Il Mare – 12 febbraio 1955
La perla nella sua conchiglia
Vi giungo tutto bardato come per una escursione alpina, e perché no? Vengo da Milano, e siamo nel bel mezzo di gennaio
Appena scendo dal treno e esco dalla
stazione che è un po' in alto, mi si spalancano davanti mare e cielo: mare fino al più curvo e libero orizzonte, cielo a cupola di cattedrale; e tutto di cristallo
luminoso, raggiante: sotto di me, l'orlo di questo cerchio disteso e di questa mezza sfera che palpita soverchiandolo, un arco di colline boscose, popolate di case,
di ville, d'alberghi, che sporgono con la fronte, la testa, tutta la persona di mezzo alla ramaglia, chiazzando di bianco, il verde, di rosa, di giallo e di celeste.
Al piano, dove il mare frange con il respiro aspro della maretta che ormai si placa – e la spiaggia di piastrelle lisciate dal va e vieni dell'onda luccica di
riflessi metallici, mi metto subito a camminare; come si può rinchiudersi, dopo tanta prigionia tra muri di cemento e strade d'asfalto, e stanze e camere e sale
soffocate dal flato dei caloriferi – adesso che si respira in questa frizzante atmosfera tersa e sapida, in cui l'alga e il sale mettono la loro delicata acredine?
Vado verso oriente per la grande strada in salita
Ai primi passi, mi dan fastidio i guanti; dopo cinquanta metri mi devo togliere la sciarpa di lana; dopo
altri cinquanta, mi sfilo anche il soprabito; e finalmente giù anche il cappello, come davanti a tutto ciò che supera il limite terrestre e umano della bellezza;
ma, ad esser sincero, è perché ho la fronte leggermente imperlata di sudore: e devo riflettere per accertarmi che siamo appena a 15 giorni dal capodanno.
Però, di bellezza non posso più parlare, procedendo; anzi, dentro di me mormoro contro l'egoismo umano: tutta questa brava gente! Si son costruiti i loro alberghi
e le loro ville a mare della strada: così essi contemplano, standosene a guardare dalle poltrone accanto alle finestre o sui terrazzi pensili – e noi poveretti, che
non abbiamo ville e non possiamo sempre vivere negli alberghi più ben collocati, camminiamo lungo muri e muri e muri; ci han messo i paraocchi come ai muli della
macina; non possiamo guardare che davanti, pronti a scansare queste automobili, queste enormi corriere, queste lambrette, che alle curve par proprio che ti abbiano
preso di mira, e ti puntino nelle gambe, per toglierti di mezzo in qualche modo.
Ma improvvisamente ci riconciliamo con l'umanità fortunata e ricca: ogni tanto i muri si fermano, si staccano, lasciano libero uno spazio; compongono una
cornice su un lontano quadro di mare azzurro, tutto fluttuante di barche multicolori, contro una riva su cui s'affacciano case splendenti, e le sovrastano macchie
d'alberi fitti, e il cielo: e le cornici non sono di muratura, ma di cipressi, di palme, d'ulivi, di mimose; e quando un cancello a larghe trame di ferro stende una
grata davanti al quadro, gli dà un vago romantico senso di misterioso: ed è una successione continua di tagli del paesaggio che paiono disposti ad arte da un
regista sensibile, e fertile di fantasia.
Alla discesa, le incorniciature son sempre le medesime, ma col mutar delle prospettive, cambiano i quadri: e in basso Santa Margherita si ridistende tutta
nell'arco breve della sua marina.
Là a occidente c'è un molo; s'avanza in mare, verso il centro dello specchio azzurro, porta sulla punta un basso e tozzo minareto bianco: forse un faro? Certo un
faro; un altro, in mare, gli ballonzola davanti piegandosi da tutti i lati al passaggio delle onde.
Chissà che colloqui a notte, tra le due luci: colloqui muti, ma che i marinai odono di lontano; e ne sento uscire il nome del piccolo porto. Voglio andare fin
là; arrivare fin dove la punta è circondata tutta dalle acque.
Ci sono; e stupisco! Il breve arco della marina s'è allargato smisuratamente; a destra vedo i promontori di verde intenso schiarirsi fino a quello laggiù a tre
vette, come tre grandi mitrie posate sul mare l'un' accanto all'altra: è la costa di Portofino, e il paese, come tutte le bellezze preziose e gelose, si nasconde
nel suo golfetto profondo; alla mia sinistra, la costiera si distende infinita; i dossi dell'altura sono gremiti di cascinali, al labbro dell'onda ridono le
cittadine e i borghi: Rapallo, Zoagli, Chiavari, Sestri Levante.
Ah, perché non è tramontana? Allora vedrei allungarsi, abbassandosi sempre più, la riva di Framura e di Bonassola, vedrei sporgersi verso il largo il Mesco,
limite orientale delle mie Cinque Terre, e forse forse scorgerei la punta di Portovenere, e davanti, appena divise da un solco di mare blu, la Palmaria, il Tino, il
Tinetto, le tre isole degradanti dalla selvosa asprezza della prima al deserto scoglio dell'ultima.
Percorro, perlustro tutta la costiera; cerco qualche cosa di particolare? Sì: la casa della poesia e della malinconia; il castello di Sem Benelli a Zoagli
Eccolo là
Ritirato contro l'altura, quasi immerso, a guardarlo di qui, nel bosco, come se volesse raccogliersi per sentirsi cantar nel cuore le sue melodie.
Ma vien sera.
E' il momento sublime che ogni paesaggio veramente bello ha, nella giornata più bella, della sua più bella stagione.
Il sole tramonta.
Il mare scalda i suoi toni rimanendo di un perlaceo celeste, come se vi passassero sopra respiri d'oro e di rosa.
Ma la costa di Santa Margherita s'è fatta, con le sue folte alberature, d'un verde fosco, quasi di bronzo; e su questa cupa e fissa ombra si leva il giogo
appenninico, distendendosi alto, lontano e lungo; ed è tutto di un rosa acceso, contro cui il bronzeo della collina si fa ancora più denso; ma la costiera,
spiegandosi verso La Spezia invisibile, mette in mostra i suoi paesi e le sue città con più vivo splendore; Chiavari è tutta uno scintillio di bianchi dorati,
splende proprio come una bocca dai denti candidi e umidi.
Bronzo selvaggio, rosa sognante, lirico bianco, oro; un'armonia audace e sicura.
Pochi minuti, quasi un attimo. Poi tutto si spegne, e non il buio, ma le stelle prendono possesso dello spazio in cielo; e in mare le collane di perle lucenti
delle «lampare» alla pesca; e nelle città costiere le catenelle d'oro brillante dei lungomare illuminati; e altre catenelle d'oro scorrenti dal crinale
alle basi delle alture; e qui, in Santa Margherita, l'esplosione di sonorità soltanto cromatiche, nel brusio della folla che rientra, delle insegne luminose mobili
o ferme.
Poi, nella notte fonda, respiro del mare, ritmico, profondo; e ondate d'aromi: e il gran silenzio della pace raggiunta.