Genova – giugno 1974
Pescôu de Zena – Un'antica e suggestiva professione che va scomparendo
Risulta statisticamente rilevato che l'antica, suggestiva e gravosa attività del pescatore sarà soltanto un ricordo. Forse ai nostri nipoti racconteremo la storia
del pescatore. Non è per vaticinare oscuri mali al prossimo come quella tale Cassandra di omerica memoria, ma i tempi stanno mutando a vista d'occhio ed alcuni
mestieri non rappresentano più valida fonte di attività mercantile, inoltre pare che Genova stenti a ritrovare quella vocazione marinara che la rese Superba in
tutto il mondo. Nella stagione propizia per la pesca, da levante a ponente, all'alba ed al tramonto i pescatori effettuavano i rituali gesti appresi dai loro padri.
Erano, quelli, tempi duri ma sani, felici, romantici. Forse il termine «mugugno» non era stato ancora inventato. I pescatori di Nervi, Quinto, Priaruggia, Sturla,
Vernazzola e Boccadasse, facevano a gara di abilità venatoria con quelli della Foce, Sestri, Voltri, Pegli e Prà. Le reti venivano salpate a forza di braccia e
spesso si realizzavano delle buone pescate per tutti. Oggi il mare non concede neppure lo stretto necessario per vivere e così l'esercito dei pescatori di ieri è
diventato oggi un plotone quasi anonimo senza volto, senza tradizioni di bandiera. E' la legge della domanda e dell'offerta che regola il gioco e inoltre
l'interesse di pochi prevale come un gigante sulle aspirazioni dei più. Per secoli e secoli la caccia e la pesca costituirono l'attività prevalente, se non
addirittura esclusiva dell'uomo. Forse i primi attrezzi dell'homo sapiens furono le sue stesse mani ed i primi rudimentali attrezzi da pesca appartengono
all'età della pietra ed a quelle successive.
Attorno alle rive dei laghi pedemontani delle Alpi vennero erette le palafitte del Neolitico e gli studiosi, dai resti ritrovati, hanno stabilito che per prima si sviluppò la pesca fluviale o lagunare. I popoli che si insediarono lungo le coste prevalentemente si dedicavano alla pesca. Ma questa è storia passata!
A Genova operano ancora dei pescatori e, mare permettendo, tutti i giorni prima ancora che faccia luce, oltre cinquanta qualità di pesci vengono immessi sui banchi
del mercato ittico. Talvolta capita di catturare qualche aragosta oppure superbi esemplari di scampi, gamberi, mazzancolle e pannocchie. Comunque siamo ben lontani
dal garantire un costante e completo approvvigionamento. I genovesi mangiano sì pesce controllato ed assolutamente genuino, ma è foresto anche se ligure per il 40%,
ed estero tutto il resto.
I pescoèi de Zena si contano ormai sulla punta delle dita, almeno quelli che sino a quindici anni fa solevano stendere le proprie reti sui marciapiedi di
Corso Italia o sulla sabbia della Foce o dei bagni comunali Strega (ora Fiera del Mare).
Armare una barca, prendere il mare anche con il cattivo tempo, vegliare per ore ed ore sotto la pioggia e le sferzate gelide del vento che quasi accecano, e salpare le reti quasi sempre vuote, non è cosa piacevole soprattutto per chi deve mantenere una famiglia.
Considerando le ore effettive di lavoro ed i rischi ai quali si espongono i pescatori, per un inadeguato profitto, appare rosea la giornata lavorativa di un
generico lavoratore d'industria. Il pescatore è un tecnico specializzato che quando non è in mare deve lavorare sodo a terra per preparare le attrezzature di pesca
e l'assetto della barca. Trattasi di centinaia e centinaia di metri di lenze, tramagli, ami da innescare, sagole da intrecciare e da riordinare. La tecnica moderna
ha messo a disposizione del pescatore attrezzature sofisticate che gli permettono di individuare addirittura i banchi di pesce che nuotano in profondità, ma regola
non commerciale è l'istinto e la passione che distinguono una «mano» dall'altra.
E che dire dell'arte di innescare il ricurvo ed appuntito acciaio? Pescando dalla stessa barca si può verificare il caso che a prua il pesce abbocchi all'amo ed
a poppa le cilecche non si contino più.
Eppure le distanze sono minime, i bocconi sono gli stessi e magari anche gli ami sono dello stesso numero. Eppure uno pesca e l'altro recita frasi in vernacolo
di origine. Come mai questa differenza? Gli esperti la chiamano manico, esperienza; i «vinti»
fortuna.
L'età media dei pescatori della Lanterna è sui cinquant'anni e le nuove leve sono assai minime. Forse nei paesi della riviera di levante e di ponente è rimasta
una apprezzabile tradizione per la pesca professionale; nel mare di città di pesche spettacolose non se ne realizzano quasi più.
Del resto il nostro mare è stanco ed ha bisogno di riposo. Da troppe parti si attenta alla sua sopravvivenza. Sembrerà strano ma il mare nasce, vive e può anche
morire. Discariche indiscriminate, prelievo dei massi dal fondo, pesca senza tregua con tutti i mezzi per tutto l'anno e per secoli e secoli, impiego di esplosivo,
inquinamento industriale e cittadino, (contrariamente a quanto si creda la maggior parte del pesce commestibile vive in acque chiare e non inquinate), pesca
notturna con fonti luminose, ecc.
Tutto si annulla e restano i ricordi. I ricordi della nostra infanzia, del sole che sorge e che tramonta su Genova, dei pescatori che salpano la rete e delle
loro donne che con il carrettino ricolmo di ogni ben di Dio invitano a gran voce le massaie ad acquistare bianchetti, acciughe, bughe, totanetti, calamari, seppie,
polpi, triglie
E poi in casa e sperimentare le ricette della nonna per cucinare i doni del mare, di questo nostro mare che se lo rispetteremo saprà ancora
esserci amico.
Addio pescôu da mae Lanterna!