Le Scienze – novembre 1974
Le affascinanti invenzioni grafiche del celebre artista olandese sono fortemente influenzate dalla matematica e dalla cristallografia, ma la loro ispirazione
proviene da esperimenti sulla percezione visiva
Se l'ambiguità è un simbolo del nostro tempo, l'artista grafico olandese scomparso, Maurits C. Escher, è riuscito a rappresentarla in straordinari termini visivi.
Nell'arte di Escher vi è l'ambiguità di figura e sfondo; l'ambiguità di due o tre dimensioni sulla superficie piana; l'ambiguità del cubo reversibile; i contorni
ambigui di ciò che è infinitamente piccolo e infinitamente grande. Nelle sue opere l'ambiguità visiva procede di pari passo con l'ambiguità di significato. Il bene
e il male sono ricercati nell'ambivalenza figura-sfondo di diavoli neri e angeli bianchi. Il giorno diventa notte; il cielo diventa acqua; i pesci diventano uccelli.
Le regolari suddivisioni della superficie in Escher sono state paragonate alle strutture spaziali periodiche dei cristalli e alle trasformazioni matematiche della
topologia e della geometria non euclidea. Tuttavia l'originaria ispirazione per i suoi insoliti modelli può essere fatta risalire a fonti contemporanee e più
familiari agli studenti di psicologia e di percezione visiva. Gli studi psicologici sul rapporto tra figura e sfondo - via via incoraggiati dalle forme positive e
negative dell'Art Nouveau - furono per Esche figura-sfondo di sua invenzione, egli riconobbe la loro affinità con alcuni principi di cristallografia e nacque il suo
interesse per la matematica.
I disegni figura-sfondo appaiono a uno stadio iniziale del lavoro di Escher, cioè nel 1921, quando egli aveva solo ventitré anni. Tuttavia non fu che alla fine
degli anni trenta, quando Escher «riscoprì» lo stile che lo rese celebre, che l'ambiguità figura-sfondo divenne chiaramente una caratteristica dominante
della sua arte. Le famose xilografie Sviluppo I, Giorno e notte e Cielo
e acqua I, tra le altre, risalgono a questo periodo.
Dal commento dello stesso Escher a queste opere in The Graphic Work of M.C. Escher (L'opera grafica di M.C. Escher), si deve dedurre che egli conosceva
la relativa letteratura psicologica. In particolare, egli sembra al corrente dei primi esperimenti su figura e sfondo compiuti dallo psicologo danese Edgar Rubin,
del libro di Kurt Koffka del 1935 Principi di psicologia della forma (Boringhieri, Torino, 1970), nel quale vengono sintetizzate le conclusioni di Rubin, e
degli studi di Molly R. Harrower, un'allieva di Koffka.
Uno dei disegni più famosi di Rubin, presentato nella sua monografia del 1915 sulla forma percepita visivamente come funzione del rapporto tra figura e sfondo, può
essere visto sia come un vaso centrale sia come due profili posti l'uno di fronte all'altro. Quando vengono percepiti i profili, il vaso diventa sfondo e
viceversa. E' impossibile, come rileva Rubin, percepire contemporaneamente come figure sia il vaso sia i profili.
La traduzione tedesca del libro di Rubin fu pubblicata a Copenaghen nel 1921. L'anno seguente, mentre stava completando il suo tirocinio presso la Scuola di
architettura e di disegno ornamentale ad Harleem, il giovane Escher fece una xilografia chiamata Otto teste. Ogni testa occupa esattamente lo spazio lasciato
tra le teste vicine e si comporta come figura o come sfondo a seconda del modo di guardare dell'osservatore. Escher è abbastanza preciso circa il suo obiettivo. In
L'opera grafica di M.C. Escher, lo stesso artista scrive l'introduzione e commenta le proprie opere. Queste spiegazioni riflettono il linguaggio tecnico
delle sue fonti scientifiche. Il lessico, qui, non lascia dubbi circa gli specifici studi psicologici che contribuirono alla formazione del suo particolarissimo
stile.
Si comprende facilmente il collegamento con gli esperimenti di Rubin, quando Escher classifica Otto teste e le sue più recenti figure reversibili di
pesci e uccelli per Cielo e acqua I o Giorno e Notte sotto il titolo: «La funzione delle figure come sfondo». Escher commenta: «I
nostri occhi sono abituati a fissare degli oggetti specifici. Nel momento in cui ciò si verifica, ogni cosa intorno si riduce a sfondo». Questa descrizione
ben si accorda con l'analisi di Rubin sull'ambiguità del disegno vaso-profili.
Mentre Escher insisteva, per le sue figurazioni reversibili, su immagini figurative, anche se fantastiche, Rubin nei suoi sforzi per formulare dei principi
generali sulla formazione della figura preferì di fatto disegni più astratti. Nel suo libro del 1915, Rubin cita persino i quadri contemporanei di Wassily Kandinsky
come buoni esempi di equivalenza di campi di colore. Servendosi di disegni astratti, Rubin sperava di individuare le caratteristiche fondamentali della percezione
della forma evitando la distrazione causata dalle immagini figurative. Come egli rileva, è sempre la forma, con il suo maggiore richiamo realistico ed emotivo, che
tende ad attrarre la nostra attenzione; nel disegno vaso-profili, per esempio, i profili finiscono con il prevalere se lo schema opposto viene osservato per un
prolungato periodo di tempo.
Per evitare queste difficoltà Rubin dedusse i principi fondamentali che determinano che cosa è oggetto e che cosa è sfondo dai suoi disegni astratti. Come osserva
Rubin, generalmente si considera figura l'oggetto delimitato più piccolo, in contrasto con la più vasta superficie circostante dello sfondo. La figura ha la
«qualità di un oggetto solido», mentre lo sfondo assume un «aspetto velato»: lo sfondo retrocede e si appiattisce dietro la figura mentre la
figura emerge. Il contorno è visto come parte della figura e non dello sfondo.
A ogni modo, nei modelli ambigui, la funzione unilaterale del contorno è messa in dubbio. Ritroviamo l'analisi di Rubin sui contorni nella descrizione, fatta da
Escher, delle difficoltà che egli incontrò nel disegnare le sue creature ambigue. Nel discutere sulla linea di separazione fra due figure adiacenti aventi una
doppia funzione, Escher nota che «l'atto di tracciare una linea di questo genere, è un affare complicato. Da entrambe le parti di essa, contemporaneamente,
prende forma un oggetto identificabile. Ma l'occhio umano non può concentrarsi su due cose nel medesimo istante, in tal modo diventa necessario un rapido e continuo
saltare da una parte all'altra
Questa difficoltà è forse la vera causa prima della mia perseveranza».
Dopo i suoi primi contatti con gli studi di Rubin, nel 1921 e nel 1922, Escher lasciò la nativa Olanda per venire in Italia dove visse fino al 1934. Da artista
straordinariamente abile quale egli era, Escher creò una vasta serie di xilografie e litografie; esse raffigurano paesaggi, architetture e ritratti in uno stile
vivacemente realistico, nel quale prevale lo spazio pittorico tradizionale del Rinascimento. Solo una volta, durante il suo periodo italiano, si riaffaccia il
problema figura-sfondo: nel 1926 egli disegnò alcune figure animali interdipendenti, molto simili alle sue successive strutture periodiche su superficie piana.
Escher afferma che la partenza dall'Italia, nel 1934, fu la causa del suo cambiamento di stile. Egli sentiva che il paesaggio, nel Nord, non lo attraeva come in
Italia; invece, come egli scrive: «Mi concentrai
su idee personali
e visioni interiori». Egli visse per più di un anno in Svizzera e per
cinque anni in Belgio prima di stabilirsi, nel 1941, a Baarn in Olanda, dove rimase fino alla morte nel 1972, tranne brevi viaggi in Gran Bretagna e in Canada.
Come ho già detto, il più importante cambiamento nello stile di Escher si verificò alla fine degli anni trenta, dopo che ebbe lasciato l'Italia. Quale fu la causa
di questo cambiamento? E' evidente che, a un certo momento tra il 1935 e il 1938, Escher conobbe il libro di Koffka Principi di psicologia della forma. Il
fatto che Escher fosse debitore a Koffka può essere documentato dalla sua opera grafica e dai suoi commenti scritti. Koffka, uno dei tre maggiori teorici della
psicologia della forma (insieme a Max Wertheimer e Wolfgang Köhler), si basò molto sul lavoro di Rubin, sebbene questi non si fosse mai considerato tra gli
esponenti della Gestalt. Nei Principi di psicologia della forma un intero capitolo è dedicato all'argomento figura-
-sfondo. Così, attraverso la conoscenza delle idee di Koffka, si ravvivò un vecchio e affascinante interesse di Escher.
Ci si può rendere conto dell'evoluzione di Escher esaminando i disegni che egli eseguì nel 1936 durante un viaggio in Spagna, quando copiò le piastrelle di
maiolica dell'Alhambra. Questi esempi di arte moresca, con la loro simmetria interna e i contorni naturalmente ambigui, devono averlo attratto proprio perché egli
si era già occupato del problema figura-sfondo dal 1921. Egli osservò le piastrelle dell'Alhambra con gli occhi resi esperti dagli esperimenti di Rubin. Tuttavia,
come nel caso dei disegni astratti di Rubin, egli si rammaricò del fatto che agli artisti arabi non fossero consentiti «idoli» e che essi «sempre
si limitassero a figurazioni di tipo astratto e geometrico. Neppure un solo artista arabo
fu mai così audace
da avvalersi come elementi decorativi di
figure concrete, riconoscibili, naturalisticamente immaginate, di pesci, uccelli, rettili o esseri umani».
Escher preferì invece disegnare nei suoi mosaici piani forme adiacenti umane e animali. Nel corso dell'anno successivo, all'incirca, egli bruscamente trasformò
questo motivo piano inserendo cubi tridimensionali e un'intera città nella sua xilografia Metamorfosi I. Uno degli aspetti nuovi da sottolineare nella
produzione di Escher successiva al 1937, in contrasto con la suddivisione periodica piana che aveva creato fino al 1936, è lo sviluppo delle forme dal piano al
plastico su due dimensioni. Nei Principi di psicologia della forma, Koffka dimostra come, in determinate condizioni, linee e piani bidimensionali si
trasformino obbligatoriamente in tridimensionali. Egli illustra, fra altri esempi, come un esagono possa trasformarsi da figura piana in cubo, proprio come in
Metamorfosi I di Escher. Nel sintetizzare i suoi esperimenti e quelli di Hertha Kopfermann, Koffka sottolinea che è la tendenza intrinseca alla semplicità di
organizzazione a far sì che si consideri bidimensionale un sistema di forme, e tridimensionale un altro sistema leggermente alterato.
Molte delle incisioni di Escher degli anni seguenti sono basate proprio su un cambiamento di questo genere delle forme dal piano al plastico. Un notevole
esempio è la litografia Rettili, eseguita nel 1943. Escher descrive questa serie di opere con parole che ricordano il testo di Koffka: «La principale
caratteristica di queste incisioni è la transizione dal piano allo spaziale e viceversa». Escher prosegue mostrando come in disegni di questo tipo, singole
creature si liberino dal piano nel quale sono rigidamente fissate. Egli scrive: «Possiamo pensare a un'azione reciproca tra le figure bidimensionali rigide,
cristallizzate, di un disegno normale, e la libertà individuale di creature tridimensionali capaci di muoversi nello spazio senza impacci. Da un lato i membri di
una collettività piana prendono vita nello spazio; dall'altro gli individui liberi ricadono e si perdono nella comunità».
In modo simile parla Koffka, nell'ultimo capitolo del suo libro, dello sfondo e delle figure che si stagliano, come paradigmi del rapporto tra personalità e
«campi sociali di comportamento». Così i rettili, nella litografia di Escher, si liberano dal disegno che li circonda sulla pagina piana per
avventurarsi nello spazio tridimensionale, per poi tornare nel piano dove la loro individualità è nuovamente sommersa. Nel loro cammino essi passano attraverso vari
oggetti e altri effimeri artefatti disegnati con stile illusionistico, e strisciano sopra un dodecaedro. Queste forme affascinavano Escher poiché, come egli
diceva, le forme geometriche sono senza età e non sono create dall'uomo.
Durante lo stesso periodo (1936-1938) Escher venne anche a conoscenza di uno studio sperimentale della Harrower, che, nell'aprile del 1936, pubblicò un articolo
dal titolo Alcuni fattori determinanti l'articolazione figura-sfondo nel «British Journal of Psychology». Ella modificò i disegni di Rubin nel
modo seguente. Diverse figure-test ponevano in evidenza il contorno del vaso e respingevano i profili sullo sfondo; altre figure ponevano in rilievo il contorno dei
profili e facevano diventare sfondo il vaso; un disegno in centro mostrava il vaso e i profili come equivalenti. Due anni più tardi, nel 1938, Escher creò due fra
le sue più straordinarie xilografie, Cielo e acqua I e Giorno e notte, seguendo il medesimo principio; in queste opere, lentamente, lo sfondo diventa
figura e la figura diventa sfondo. Le forme in centro, tuttavia, rimangono equivalenti. Nella sua interpretazione di Cielo e acqua I, Escher si avvale della
terminologia della Harrower quando dice: «Nella fascia orizzontale, al centro, vi sono uccelli e pesci equivalenti fra loro».
Questo principio dell'equivalenza, discusso prima da Rubin e poi posto in evidenza dalla Harrower, è una componente importante dei numerosi disegni pieni di fantasia con cui Escher si preparava per le sue xilografie. Illustrando i suoi lavori, Escher faceva spesso riferimento al fatto che le sue forme dovevano essere «equivalenti». I termini cristallografici «distinto» ed «equivalente» non vanno naturalmente confusi con la semplice nozione di equivalenza che Escher (e la Harrower) avevano in mente. L'ingegnoso disegno Pesci e uccelli, che servì di base alla xilografia Cielo e acqua I, è un buon esempio di equivalenza; le superfici dei singoli pesci e uccelli sono approssimativamente uguali per quanto riguarda l'estensione, il disegno interno, il contrasto luce-ombra e la semplicità del contorno. Un'equivalenza di questo genere rende ambigue le figure e provoca il risultato di una rapida inversione.
Nel suo articolo del 1936 la Harrower analizzò il rapporto tra figura e sfondo introducendo un certo numero di variabili, aumentando e diminuendo tra di esse la reciproca intensità luminosa (o i gradi di grigio). La xilografia di Escher Sviluppo I, eseguita nel 1937, mostra come quadrati di colore grigio tenue disposti lungo la periferia aumentino progressivamente il loro grado di bianco e di nero e la nitidezza della forma fino a diventare quattro rettili bianchi e neri nel centro. I due «fattori» tratti dagli esperimenti della Harrower, il gradiente di luminosità e la progressiva trasformazione da uno sfondo informe a una figura nitida, sono i principi compositivi fondamentali di quest'opera straordinaria. Il commento di Escher è redatto ancora nel linguaggio tecnico dello studio della Harrower. Egli scrive: «Quadrati grigi appena distinguibili ai bordi si evolvono nella forma e nel contrasto verso il centro».
Escher raggruppa diverse altre opere nella categoria «Sviluppo della forma e del contrasto» seguendo l'analisi della Harrower. Una di queste è la litografia Liberazione fatta nel 1955. Egli la descrive con parole che ricordano gli esperimenti della Harrower e il testo di Koffka: «Nel rotolo di carta uniformemente grigio che viene srotolato, ha luogo uno sviluppo simultaneo nella forma e nel contrasto. Dei triangoli, all'inizio appena visibili, si trasformano in figure più complesse, mentre aumenta tra loro il contrasto di colore. Nel centro queste si trasformano in uccelli bianchi e neri, e di qui essi volano nel mondo come creature indipendenti e la striscia di carta sulla quale essi sono disegnati scompare».
In Liberazione Escher ci presenta una situazione surreale; gli uccelli liberati dal rotolo sono non di meno prigionieri della superficie sulla quale è incisa
la litografia. L'artista riflette qui sull'assurdità visiva della sua stessa arte così come aveva fatto nella litografia Rettili.
Per sintetizzare questa importante fase dell'evoluzione artistica di Escher, che ha inizio nel 1937, egli trasforma le sue figure ambigue in tre modi: 1) dal
piano al plastico, sotto l'influenza del saggio di Koffka Principi di psicologia della forma del 1935; 2) da una forma nitida a uno sfondo informe, sotto
l'influenza dello studio della Harrower del 1936; 3) da un forte contrasto bianco-nero al grigio, anche questo per influenza dello studio della Harrower.
Cielo e acqua I e Giorno e notte, entrambi eseguiti nel 1938, mostrano queste varie categorie di trasformazioni della forma. In Giorno e
notte i campi squadrati grigi in primo piano si affermano nell'articolazione della forma e del contrasto; essi si trasformano in un disegno equivalente di
uccelli bianchi e uccelli neri in alto al centro, e di qui si sviluppano sino a divenire creature tridimensionali che se ne volano via nel mondo «reale»
del giorno e della notte. In Cielo e acqua I il singolo uccello e il singolo pesce fortemente pronunciati e plastici, in alto e in basso, emergono dalla
fascia piatta equivalente del centro. Ciò che era un uccello diventa uno sfondo marino e ciò che era pesce diventa cielo. Qui Escher pone in rilievo la
individualità, o la qualità di oggetto, della figura in contrapposizione alla qualità velata dello sfondo, caratteristiche già sottolineate da Rubin nel 1915.
E' difficile ricostruire per quale via Escher venne in così stretto contatto con gli aspetti tecnici degli esperimenti sul problema figura-sfondo. Può darsi che
egli avesse una guida. L'artista stesso apparteneva a una famiglia nella quale il conseguimento di importanti risultati nel campo professionale e intellettuale era
la norma, ed egli può aver saputo degli esperimenti di Koffka e della Harrower per i suoi vasti interessi. L'anno trascorso nella Svizzera francese (il 1936),
vicino alle Università di Ginevra e di Losanna, e i cinque anni a Ukkel, non lontano dall'Università di Bruxelles (dal 1937 al 1941), furono il periodo della sua
«conversione», durante il quale egli fece del problema figura-sfondo una caratteristica permanente del suo stile. Quali che siano stati i suoi contatti,
durante gli anni trenta non soltanto la psicologia della forma si diffuse nelle università europee, ma riscosse anche interesse fra gli intellettuali.
Gli studi sul problema figura-sfondo degli psicologi della forma non furono, tuttavia, l'unica fonte di ispirazione di Escher. Egli variò i suoi mosaici fantastici
in piano seguendo i principi strutturali della distribuzione periodica dei cristalli. Caroline H. MacGillavry, nella sua monografia del 1965 Symmetry Aspects of
M.C. Escher's Periodic Drawings, interpreta in questi termini le creazioni di Escher. In Color and Symmetry, pubblicato nel 1971, A.L. Loeb sceglie
dall'opera di Escher alcuni straordinari esempi di simmetria di forma e di colore per illustrare il suo testo. Escher stesso riconosceva la somiglianza delle sue
suddivisioni regolari in piano con i principi della cristallografia. Questa analogia gli fu fatta notare dal fratello, B.G. Escher, professore di geologia presso
l'Università di Leida. A quel tempo, comunque, l'artista aveva già creato i suoi disegni figura-sfondo basati sulle analisi visive di Rubin e sulle piastrelle
moresche dell'Alhambra. Come ha osservato il matematico H.S.M. Coxeter, gli arabi avevano già fatto uso di tutti i diciassette gruppi cristallografici di strutture
simmetriche, in seguito dimostrati da E.S. Fedorov nel 1891.
Nel compiere esperimenti sul riempimento dello spazio di una superficie piana con una moltitudine di creature Escher giunse a molte composizioni intersecantisi che
seguono le regole cristallografiche della trasformazione; un buon esempio ci è fornito dalla xilografia Cigni, eseguita nel 1956. Anche qui, come per le sue
creazioni figura-sfondo, abbiamo un commento di Escher. Egli raggruppa queste opere sotto il titolo «Scorrimento riflesso» e prende atto dei «tre
principi fondamentali della cristallografia»; essi sono, per dirla con le sue parole, «lo spostamento ripetuto (traslazione); la rotazione attorno a un
asse (rotazione); lo scorrimento speculare (riflessione)». Tra gli scienziati questo aspetto dell'opera grafica di Escher è probabilmente il più conosciuto.
Tuttavia l'origine delle sue composizioni da scherzose manipolazioni dell'ambiguità figura-sfondo è stata finora notata solo una volta - dallo storico dell'arte
E.H. Gombrich nel suo articolo Illusioni e paradossi del vedere, ristampato nel 1963 nel suo libro A cavallo di un manico di scopa, Saggi di teoria
dell'arte (Einaudi, Torino, 1971). La svista è comprensibile poiché le ultime opere di Escher fanno pensare che egli si ispirasse soprattutto a dei prototipi
matematici. Questa interpretazione è sostenuta, per esempio, da Coxeter. Nel suo articolo L'opera di Escher e le matematiche, ristampato in The World of
M.C. Escher (Il mondo di M.C. Escher), Coxeter si stupisce di fronte alla capacità di Escher di estendere la teoria dei gruppi cristallografici oltre i
diciassette gruppi originali di Fedorov, anticipando «per mezzo dell'intuizione artistica» il principio aggiunto della simmetria di colore.
Comunque, ciò che portò Escher a questi sviluppi fu la sua primitiva ispirazione alla letteratura psicologica. Egli sapeva pertanto come combinare insieme nella
stessa composizione su superficie piana le figure reversibili e i principi cristallografici del mosaico a tasselli regolari e semiregolari. In Rettili e in
molti altri disegni, egli compie un'operazione del genere. Il motivo fondamentale di un mosaico è un poligono (triangolo, quadrato o esagono) o una combinazione di
poligoni: essi devono combaciare in corrispondenza degli angoli. In Rettili, tre teste, tre gomiti e tre dita del piede corrispondono esattamente agli angoli
di un esagono, che costituisce il motivo fondamentale di questo mosaico regolare in piano. Escher guardava a queste soluzioni, un po' più difficili delle altre, con
molto orgoglio.
Anche Paul Klee e, più tardi, Victor Vasarely, riconobbero tale stretta associazione tra principi cristallografici e il disegno di superfici fittamente ricoperte. Entrambi questi pittori basarono alcuni quadri e schemi sul trattato umoristico di Giovanni Keplero De Nive Sexangulo (Il fiocco di neve a sei angoli), pubblicato nel 1611. Il concetto neoplatonico di Keplero di un ordine sottostante all'universo o armonia - la credenza in una struttura matematica dell'universo - era condivisa da Escher. Occasionalmente l'una o l'altra delle sue opere grafiche illustra quest'idea, per esempio Rettili o Stelle, una xilografia del 1948 eseguita nello stile del primo seicento, l'età di Keplero. Quest'opera illustra un cielo ornato di stelle nel quale i corpi celesti sono composti dai solidi platonici cari a Keplero. In opere di questo tipo Escher intende delineare un contrasto tra le leggi fisse della matematica e la casualità dei frammenti o il mutamento di colore dei camaleonti. «Vi è qualcosa in queste leggi che toglie il respiro», scrisse Escher nel suo articolo Passi verso l'infinito. Egli continuava: «Esse non sono scoperte o invenzioni della mente umana ma esistono indipendentemente da noi». Così, nel Philebus di Platone, Socrate aveva spiegato la intrinseca bellezza delle forme geometriche. Le leggi astratte o i principi della semplicità della forma che attraevano Escher verso le analisi percettive degli psicologi della forma erano anch'esse essenzialmente platoniche nel concetto.
Grazie al suo nuovo interesse per la matematica e al contatto con matematici, Escher ampliò il suo vocabolario di forme ambigue. Egli fece uso della striscia di
Mobius, della bottiglia di Klein, di nodi e varie forme di poligoni. Limite del cerchio I, una costruzione iperbolica (non euclidea), fu sviluppata nel 1958
in uno scambio di lettere con Coxeter. Questo fornì a Escher l'opportunità di rappresentare i «limiti della infinita piccolezza», come egli la definiva.
Paradiso e inferno, eseguito nel 1960, appartiene alla stessa serie.
Durante gli anni cinquanta Escher ritornò alle fonti della psicologia della percezione visiva in un gruppo di opere sulle prospettive reversibili.
La litografia del 1957 Cubo con nastri magici associa il cubo reversibile di Necker (una scoperta del mineralogista svizzero del XIX secolo L.A. Necker) con l'illusione del cratere. Nel 1938 lo psicologo finlandese Kai von Fieandt pubblicò uno studio sui cambiamenti apparenti nella percezione della profondità dal concavo al convesso in rapporto a differenti direzioni della luce. Per i suoi esperimenti egli usò piccole protuberanze proprio come quelle che appaiono sulle strisce di Escher. Escher deve aver saputo degli esperimenti di von Fieandt. L'artista spiega: «Se noi seguiamo con lo sguardo le strisce ricoperte di protuberanze a forma di bottone questi moduli furtivamente si trasformano da convessi in concavi».
Concavo e convesso appartiene al medesimo gruppo di opere in cui il soggetto è costituito dalle prospettive reversibili, o «inversioni», come Escher le chiamava. Il gruppo di cubi sulla bandiera annuncia il motivo visivo fondamentale della composizione. In questa litografia del 1955 Escher gioca con l'ambiguità dei volumi sulla superficie piana - come il simbolo sulla bandiera.
Nel 1958 Escher creò Belvedere, un edificio impossibile, anch'esso basato sul cubo reversibile di Necker. Verso la fine del diciannovesimo secolo il cubo di Necker era divenuto una delle più famose e più discusse illusioni ottiche della letteratura psicologica. Per sottolineare il tema della fantastica creazione architettonica, il ragazzo sulla panchina osserva il cubo reversibile nelle sue mani e sulla carta. Gli angoli che scattano avanti e indietro nelle inversioni di prospettiva sono uniti da diagonali proprio come nel disegno originale di Necker del 1832. In Belvedere, tuttavia, Escher non soltanto si avvale delle prospettive reversibili, ma introduce l'impossibilità percettiva che impedisce la simultaneità delle due interpretazioni percettive del cubo. Questa tecnica ricorda le costruzioni di figure impossibili pubblicate nel 1958 da L.S. Penrose e R. Penrose nel «British Journal of Psychology», riconosciute da Escher come una fonte d'ispirazione per la sua litografia del 1960 Salite e discese.
Le scale di Schröder, un'altra illusione di prospettiva reversibile del diciannovesimo secolo pubblicata da H. Schröder nel 1858, sono il soggetto della litografia di Escher del 1953 Relatività. Le scale mostrano la caratteristica ombreggiatura che facilita le inversioni, in modo tale che esse sembrano insieme una scala che sale o un oggetto del muro che scende. Per gli abitanti di questa struttura le scale portano giù e su allo stesso tempo.
Queste composizioni ricordano alcune stampe del diciottesimo secolo, in modo particolare Carceri di Giovanni Battista Piranesi, con le loro ripetizioni ossessive e il loro mutevole punto di vista che rompono l'unità della prospettiva rinascimentale, dando in tal modo una qualità allucinatoria a questi sogni architettonici. Si noti in lontananza nel quadrante in alto a sinistra dell'opera di Piranesi la parte inferiore di un arco in ombra. Si tratta forse di un camminamento che conduce a un gruppo di scale? In Concavo e convesso Escher si avvale dello stesso motivo in entrambi gli orientamenti. Escher, in realtà, possedeva una collezione di stampe di Piranesi, secondo suo figlio George A. Escher, che racconta la seguente storia rivelatrice circa suo padre e il Belvedere: «Una sera, deve essere stato verso la fine del 1958, stavamo osservando Carceri di Piranesi, che egli molto ammirava e di cui possedevamo un esemplare postumo. Avevamo cercato di identificare le numerose aberrazioni prospettiche dello stesso tipo che si osservano in Belvedere e io gli chiesi se esse lo avessero ispirato nell'eseguire quest'opera. No, disse, egli era stato consapevole di queste singolarità da molto tempo, ma le aveva sempre considerate come effetto di disattenzione dovuta al ritmo frenetico con cui si dice che Piranesi eseguisse le stampe durante una malattia. Esse non ispirarono mai il particolare aspetto fantastico che aveva dato vita a Belvedere. Questo, egli disse, era la diretta conseguenza dell'aver notato da qualche parte una figura del cubo reversibile».
Nulla potrebbe confermare in modo migliore gli elementi essenziali dell'arte di Escher. Come ho cercato di dimostrare, l'artista era affascinato da certi fenomeni che risultavano dal lavoro sperimentale sulla visione. Furono questi i punti di partenza intellettuale per le sue invenzioni. Una volta afferrato da una delle sue «idee visive», egli passava notti insonni, scrive suo figlio «cercando di chiarire qualche vago concetto Per settimane rifiutava di parlare di ciò che faceva e chiudeva a chiave il suo studio, che egli vi fosse dentro, o no». Le dislocazioni prospettiche nelle Carceri di Piranesi o le ambiguità degli schemi reversibili delle piastrelle dell'Alhambra erano per lui stimolanti poiché sentiva una affinità con queste opere precedenti di secoli, ma esse non furono le sue principali fonti di ispirazione.
E' abbastanza evidente che l'uso che Escher fece dei principi derivati dalla contemporanea psicologia della percezione visiva significò per lui molto più che
una nuova serie di temi o tecniche artistiche. Escher stesso descrisse il profondo cambiamento che si verificò nel suo stile tra il 1936 e il 1938 come se si fosse
trattato di una conversione religiosa: «Venne un momento in cui mi sembrò che un velo si squarciasse davanti ai miei occhi
Fui preso da un desiderio del
quale non avevo mai sospettato l'esistenza
Si fecero strada nella mia mente idee che non avevano niente a che fare con l'arte grafica, nozioni che mi
affascinavano a tal punto da farmi desiderare intensamente di comunicarle agli altri». Non vi è contraddizione nel fatto che questa rivelazione sia stata
preceduta, all'inizio degli anni venti, dall'applicazione di Escher delle originali idee di Rubin. Le idee artistiche, come le idee scientifiche, possono vivere una
vita sotterranea e poi riemergere con pieno vigore solo in uno stadio successivo.
Una volta affermatesi, le intuizioni di Escher lo accompagnarono per tutta la vita. Persino trenta anni dopo il suo primo contatto con gli scritti di Koffka, quando
Escher aveva settanta anni, egli si esprimeva adoperando la terminologia di Koffka (nell'articolo del 1968 Passi verso l'infinito): «Nessuno può
tracciare una linea che non sia una linea di separazione: ogni linea divide una singolarità in pluralità. Ogni contorno chiuso, quale che sia la sua forma, un
cerchio perfetto o una forma irregolare casuale, implica inoltre le nozioni di "interno" ed "esterno", e suggerisce concetti di "vicino" e "lontano", di "oggetto" e
di "sfondo"».
Qui Escher si riferisce non soltanto al principio della figura che emerge e dello sfondo che retrocede, e alla doppia funzione dei contorni, ma anche alle note
ricerche degli psicologi della forma sulle figure dal contorno chiuso e sul problema delle suddivisioni della superficie «organizzazione unum e
duo» analizzato da Wertheimer e da Koffka. Le suddivisioni regolari come negli studi di Escher per Limite del quadrato del 1964 possono essere
ottenute semplicemente dividendo progressivamente per metà le superfici sino al limite dell'osservabile, sino al margine più esterno. Perciò Escher poteva dire con
Koffka: «Ogni linea divide una singolarità in pluralità».
L'ambiguità figura-sfondo di Rubin, Koffka e Harrower diede a Escher la spinta decisiva per abbandonare lo spazio pittorico tradizionale del Rinascimento.
Sebbene egli continuasse ad avvalersi di immagini riconoscibili di uomini o di animali per le sue figure reversibili, egli giunse a una nuova - talvolta surreale -
accentuazione della superficie pittorica piana, evoluzione che i grandi innovatori dell'arte di questo secolo avevano raggiunto già molto tempa prima. Picasso e
Braque dipinsero i loro primi quadri cubisti tra il 1907 e il 1909; le prime composizioni astratte colorate di Kandinsky risalgono al 1911. L'intersecarsi delle
forme e la loro interpretazione simbolica, tuttavia, può essere fatta risalire, nell'opera grafica di Escher, a una tendenza che precede il movimento moderno, cioè
i modelli positivi e negativi dell'Art Nouveau spesso ugualmente carica di significato e che fu di moda proprio subito prima e dopo l'inizio del secolo.
Il contatto che Escher ebbe con gli esperimenti degli psicologi della forma sulla percezione visiva non è un esempio isolato. Le straordinarie costruzioni di
Joseph Albers su plastica laminata e molti dei suoi disegni possono essere fatti risalire a prototipi analoghi tratti dalla letteratura psicologica. Queste forme
ambigue erano diventate il centro di un rinnovato interesse al Bauhaus di Dessau (Germania), nel 1929 e nel 1930, quando vennero impartite delle lezioni sulla
psicologia della forma presso questa influente scuola di disegno. Albers, prima studente e poi insegnante al Bauhaus dal 1920 fino a quando questo non venne chiuso
dai nazisti nel 1933, fu affascinato dalle prospettive reversibili a cominciare dal 1931, e queste continuarono ad affascinarlo durante la sua carriera artistica.
Negli anni trenta (quasi contemporaneamente a Escher) Albers e Vasarely, precursori del movimento della «Op Art», Optical Art, (che Albers
preferisce chiamare «arte percettiva»), crearono quadri e incisioni che mostrano l'ambiguità figura-sfondo. E' tuttavia evidente che lo stimolo
intellettuale fornito dalla teoria della forma si manifesta in modi molto differenti in rapporto alla scelta e alla predisposizione dell'artista. Albers e Vasarely
continuano la tradizione astratta dell'arte moderna imprimendole un nuovo indirizzo per mezzo di intuizioni tratte dalle ricerche sulla visione e sulla percezione
visiva. Escher invece continuava la tradizione decorativa dell'Art Nouveau associata al movimento simbolista. Non è forse una coincidenza il fatto che i modelli
dell'Art Nouveau siano ugualmente ripetitivi e riempiano la superficie piana, proprio come le creazioni di Escher.
La scoperta delle fonti di ispirazione di Escher non sminuisce il fascino della sua opera. In realtà tale scoperta sottolinea come lo stupore che noi proviamo di
fronte alle sue composizioni derivi direttamente dalla sorprendente ambiguità dei suoi prototipi scientifici. Nell'avvalersi di motivi tratti dagli odierni
tentativi di analisi della percezione della forma, l'artista gioca con i meccanismi della percezione messi a nudo e riflette sui suoi stessi mezzi visivi.
In modo analogo, l'artista percettivo astratto degli anni sessanta riflette sulle presunte proprietà funzionali del nostro apparato visivo, facendo vibrare i
suoi modelli con linee che si ripetono e stimoli colorati. E' straordinario il fatto che un'arte di questo genere sia giunta al culmine proprio quando gli
psicofisiologi cominciavano a dimostrare l'esistenza di meccanismi per una primitiva codificazione delle forme nelle vie nervose visive del cervello. Come ha
sottolineato lo studioso inglese dei problemi dell'informazione D.H. MacKay, meccanismi complementari della percezione della forma (simili a quello della percezione
del colore) svolgono una loro funzione in questi modelli scintillanti. Questi effetti furono sfruttati dai pittori della «Op Art» per i loro stimolanti
giochi di linee. Senza alcun'altra indicazione visiva che ci guidi, questi modelli fanno sì che l'apparato preposto, nel sistema visivo dell'uomo, alla
codificazione delle forme riverberi a vuoto. Escher, invece, si aggrappa tenacemente a modelli figurativi, anche se fantastici, e invita l'osservatore a ripetere
gli esperimenti fondamentali figura-sfondo della scuola della psicologia della forma. Questo si vede chiaramente nella xilografia a quattro colori Sole e
Luna che associa le ansie simbolistiche di fine secolo con la dimostrazione di ambiguità nel processo percettivo. Se ci si concentra sugli uccelli illuminati,
appare il contorno di una semiluna e la notte prevale; se ci si concentra sugli uccelli scuri, il Sole splenderà.