Il Sole 24 Ore – 1 maggio 2023
In molte Asl è diffusa la prassi di bloccare le liste [di prenotazione]
Nello specifico, quando viene raggiunta una soglia che non consente di effettuare prenotazioni entro i tempi massimi di attesa, non vengono più accettate
prenotazioni; pertanto, non viene fissata una data,e la richiesta viene posta "in attesa di entrare nella lista d'attesa".
Questo escamotage consente spesso alle Asl di non documentare il superamento dei tempi di attesa e di non farsi carico della spesa cui sarebbero tenute per
garantire le prestazioni in via alternativa (intramuraria o privata).
In realtà, al momento della prenotazione si ha diritto di conoscere la data in cui la prestazione richiesta verrà effettuata e il tempo massimo di attesa per
quella prestazione.
Se non viene comunicata la data, e il servizio si riserva di comunicarla successivamente, significa che la lista d'attesa è bloccata e che la prestazione non
può essere garantita entro i tempi massimi stabiliti.
La sospensione delle attività di prenotazione (fenomeno delle cosiddette liste d'attesa bloccate, agende chiuse) è una pratica vietata dall'articolo 1,
comma 282, della legge 266/2005 (Finanziaria 2006), in base al quale «alle aziende sanitarie e ospedaliere è vietato sospendere le attività di prenotazione
delle prestazioni di cui al
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 novembre 2001. Le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
adottano, sentite le associazioni a difesa dei consumatori e degli utenti, operanti sul proprio territorio e presenti nell'elenco previsto dall'articolo 137 del
codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n.206, disposizioni per regolare i casi in cui la sospensione dell'erogazione delle prestazioni
è legata a motivi tecnici, informando successivamente , con cadenza semestrale, il ministero della Salute secondo quanto disposto dal decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri del 16 aprile 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.122 del 27 maggio2002»
Pertanto, il cittadino utente potrà ricorrere anche per vie legali (in particolare al giudice di pace) per l'eventuale rettifica della procedura adottata.