tratto dalla "Relazione storica-tecnica integrativa" del "Progetto di parziale demolizione/ricostruzione e cambio di destinazione d'uso del complesso
'Vecchio Ospedale' in via Roma 54" – luglio 2018
Oggi la proprietà dell'immobile è della Società Laurum SML Srl con sede in via della Vittoria 5/2 a Santa Margherita, che lo ha acquistato con atti di agosto
2002, settembre 2005 e novembre 2007.
Ascesa e tramonto di una comunità religiosa.
A Genova e nei territori ad essa soggetti si assiste, nella seconda metà del XV secolo, alla nascita di una nuova congregazione di Osservanza agostiniana ad
opera di un frate originario di Rapallo, Giovanni Battista Poggio. Grazie forse anche al favore di alcuni papi di origine ligure, come il savonese Sisto IV della
Rovere ed il genovese Innocenzo VIII Cibo, egli ottenne il riconoscimento dal superiore generale nel 1473, e successivamente dal consiglio generale dell'Ordine di
Perugia nel 14821. La rapida diffusione iniziale della nuova congregazione, definita anche dei "Battistini", mutuando il nome da quello
del fondatore, avviene soprattutto in Liguria, sua terra d'origine, ad iniziare dal convento di Pieve di Teco (1471).
L'esame dei conventi agostiniani di Rapallo e Santa Margherita, posti in borghi a poca distanza tra loro, evidenzia subito le affinità che dovevano presentare
due fondazioni minori, di struttura più semplice rispetto ai grandi conventi cittadini o a quelli di nobile origine come Loano.
Un inventario dei beni del convento di Santa Margherita, redatto il 24 maggio 1798, poco prima della soppressione della comunità religiosa, ci fornisce una
sommaria descrizione del complesso, costituito da "Una piciola clausura vineata con qualche albero di fruta, ed un piciolo giardino di limoni con poca vigna,
lasciata in parte dal fu Nicolò Quaquero l'anno 1598"2. Si trattava, evidentemente, di un convento di modeste proporzioni (piciola
clausura), probabilmente mai ultimato secondo il progetto iniziale3, con poco terreno circostante, appena sufficiente al mantenimento
di una comunità, che non dovette superare mai il numero complessivo di cinque-sei persone. La casa sorse su un terreno donato per disposizioni testamentarie del 15
ottobre 1593 da Nicolò Quaquaro, un commerciante marittimo del luogo che aveva fatto fortuna a Lima, in Sud America4. La costruzione della
chiesa, posta sotto il titolo della Santissima Annunziata, iniziò tre anni dopo, il 13 settembre 1595, alla morte del donatore: il priore del convento di Rapallo,
Antonio da Camporosso, ricevette, a nome di fra' Paolo Cassolo, vicario generale della congregazione, l'area e la somma necessaria stabilita nel
testamento5. Secondo le disposizioni del fondatore, il monastero doveva comprendere anche una torre per rifugio ai religiosi, in caso di
invasione dei turchi; la struttura costruita a tale scopo fu utilizzata anche quale campanile, assolvendo così ad una duplice funzione. L'insufficienza dei fondi
del lascito Quaquaro determinò il rifinanziamento a più riprese dell'opera che, essendo ritenuta necessaria per la comunità (nel convento era anche attiva una
scuola per i giovani meno abbienti)6, fu disposto con pubblici proventi.
Nel 1621 gli agenti deliberarono l'erogazione di un nuovo sussidio, ma neppure questo fu
sufficiente a completare i lavori7. Nel 1625, considerato che l'opera non era ancora conclusa, il Senato minacciava di togliere
l'autorizzazione al pagamento dei fondi raccolti. Ma le suppliche dei religiosi e della comunità cittadina a favore della conclusione dei lavori impedirono di
attuare la proposta del Senato.
Nel 1630 il convento doveva essere ultimato ed abitabile, permettendo ai frati – quasi sempre in numero molto limitato – di trasferirvisi da una casa di
abitazione esterna8.
Le elargizioni pubbliche e le donazioni a favore degli Agostiniani non mancarono neppure nel secolo successivo. Nel 1709, ad esempio, i Padri ottennero una
somma di 200 lire per completare la strada di accesso al convento, fino ad allora raggiungibile da poco agevoli sentieri. Nel 1728 una ulteriore somma di 200 lire
fu accordata dal Comune per la riparazione dei tetti della chiesa. Ancora nel 1773 il Comune stanziava la somma di 600 lire, dopo aver fatto redigere una stima dei
lavori, per riparare i tetti del convento. Ma questa volta fu un sollevamento pubblico ad impedire il finanziamento, dal momento che una cifra di 200 lire per
effettuare gli stessi lavori alla chiesa di San Siro fu rifiutata dai rappresentanti del Comune. All'origine della opposizione popolare era certamente anche da
porre il comportamento di alcuni frati, accusati di dubbia morale e di furti sacrileghi.
Si arriva infine al 1798, anno primo della Repubblica Ligure. Una legge del 5 ottobre dava facoltà al Direttorio di abolire i conventi con meno di 12 sacerdoti.
La sorte per l'Annunziata di Santa Margherita, abitata da cinque frati di età avanzata, era così definitivamente segnata9.
La trasformazione del convento in ospedale.
Apparve subito naturale agli amministratori pubblici che una struttura caratterizzata da un grande volume chiesastico ed un capace convento, avrebbe risolto la
carenza di spazio per le necessità della collettività. Così, in più riprese, tra il 1819 ed il 1820 il Comune deliberò l'acquisto del complesso per stabilirvi la
propria sede10. E' lecito ipotizzare che ciò fu finalizzato, fin dall'inizio, a dotare la città di un nuovo ospedale. Il progresso delle
scienze mediche aveva infatti indotto molte amministrazioni ad avviare la costruzione di nuovi e moderni edifici ospedalieri, superando così la frammentazione delle
strutture sanitarie presenti in molte città, perlopiù gestite da Ordini religiosi ed assistenziali.
Un primo atto per la fondazione di un ospedale nell'ex convento fu compiuto il 22 ottobre 1829, quando un privato cittadino, Giuseppe Debernardi, fece
testamento, legando a favore del Comune la propria villa con giardino, la chiesa e parte del convento degli Agostiniani per la fondazione di un
ospedale11. Con un lascito testamentario del 5 febbraio 1833, un altro benefattore, Michele Gimelli, provvedeva alla dotazione di 3000
lire annue, da effettuarsi dopo la sua morte, per la fondazione dell'ospedale nella fatiscente chiesa degli Agostiniani, già oggetto della donazione Debernardi. Ma
è nel 1835 che la città, forse sotto l'incombente pericolo di un'epidemia di colera che stava interessando Genova e parte della Liguria, volle dotarsi di un nuovo
ospedale. Con pubbliche raccolte e con la concessione anticipata della somma promessa dal Gimelli si poterono iniziare i lavori. Il progetto, il cui valore
ammontava a 14.112,10 lire, venne redatto dall'architetto Gio Batta Prato, chiavarese, autore anche di altri interventi rilevanti nel
Tigullio12. Il 14 dicembre fu posta la prima pietra, ed il 1°: agosto 1841 l'opera venne inaugurata alla presenza del capitolo dei
canonici della parrocchiale, di autorità civili e militari e di privati cittadini13.
Mancava al nuovo nosocomio un più agevole collegamento con il centro cittadino. Fu così che, alcuni anni più tardi, il Comune appaltò i lavori di costruzione
della scalinata che, modificando una mulattiera preesistente, dal lungomare si attestava contro la facciata, in asse con il portale principale. Tale funzione fu
presto sostituita da un più agevole collegamento veicolare lungo il nuovo asse stradale sotto il rilevato ferroviario (oggi Via Roma), progettato nel 1868 ed
ultimato nel 187214.
Nuovi lavori vennero eseguiti all'inizio del Novecento, come confermato dalla data "1902" realizzata in mosaico nel pavimento del solaio di arrivo della scala
al terzo piano fuori terra della parte conventuale.
Nel 1947 l'ex convento fu sopraelevato di un piano, successivamente (1949) attrezzato ed adibito a reparto maternità.
Il trasferimento delle competenze sanitarie alle regioni, avvenuto nel 1971, determinò la fine dell'attività ospedaliera dell'edificio, anche se la proprietà
rimase sempre in capo ai Pii Istituti Riuniti di Santa Margherita Ligure.
Dopo un breve utilizzo del reparto maternità ad edificio scolastico, nel 1985 l'ospedale di Sant'Agostino fu definitivamente chiuso.
Le strutture superstiti del convento agostiniano.
E' noto come anche in Liguria nel Due e Trecento15, all'epoca della prima diffusione degli Ordini mendicanti, vengono adottate
precocemente le più diffuse tipologie architettoniche quali la chiesa ad aula, con un unico grande spazio destinato ai fedeli nella parte anteriore, e la chiesa a
tre navate, con o senza transetto, di derivazione cistercense, il cui corpo anteriore, destinato ai fedeli, è provvisto di copertura lignea a vista.
L'articolazione volumetrica del convento di Sant'Agostino, prima della trasformazione in ospedale, è desumibile dalla planimetria di Santa Margherita contenuta
nell'atlante del Vinzoni16.
Pur nella sua apparente schematicità, il disegno (fig. 1) restituisce l'impianto del complesso, formato da due corpi: la chiesa, con asse Nord-Sud, e l'edificio
conventuale, perpendicolare ad essa verso Est, attestato contro il coro della chiesa.
Di quest'ultima, inglobata successivamente nell'edificio ospedaliero, è ancora conservato l'impianto planimetrico, anche se di difficile lettura per la
sovrapposizione delle nuove murature e l'introduzione di un solaio intermedio per suddividere il vano in due livelli. Un disegno prospettico settecentesco del borgo
di Santa Margarita, conservato presso l'Archivio di Stato di Genova17, ce ne restituisce l'immagine e l'articolazione volumetrica
esterna: di grande evidenza è la chiesa, a tre navate, di cui la centrale, più alta delle laterali, è priva di finestre lungo i fianchi (fig. 2).
Il disegno ci restituisce anche la consistenza del convento, di altezza pari a quella della chiesa, articolato su due livelli. L'impianto del piano terreno, seppure non deducibile dal disegno, è perfettamente riconoscibile in base ad una attenta analisi delle murature originali esistenti, ancora conservate nonostante le modifiche e le aggiunte moderne: ciò è stato reso possibile anche a seguito di una campagna di saggi stratigrafici effettuata dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Liguria nel 2013. Così, partendo dall'angolo presso il campanile, si ritrova un primo locale quadrangolare, costituente l'atrio del vano scala sul quale si attesta la rampa di accesso al piano superiore: il vano, che verosimilmente aveva questa funzione fin dalle origini, reca i segni di una ristrutturazione all'epoca della trasformazione in ospedale. Procedendo verso Est si trova un grande vano coperto con volta a padiglione lunettata. La posizione al piano terreno, in fondo alla manica edilizia, in modo da usufruire di un doppio affaccio - Est e Sud -, unitamente all'eleganza della volta di copertura, portano ad identificare questo locale con il refettorio. Lo stretto corridoio sul retro è un elemento distributore che mette in comunicazione questo con alcuni vani minori affacciati a Nord, da identificarsi nella cucina e nella dispensa. Non si ha traccia della sala capitolare, vano molto importante per la comunità conventuale, collocato generalmente al centro di questa manica, accanto alla chiesa. Sempre presente nei conventi medioevali, essa era progressivamente caduta in disuso nell'architettura degli Ordini riformati18. Al piano seminterrato sono ancora perfettamente conservati alcuni locali voltati, costituenti le cantine ed i magazzini, uno dei quali conserva ancora la base di un piccolo frantoio per le olive. Un grande vano inesplorato, posto al di sotto del refettorio, è da identificarsi con la cisterna, da cui si attingeva l'acqua tramite una apertura quadrata che si apriva nel soprastante locale.
All'epoca della stesura della veduta prospettica il campanile non era ancora stata modificato con la sopraelevazione del tamburo ottagonale e la creazione del
cupolino a bulbo, secondo un elegante disegno settecentesco ancora oggi visibile, con cui si è inteso conferire un maggiore snellimento ad una torre campanaria che,
per la limitata altezza rispetto ai corpi adiacenti, doveva apparire piuttosto tozza e sgraziata.
La trasformazione del vecchio convento agostiniano in ospedale nasce poco più di trent'anni dopo la pubblicazione di un manuale sull'argomento, il Saggio sugli
Spedali (1803), il cui autore era un medico chiavarese, Giovanni Antonio Mongiardini, titolare di varie cattedre nell'ateneo genovese dal 1803 al
183519. Il Saggio, fonte d'ispirazione per medici di fama nazionale come Alessandro Flajani20, sarà uno
dei principali scritti ispiratori che proprio a Genova rivoluzionerà la concezione ospedaliera del vecchio Hotel-Dieu a sala unica e contribuirà alla
diffusione del tipo "a padiglioni", adottato per il nuovo ospedale degli Incurabili (divenuto poi manicomio), progettato dall'architetto Carlo Barabino nel 1830 nei
pressi della foce del Bisagno, e per l'ospedale Sant'Andrea, fondato nel 1888 da Maria Brignole-Sale, duchessa di Galliera, sul colle di Carignano.
Con la trasformazione del vecchio convento dell'Annunziata in ospedale, appare ovvio che la prima preoccupazione del progettista e del committente fosse quella
di riutilizzare le murature preesistenti, nell'ottica di contenere quanto più possibile i costi di costruzione. D'altronde la conservazione delle murature della
chiesa e del convento non avrebbe rappresentato un problema in quanto, fin dai primi esempi di edifici ospedalieri sorti ex novo nel XIII secolo in
Europa21, la forma della sala ricalca l'impianto di una chiesa ad una o più navate.
Gli elementi che il Mongiardini ritiene importanti nella progettazione di un ospedale sono:
Alcuni requisiti tra quelli sopra ricordati erano già posseduti dalla chiesa agostiniana: la sua posizione preminente, isolata, a Levante del centro abitato,
esposta per tutti i fronti ai quattro venti ed al corso del sole, la rendeva particolarmente adatta per un uso sanitario. Una maggiore esposizione delle sale
ospedaliere sarebbe stata risolta con la suddivisione della ex chiesa in due piani, destinando l'inferiore a sale di visita ed operatorie, ed il superiore, più
luminoso e meglio esposto, alla degenza. Un ottimale sfruttamento dell'esposizione fu inoltre promosso con l'introduzione di una balconata sul fronte meridionale al
primo piano, accessibile dalle sale.
Il ridotto sviluppo dimensionale delle sale, anziché essere un elemento negativo, poteva rappresentare un requisito favorevole al perseguimento di una maggiore
salubrità, come lo stesso Mongiardini aveva indicato, quando propugnava la suddivisione di un grande ospedale in padiglioni minori. Ciò avrebbe permesso di
conseguire migliori risultati per la ventilazione e la pulizia dei locali, e per limitare la diffusione di contagi e malattie.
Per migliorare gli aspetti igienici delle sale di degenza, l'architetto abbandonò il concetto del vano unico di epoca medioevale, suddividendo con semplici
tramezze lo spazio della ex chiesa in quattro sale, coperte con una volta botte incannucciata. Al centro ricava un vano quadrato, destinato a cappella, coperta con
una pseudo-cupola, in modo che fosse visibile da ogni angolo delle sale, per favorire la partecipazione ai servizi religiosi dei ricoverati, anche dai propri
letti. Un sistema di scale a tenaglia, addossate ai lati Est ed Ovest della cappella, permetteva il collegamento tra i due piani. Attraverso piccole aperture
praticate nel muro di fondo, il personale di vigilanza, posto in due locali a fianco della cappella, poteva sorvegliare ed osservare quanto avveniva nelle sale.
La suddivisione del vano unico della chiesa in quattro sale, tangibile richiamo alle tipologie rinascimentali, era funzionale anche per evitare la promiscuità
tra sessi, ma soprattutto tra malati di diverse specie, fatto che avrebbe potuto arrecare conseguenze nefaste in caso di epidemie. A tale scopo una sala era infatti
stata attrezzata a lazzaretto per gli infermi di una nuova epidemia di colera22.
Per sottolineare l'ingresso all'ospedale e conferire al fronte principale una maggiore qualificazione rispetto agli altri, il Prato, ispirandosi ai modelli
dell'architettura neoclassica, pone al piano terreno un portico ad esedra, ricavato in un volume aggiunto al fronte della chiesa ed aperto all'esterno con tre
fornici separati da colonne doriche. L'ordine architettonico presenta un architrave continuo, che risvolta anche nei fianchi dell'edificio. Conclude la facciata un
timpano triangolare, entro cui si aprono due piccole aperture semicircolari, destinate a favorire il ricambio d'aria delle sale retrostanti. In facciata, ai lati
del portico, sono state ricavate due nicchie, contenenti un tempo i busti in marmo di Giuseppe Debernardi e Michele Gimelli, fondatori dell'ospedale, opera dello
scultore Olivari del 1839, oggi conservati nella sede dei Pii Istituti Riuniti.
Tutte le murature e i particolari decorativi sono ricoperti con un fine intonaco a marmorino di notevole qualità esecutiva, ancora conservato nei tratti non
interessati da modifiche e rifacimenti.
1 si veda B. RANO, Giovanni Battista Poggi, fundador de la genovesa congregaciòn de Santa Maria de la Consòlacion de la orden de los
Agustinos, in Gli agostiniani a Genova e in Liguria tra Medioevo ed Età Moderna, Atti del convegno internazionale di studi, a cura di C. Paolocci,
Genova, 9-11 dicembre 1993 (Genova 1994), pp. 241-259.
2 Archivio di Stato di Genova, Prefettura Francese, serie Conventi, Stato attivo e passivo del convento degli Agostiniani del luogo di S.ta
Margherita, 24 maggio 1798.
3 A. REMONDINI, Le parrocchie dell'Arcidiocesi di Genova, regione III, Genova 1887, p. 177.
4 F. ROLLINO, A. FERRETTO, Storia documentata della parrocchia di Santa Margherita Ligure, Genova 1907, pp. 147-149; A.R. SCARSELLA,
Annali di Santa Margherita Ligure dai suoi primordi sino all'anno 1914, Rapallo 1914, I, p. 101.
5 A.R. SCARSELLA, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., p. 102.
6 A.R. SCARSELLA, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., p. 147.
7 F. ROLLINO, A. FERRETTO, Storia documentata, cit., p. 202.
8 A.R. SCARSELLA, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., I, p. 126. Ancora il 18 febbraio 1658 gli Agenti del Comune deliberarono la
donazione di 50 lire annue per il sostentamento dei frati.
9 Archivio di Stato di Genova, Prefettura Francese, serie Conventi, Stato attivo e passivo del convento degli Agostiniani del luogo di S.ta
Margherita, 24 maggio 1798.
10 A.R. SCARSELLA, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., II, p. 164.
11 A.R. SCARSELLA, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., II, p. 178.
12 Negli stessi anni il Prato firma importanti progetti, quali il palazzo Vescovile di Chiavari (1833), il conservatorio delle suore
Giannelline, sul lungomare cittadino (1837), e la facciata della chiesa di Santa Maria di Nazareth a Sestri Levante (1840). Sull'architetto Prato si veda in
proposito L. SANGUINETI, Nostra Signora dell'Orto, Rapallo 1955, pp. 216, 233.
13 A.R. SCARSELLA, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., II, pp. 183, 186-187, 194.
14 A.R. SCARSELLA, Annali di Santa Margherita Ligure, cit., III, pp. 16, 21, 23.
15 Sull'argomento si rimanda a G. ROSSINI, L'architettura degli Ordini Mendicanti nel Due e Trecento, Bordighera 1982.
16 M. VINZONI, Il Dominio della Serenissima Repubblica de Genova in Terraferma, ms. sec. XVIII (1773), in Civica Biblioteca Berio,
Cf.2.9, Genova (pubblicato Genova 1955), p. 11.
17 Archivio di Stato di Genova, Raccolta cartografica, n. 240.
18 Nel caso dei Francescani, ad esempio, le riunioni che in origine i Conventuali tenevano nella sala capitolare saranno trasferite dai
riformati nel coro o nel refettorio, cfr. G. ROSSINI, Conventuali, Osservanti, Cappuccini. Architetture francescane della Liguria a confronto, in I
Francescani in Liguria. Insediamenti, committenze, iconografie, Atti del convegno, a cura di Lauro Magnani e Laura Stagno, Genova 22-24 ottobre 2009 (Genova
2012), pp. 151-168.
19 Su questa figura e sul clima di rinnovamento sanitario che dominava a Genova in quegli anni, si rimanda a E. POLEGGI, Architettura,
tecnologia e innovazione sanitaria, in E. POLEGGI (a cura di), L'Ospedale della Duchessa 1888-1988, Genova 1988, pp. 35-127.
20 Egli pubblicò, a distanza di qualche anno, il Saggio filosofico (Roma 1807) ed il Giornale medico-chirurgico (Roma1808).
21 Ci si riferisce, ad esempio, alle sale ad unica navata dell'hopital di Tonnerre, in Borgogna, ed alla Bijloke a Gent, o a
quella a due navate dell'infermeria dell'abbazia di Ourscamps o, infine, a quella a tre navate dell'hopital Saint Jean ad Angers (C. TOLLET, Les édifices
hospitaliers depuis leur origine jusq'à nos jours, Paris 1892). Per un esame tipologico delle strutture ospedaliere, si rimanda a A. PAZZINI, L'ospedale nei
secoli, Roma 1958, e M. SALVADÉ, Evoluzione dei caratteri distributivi nella architettura ospedaliera, in "Atti del primo congresso europeo di storia
ospedaliera", Reggio Emilia 1960, pp. 1116-1131.
22 L'uso a lazzaretto di una parte dell'ospedale avvenne in più momenti, durante le epidemie del 1854 e del 1867 (A.R. SCARSELLA, Annali di
Santa Margherita Ligure, cit., III, p. 13).