la voce
rhetoric dell'Enciclopedia Britannica.
La retorica, come le scimmie amadriadi, il professor Cialdini e i telegiornali, usa la forza di persuasione per ottenere l'assenso. Perciò, dice Gorgia, non
avrebbe motivo di esistere in presenza di una realtà obiettiva e conoscibile: in tal caso si dovrebbe limitare a prendere atto di tale realtà. Ma poiché la realtà
non esiste e, se esiste, non è conoscibile dall'uomo, il logos, cioè il ragionamento, la vince sulla doxa, cioè l'opinione basata sul reale. Per ottenere il
consenso, quindi, da quasi 2500 anni avvocati, politici e potenti usano le tecniche di persuasione citate nell'articolo precedente.
Come la captatio benevolentiae, introdotta forse da Cicerone, e splendidamente perfezionata nell'ultimo decennio da alcuni mariuoli di area socialista.
Cialdini la chiama reciprocation: io ti faccio un regalino, tu ti senti obbligato e alla fine approvi le mie proposte. O l'auctoritas, che piaceva
tanto ai retori medievali e ai rabbini sefarditi: ne dà un grandioso esempio Abraham B. Yehoshua in Viaggio alla fine del Millennio (Einaudi, 1997). Come
giustamente e ironicamente nota Cialdini, l'auctoritas non ha perso influenza ed è tuttora uno degli elementi forti su cui si basa l'accettazione di
un'opinione, politica, commerciale, ma anche scientifica. Si pensi al potere dei referee delle grandi riviste scientifiche o all'importanza, per la
formazione del consenso nel delicato settore medico, di un archivio di citazioni come
MedLine.
Noam Chomsky, anarchico gramsciano
E' possibile sottrarsi all'influenza dei nuovi retori, che non si limitano a perorare le loro cause nell'Areopago di Atene, ma hanno come pulpiti giornali,
televisioni, studi cinematografici e siti Internet (ma su quest'ultimo aspetto torneremo più avanti)? E' possibile, come insegna da quasi 50 anni Noam Chomsky,
«uno dei 10 autori classici più citati al mondo, assieme a Shakespeare, Marx e la Bibbia, e l'unico vivente».
La frase, che non perde l'occasione di rifarsi al principio di auctoritas, si può leggere in un articolo pubblicato sul «Guardian» il 20
gennaio 2001. Nel 1957, a 29 anni, Noam Chomsky rivoluzionò lo studio del linguaggio. Nel suo saggio Syntactic Structures (Strutture della sintassi, Laterza,
Bari, 1970) ha ipotizzato che il linguaggio sia una facoltà innata, un «organo» proprio e caratteristico di tutti gli esseri umani. Solo oggi, a oltre
30 anni di distanza, i biologi hanno cominciato a raccogliere prove scientifiche che sembrano confermarlo.
Ma Chomsky è anche l'intellettuale che ha rappresentato più di ogni altro la «coscienza di una nazione» (tra virgolette perché è il titolo
dell'articolo del «Guardian»), dai tempi della disobbedienza civile contro la guerra del Vietnam alle recenti prese di posizione sui bombardamenti in
Kossovo.
E ha dimostrato, in una serie infinita di libri, articoli, interviste e conferenze, come le tecniche di gestione e acquisizione del consenso, proprio quelle
riassunte nell'articolo di Cialdini, siano usate nel paese più potente del mondo per «creare una cornice che delimiti un pensiero accettabile, racchiuso entro
i principi della religione di Stato
Se i critici vogliono ottenere il rispetto ed essere ammessi al dibattito, devono accettare, senza fare domande, la
dottrina fondamentale secondo cui lo Stato è di per sé buono e guidato dalle più nobili intenzioni, cerca solo di difendersi e non si presenta come soggetto attivo
nelle questioni mondiali, ma semplicemente reagisce di fronte a crimini altrui, talvolta incautamente a causa della propria ingenuità, della complessità della
storia o dell'incapacità di comprendere la malvagità dei nostri nemici» (da Edward S. Herman, Noam Chomsky, La fabbrica del consenso, Marco Tropea,
1998). Altri testi e interviste di Chomsky si trovano in:
italiano.
Chomsky è davvero, come dicono molti suoi critici, un apocalittico senza speranza, un cinico pessimista? Ecco come risponde Maya Jaggi: «Mentre per alcuni
il suo pensiero sconfina nel cinismo, Chomsky preferisce citare Gramsci: "pessimismo della ragione, ottimismo della volontà"».
Dal laboratorio alla disfatta: il caso Monsanto
Il 25 gennaio 2001 sul «New York Times» è comparso un dettagliato articolo, di Kurt Eichenwald, Gina Kolata e Melody Petersen. Argomento: le
strategie di comunicazione dell'industria dei cibi geneticamente modificati, e della sua leader, la Monsanto, dal 1986 ai giorni nostri, e le ragioni del loro
fallimento. E' un articolo molto lungo - occupa 9 pagine in formato A4 - che non è possibile riassumere qui. Cito solo gli aspetti utili al discorso sulla gestione
del consenso.
Gli autori dell'articolo ricordano che nel 1986, quando la Monsanto stava per mettere sul mercato i primi prodotti ottenuti con la tecnologia del DNA
ricombinante, i suoi dirigenti fecero una visita a George Bush padre, allora vicepresidente con Reagan, per chiedergli un intervento inusuale. Andando contro alla
linea superliberistica dell'Amministrazione, e in apparenza anche ai loro interessi, gli uomini Monsanto chiedevano che i prodotti della nuova tecnologia, i cibi
geneticamente modificati, fossero governati da regole definite da agenzie federali come la EPA, il Dipartimento dell'agricoltura, la FDA. Intanto, iniziavano
un'operazione di collegamento con i gruppi più moderati di critica delle biotecnologie, chiedendo consulenze e impostando un programma di ampia informazione sulle
ricerche.
Ma all'inizio degli anni novanta, la strategia cambia. Il nuovo gruppo dirigente della Monsanto abbandona il go-slow approach per una politica di
abbattimento dei controlli. E' quanto viene subito accolto da Don Quayle, vicepresidente con George Bush padre. Il 26 maggio 1992 egli riassume la nuova strategia
sugli alimenti biologicamente modificati con queste parole: «Faremo sì che i prodotti biotech ricevano la stessa tutela degli altri, e non siano intralciati
da inutili regolamenti». Perciò, per prima cosa, nessuna etichetta segnalerà la presenza di prodotti geneticamente modificati nei cibi.
Risultato: in Europa e Stati Uniti si scatena una campagna contro i cibi biotech, che sono spinti fuori dal mercato. Henry Miller, responsabile delle
biotecnologie alla FDA dal 1979 al 1994, ha detto: «La biotecnologia alimentare è al collasso. Oggi il suo potenziale è una frazione infinitesima di ciò che
molti osservatori si attendevano». La Monsanto, campione dell'intreccio tra biologia e agricoltura, non è più autonoma: nell'inverno 1999 è stata assorbita da
Pharmacia.
Questa storia può essere letta, alla Cialdini, come un errore di modifica di strategie. Una strategia di gestione del consenso basata sulla captatio
benevolentiae nei confronti dei gruppi critici, è stata abbandonata in favore di una strategia fondata sull'auctoritas. In effetti l'articolo spiega bene
come la decisione di eliminare le regole sia nata dalla convinzione che i risultati sperimentali, pur incompleti e approssimativi, fossero sufficienti a convincere
l'opinione pubblica della sostanziale identità tra cibi «naturali» e cibi «geneticamente modificati».
Ma, da un punto di vista chomskyano, la storia della Monsanto può essere letta in un altro modo. Per esempio, osservando che le decisioni prese al vertice di
una grande multinazionale possono definire e modificare le scelte politiche della presidenza degli Stati Uniti. Fino a spingerla, come nel caso della richiesta di
una regolamentazione, a decisioni contrarie all'ideologia politica dichiarata dall'Amministrazione. Chomsky parla di «un sistema politico fondato su una
dittatura quadriennale, circondato da una intelligentsia servile al potere». Con, per ora, un lieto fine, dovuto più a un errore di valutazione del
sistema che a una vera spinta alternativa.
Il consenso nell'era di Internet
Come funziona il sistema della gestione del consenso nel mondo di Internet? Cialdini non ne parla, ma sarebbe interessante vedere come le sue «sei
tendenze fondamentali del comportamento umano» possano essere adattate alla rete. Un esercizio che non mi è possibile svolgere, ma che consiglio vivamente, e
sul quale potremo tornare sulla base delle osservazioni dei lettori. Per esempio, come funzionano in Internet i principi della reciprocation o della
social validation?
Chi invece si è ampiamente occupato di Internet e del suo possibile uso a favore della libertà di informazione è proprio Chomsky. Internet è un mezzo per
aggirare le limitazioni dei media tradizionali, legati al sistema pubblicitario, che può ottenere grandi risultati, come dimostra la sua funzione nell'organizzare
movimenti di protesta come quello di Seattle. Ma sta anche subendo una trasformazione con esiti difficili da valutare. Quella che era nata come «autostrada
dell'informazione», in un ambiente universitario svincolato dalle multinazionali, potrebbe trasformarsi in un «canale per l'e-commerce»,
con la conseguente limitazione delle sue libertà e un adeguamento ai media tradizionali.
Ci sono segnali di questa trasformazione, e che aspetti assumono? Sarebbe interessante aprire un forum con le osservazioni dei lettori.