Genova – agosto 1972
Vedi anche l'articolo della Gazzetta "Rapallo nel diario di Octave Pirmez" pubblicato a settembre 2021.
Non credo che in alcuna rassegna degli scrittori stranieri, che visitarono la nostra città, appaia il nome di Octave Pirmez.
Eppure, tra il 1855 e il 1860 egli soggiornò a Genova almeno tre volte ed è uno degli scrittori che parlarono con maggior simpatia non solo delle nostre pietre, ma
anche della nostra gente. D'altra parte, almeno nel suo paese, egli è tutt'altro che uno sconosciuto. Nella letteratura franco - belga dell'Ottocento, prima del
grande risveglio del 1880, non ci sono che due nomi degni di rilievo: De Coster e Pirmez. Nato nel 1832 in Hainaut da assai ricca famiglia, ebbe un'educazione
religiosa e aristocratica. Ereditò dalla madre la pietà, l'amore per le lettere e un'eccessiva sensibilità. Gli studi medi li fece quasi completamente a casa: nei
brevi periodi che passò nei collegi dei Gesuiti di Bruxelles e di Namur, arrivava al punto di ferirsi per trovare rifugio nell'infermeria ed evitare così le
passeggiate con i compagni. A diciott'anni il suo fervore religioso doveva essere ben passato se volle iscriversi all'Università di Bruxelles, istituzionalmente
anticattolica. La vita goliardica dapprima l'attira, ma ben presto se ne stanca e passa i giorni chiuso in camera a leggere al lume di candela. Divora i romantici
francesi e inglesi, sant'Agostino e la Bibbia, i moralisti e i filosofi indù. Oppure cavalca per la Forêt de Soignes in brillante compagnia.
I troppi libri e i troppi amori compromettono seriamente la sua delicata salute: a ventidue anni i genitori, per consiglio del medico, gli consentono di
abbandonare l'Università e di viaggiare.
Il suo gusto romantico lo porta in Germania e, soprattutto, in Italia, ch'egli percorre più volte in lungo e in largo. Le città ch'egli predilige sono Genova,
Torino, Firenze. A Roma lo disgusta il malgoverno papale e a Napoli lo derubano troppo.
Ma, in ogni regione, in ogni città, il cielo, i monti, il mare lo interessano assai più che i monumenti. Nell'ottobre del 1858, da Firenze, scrive a un amico
belga:«Depuis un mois, j'ai tour à tour habité Pise, Sienne, Livourne et Pistoie, ayant chaque jour à lutter contre des gens qui me voulent faire voir de
force, et par leurs yeux, les curiosités artistiques, monuments, tableaux, bas - reliefs, qui ne sont pas, j'ai beau le leur crier, du domaine de mes amours. En
revanche, bien souvent, je me suis promené, pas à pas, dans les sombres allées de chênes verts, qui se moquent des vents d'automne et sur des vertes pelouses
qui comptent distraitement les feuilles tombantes de leurs arbres».
Pirmez non è un osservatore analitico del mondo esterno: è un romantico occupato soprattutto dai propri sogni e dal le proprie meditazioni. Il suo libro di
viaggi, ch'è anche il suo capolavoro, volle intitolarlo Jours de solitude (1869).
Perché suoi soli compagni, diceva, erano l'amore e la morte: «conversano vicino a me, mi distraggono e non mi stancano mai».
Comprendiamo allora che la natura, il paesaggio italiano interpretato in chiave romantica, lo abbiano interessato più che i monumenti e che la Liguria - la Liguria
di oltre un secolo fa - lo abbia affascinato più di altre regioni ben altrimenti ricche d'arte.
Egli percorse tutta la costa ligure da Nizza alla Spezia. Una volta, il 28 marzo, (l'anno non è mai citato nel diario), lascia Nizza diretto a Genova. Ecco San
Remo «et ses bois de palmiers, qu'on dépouille chaque année pour orner de leurs palmes les églises de Rome et de Naples», ecco i dolci colli di Diano
Marina, dove «des oliviers séculaires se tordent à la tourmente près des tours en ruine». Una scena di pesca nella baia di Noli è descritta così:
«au fond d'une anse, des pêcheurs élargissent leurs filets, dont ont voit flotter les boués; des femmes et des veillards, coiffés de capuchons bruns,
halent les cordes en froissant leurs pieds nus aux pierres du rivage. Les mouettes, qui pressentent un orage, se laissent porter vers la côte avec les flots
d'écume». Quel mare in tempesta ben s'accorda all'animo del giovane romantico: «lorsque nous dépassons l'Île de Bergeggi et le fort San Stefano la
tempête et la nuit règnent autour de nous; des avalanches de pierres roulent devant nos chevaux et la confuse rumeur des vagues se mêle au migissement
des rafales». Quella notte i viaggiatori dormono a Savona e il giorno dopo, appena passata Arenzano, una frana li blocca per molte ore. Genova è vicina, ma il
romantico pellegrino, «craignant de se détourner trop vite de la féerie du littoral» si ferma due giorni a Voltri.
Si spinge sino a Cornigliano. Alte carene di navi, con un ramo verde legato in cima all'albero maestro, sono pronte per il varo. Al largo, barche con vela
latina sembrano aratri d'argento che fendano ondeggianti steppe. La collina di Coronata è coperta di brughiere rosse. Sulla spiaggia una croce di legno piantata tra
ciottoli ricorda i morti d'un naufragio.
Resta a Genova dal 4 al 15 aprile. Non descrive nessuna chiesa, nessun palazzo. La sua attenzione è attratta dalla gente. «Quel peuple laborieux anime
encore l'antique cité des Ligures! La plupart travaillent en silence, ployés sous des fardeaux, et ce fourmillement de travailleurs s'etend hors la ville, au loin,
le long des côtes. Ce n'est pas sans charme que je me perd dans cette foule que l'etroitesse des rues oblige a l'intimité. Ces visages allongés, ces fronts
durs, n'ont rien d'expansif cependant, et chacun chemine songeant a quelque entreprise; mais cela est un signe de liberté; une harmonie s'etablit entre des gens qui
connaissent l'instabilité de la fortune et apprécient la valeur du travail. J'erre à ma fantasie, pressé par les flots d'un peuple qui marche avec d'autres pensées
que moi, n'en recevant néanmoins qu'une impression heureuse».
Ritorna a Nervi, dov'era già stato in un viaggio precedente. E' affascinato dal cimitero di Quinto, oggi scomparso, «endormi sur un roc battu des
vagues». Ammira le case affrescate. Sul muro d'una di esse è dipinta una ragazza piangente col seno scoperto insidiata da due uomini vestiti di nero: la scena
è commentata da una scritta: «Tenebris exorta sunt monstra similia». A Nervi, proprio quel 9 aprile, un giovane marinaio e la sua fidanzata s'erano
uccisi. Lo scrittore guarda quel mare azzurro, quegli aranci carichi di frutti d'oro, le colline di San Rocco e di Sant'Ilario e conclude: «tout ce paysage,
pénétré de majesté et de mélanconie, fait de ce lieu un cadre vraiment digne d'un drame d'amour et de mort».
Il 15 aprile, sulla piazza di San Domenico, dove i bisagnini gridando a squarciagola offrono la loro mercanzia su rami d'alloro, sale in carrozza diretto in
Toscana. Il giorno dopo è a Livorno. La città non gli piace e annota:«Je songeais à Gènes, ancrée sur ses rochers, à son peuple énergique et patient. Combien
son site est plus fier d'aspect! Ici, sur une plage basse, trafique une race dont la finesse d'esprit, employée au lucre, n'enfante sur les visages qu'une
expression de ruse».
Qualche anno dopo (ma quale?) Pirmez ripercorre la riviera di levante in senso opposto. A Chiavari ammira i portici, «la longue rue bordée de portiques, où
éclate dans l'ombre le béret rouge des pêcheurs». Ed ecco, dall'alto di Ruta, Genova: «le golfe de Gênes s'elargit sur l'azur des eaux comme
un sombre croissant émaillé de points blancs, qui sont des villas, et bordé de pins en parasol dont les ombres se projettent sur les falaises» Scende a
Camogli, che, influenzato dal nome dialettale, chiama «Camuli», e la sera è a Genova. E' il 29 febbraio. Il 26 marzo è a Torino, ma il 2 aprile è ancora
nella nostra città, dove si ferma sin verso il 20. Scrive che ne conosce ormai i palazzi, le chiese, i colli (che per il belga sono «montagnes»), le
strade scure e affollate. Ma allora perché vi soggiorna ancora oltre un mese? Passeggiava sovente all'Acquasola, ch'era allora alberata di pini e di querce e di
salici piangenti, i cui rami sfioravano l'acqua d'una grande vasca di marmo. Alla sera c'era musica: «le chef d'orchestre a paru; le gaz s'allume, et à sa
clartée le ciel est vert, le cuivre des instruments étincelle comme le rubis, les feuilles des arbres sont roses et resplendissent aux branches; on voit remuer leur
ombre sur la joue des jeunes filles, belles étrangeres débarquées de la veille». Un giorno assiste allo spettacolo diurno del teatro della Strada Bartolomeo.
Gli attori sono bimbe coronate di fiori e ragazzini in abiti da prima comunione. Rappresentano un dramma d'amore.
«Le petit innamorato finit par trahir la jolie fée qui lui avait livré son coeur; la charmante créature éclate en accents de désespoir, arrache sa
coiffure, dechire sa robe de gaze, et, brandissant un poignard, menace de se percer le sein en présence du traître
»
A questo punto gli spettatori, che per la maggior parte sono fanciulli, intervengono in favore della povera abbandonata lanciando frutti e sabbia al traditore.
Una sera, in Portofranco, osserva dei marinai che, appoggiati al muricciolo che sovrasta gli scogli, guardano il mare in tempesta. "Ces hommes, si vulgaires en
leurs travaux journaliers, déviennent en ces instants des poétes. Le mystère qui frappe leur vue se reflète en leur esprit, les fascine les rive à la côte, où
ils se tiennent immobiles
» E continua così, con accenti alla Chateaubriand (ch'è il nume presente in tutto il libro) a esaltare il sentimento della
fragilità umana e della potenza di Dio, vivo nei cuori dei marinai genovesi.
Non sappiamo se proprio tali fossero i pensieri dei marinai di Portofranco «accudés au mur qui borde les falaises» una sera di marzo di tanti anni
fa. Sappiamo invece che Pirmez, a ventotto anni, posto termine ai suoi romantici vagabondaggi, si ritirò nel suo castello di Acoz, dove, meditando e scrivendo,
passò il resto della sua vita.
Oltre al libro dal quale abbiamo tratto le sue impressioni sulla nostra terra e la nostra gente, scrisse Feuillées (1862), Heures de Philosophie
(1873), che sono raccolte di massime e di pensieri, e Remo (1878) in memoria d'un suo più giovane fratello precocemente morto. Octave Pirmez mori nel 1883.