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    Pezzi di storia

I merletti nel circondario di Chiavari (2/4)
di Giovanni Battista Brignardello [1873]

(precedente)

Importa assai a fine di ottenere la esecuzione perfetta dei merletti, di pungere a eguali distanze e bene assai, le cartoline dei disegni, nei di cui fori dipoi le lavoratrici conficcano gli spilli, i quali servono di regola per condurre con precisione i fili avvolti ai piombini. I disegni che ora sono in uso, differenziano molto dagli antichi pei miglioramenti introdottivi, per la ricchezza del lavoro e per la varietà dei punti impiegati negli stessi.
Qualunque oggetto di ornamento femminile con disegni i più svariati, a ornati, a mazzi di fiori ec., colà e specialmente a Santa Margherita viene eseguito: scialli, mantiglie, talmud, vite, camicette, fazzoletti, veli per copertura della testa e simili. Ho visto in Santa Margherita degli scialli che misuravano due metri quadrati, e delle talme o mantelli per signora che avevano un'altezza di circa un metro e centimetri sessanta, e una lunghezza di quattro o cinque metri. Ma il più importante si è che i medesimi sono tutti di un solo pezzo, e non aggiunti a varie liste, come generalmente lo sono quelli di Francia; né hanno verun preparato come quelli che ci vengono dall'estero, ai quali dai fabbricanti lo si dà appositamente a fine di dare loro una maggiore, ma fugace bellezza.
Debbesi saper grado alla Società Economica di Chiavari, per avere sempre promosso il lustro e lo incremento delle manifatture del circondario, e in ispeciale modo se al principio del corrente secolo i merletti di Santa Margherita Ligure ebbero solenne prova di onore nella metropoli della Francia. Nel 1806 furono inviati alla Mostra Nazionale di Parigi i pizzi e i merletti di Santa Margherita, e talmente furono apprezzati, che meritarono ne fossero trascelti alcuni saggi per essere depositati in quel celebre Conservatorio delle arti e dei mestieri.
Di questa importante onorificenza tributata a una nostra manifattura nazionale, è fatto cenno in un discorso letto alla Società Economica, così intitolato: Analisi dei lavori più interessanti della Società Economica residente in Chiavari riguardante l'agricoltura, le arti e manifatture, pubblicata nell'adunanza del 3 luglio 1808, ricorrendo l'annuale Esposizione delle produzioni dell'industria di questo dipartimento,1 letta dal socio De-Ambrosys, segretario generale della Prefettura del dipartimento degli Apennini, e di detta Società. Chiavari, dalla stamperia Pila, in-8. - Ecco il brano che qui mi piace di trascrivere, e ch'è a pagina 9:
«La Società è pure impegnata a far prosperare l'ingegnosa manifattura dei pizzi, il cui smercio considerevole si estende persino nella Spagna e Portogallo, e somministra la sussistenza quasi totale della popolazione di Santa Margherita, San Giacomo,2 e ad una parte di Rapallo: fu sua premura se figurò, ed acquistò nome fra le immense nazionali manifatture nella sorprendente Esposizione della Metropoli, e se alcuni lotti più distinti per eleganza di disegno, finezza ed esattezza di lavoro trascelti furono conservati nel nazionale deposito, monumento onorevole dell'industria e studio degli artefici, e principalmente della perspicacia ed intelligenza dei signori Gimelli e Pini promotori, e direttori principali di questo ramo di commercio.»
E negli anni avvenire la Società Economica mai si ristette dal favorire e inanimire questa manifattura, e nei discorsi tenuti nei primi giorni di luglio d'ogni anno alle pubbliche Esposizioni, e incoraggiando gli artieri con premi, destando così in loro la emulazione tanto utile per tenere in fiore le arti.
Rammento le autorevoli parole pronunziate nella premiazione del 3 luglio 1822, dal vice-presidente Mario De-Veri; discorso che fu pubblicato in Chiavari coi tipi di Francesco Botto. A pag. 5 egli dice così: «La Società che veglia sulle opere degli artefici studiasi con ciò proscrivere da Chiavari l'alterazione delle manifatture, acciò non mai veggasi fra noi che l'alterato o il supposto sottentri o deturpi i genuini prodotti dell'agricoltura e delle arti, con che durevole fra noi avverrà si conservi di questi la riputazione, e il commercio. Egli è il commercio il terzo oggetto dell'economiche nostre istituzioni, ed il terzo impegno solennissimo che voi contraeste, o pregiati soci, col pubblico dando il vostro nome a questa felice reggia delle arti e delle economiche discipline.
Il commercio fu detto non essere in sé stesso, nell'origin sua, che un semplice ricambio di cose, il quale nulla produce per sé; proposizione ella è questa vera in astratto, ma falsa addiviene allorquando il genio ristoratore delle arti sopraggiunge a trar profitto da quel cambio col mezzo di particolare finezza e perfezione nei prodotti non solo della terra, ma in quelli eziandio delle manifatture. Lo smercio fassi allora più vantaggioso per chi è più intelligente, e quanto più cresce, tanto più avviva le arti e l'agricoltura, dalle quali trasse l'origine. Senza lo smercio vi terreste, o coltivatori, ne' vostri casolari, e voi o artieri nelle officine vostre i prodotti e lavori risultato de' vostri sudori. Chi consumerà i fini olii ed abbondanti? Quale straniera matrona o donzella si fregerà de' nostrali merletti, e dei preziosi nostri tessuti di seta? Come l'onore sosterrassi de' telai, pei quali Chiavari è, da gran tempo sì celebre in panni lini?»
Ma l'epoca precisa in cui i merletti ebbero premi dalla Società Economica, fu nella pubblica mostra del 3 luglio 1823. I premiati furono Giuseppe Debernardi e Angela Figari di Santa Margherita con la menzione onorevole, per pizzo foggiato a cuffia. Quindi per quasi un decennio non si sentì più a parlare di loro, ma comparvero nuovamente alla Esposizione del 1832, ed ebbe la menzione onorevole Luigi Giovo, pure di Santa Margherita, per una blonde, e in quella del 1833, per lo stesso oggetto esposto ebbe la medaglia d'argento, la quale è data sempre a titolo di primo premio, essendo secondo premio quella di rame. Ecco cosa fu detto in proposito nella tornata del 3 luglio dell'anno 1833.
«Fu conferito il primo premio a Luigi Giovo di Santa Margherita, dalla cui fabbrica di merletti è uscito una blonde similissima alle forestiere, e per la quale manifattura nell'Esposizione dell'anno scorso era già stato distinto con onorevole menzione. Siccome la moda è l'arbitra del pubblico favore o disfavore verso le opere di lusso, così da parecchi anni è accaduto, che le fiorenti fabbriche di merletti in refe di Santa Margherita soggiacessero ad una forte deprezzazione, per la introduzione in commercio di quelli di cotone detti toulls ricamati, od in seta appellati blondes. I toulls, siccome composti d'una materia meno costosa e fabbricati con macchine, facilmente allettarono colla tenuità del prezzo; ma le blondes ripetono ogni favore dalla eleganza della moda. Meritò dunque assai del pubblico chi primo pensò in Santa Margherita a tentar di sostituire il lavoro delle blondes a quello delle solite trine: e la Società riputava parte di sue cure il pubblicare, ed onorare il merito del signor Giovo, che portò le blondes a somigliar perfettamente alle forestiere, sperando con ciò di meglio invogliare il gentil sesso a promovere una manifattura nazionale, che loro offre con minore spesa, e con patrio amore, un egual pregiato ornamento.»
L'anno 1835 il signor Luigi Giovo presentò nuovamente alla pubblica mostra le sue blondes, ma: «si dichiarò non essersi fatto sperimento per premio alle blondes della fabbrica del signor Luigi Giovo di Santa Margherita, perché cotali oggetti furono già decorati del premio negli anni scorsi. A costui fu deliberata la menzione onorevole.»
Per quattro anni i merletti non furono premiati dalla Società Economica; soltanto nel 1840 alla consueta Esposizione di luglio, ebbe la menzione onorevole Angela Rossi, maestra nell'Ospizio di Carità e Lavoro di Chiavari, per merito nel lavoro d'una blonde; e nel 1841 fu creduta degna di secondo premio Maria Temossi alunna dell'Ospizio medesimo, per fattura di pizzi.
Nella superba Genova fu tenuta l'anno 1846 l'ottava riunione degli scienziati italiani. A pag. 229 degli Atti pubblicati l'anno seguente in quella città, coi tipi del Ferrando, vi è inserito il Rapporto della Commissione incaricata di riferire sulle arti e manifatture genovesi; ivi è fatto cenno di quella importante manifattura, che sono i merletti, nel tenore seguente. «I guanti, i ricami e le trine danno qui, più che altrove, alle mani femminili vasta ed utile occupazione. Al ricamo lavorano zitelle di caritatevoli Istituti, e di famiglie cittadine, e di pescatori. Ben cento bastimenti che vanno in America, portano ciascuno col carico un assortimento di ricami detto, paccotiglia; trasporto di una quantità maravigliosa.
Lo stesso accade delle trine che si lavorano a Santa Margherita, a Rapallo, a Chiavari; e non è esagerazione il dire che fanno la ricchezza di molti. Il refe viene a quest'industria dalle Fiandre, e il filo di cotone dall'Inghilterra; il quale non può aversi altrimenti di una finezza quasi impalpabile, che da quelle macchine che nella perfezione e copia de' prodotti sorpassano l'umana credenza.»
Dalle indagini fatte non mi resulta che sia stato premiato verun altro, tranne il cav. Francesco Tessada di Genova, fabbricante di lavori di ricamo e trine; a lui pertanto fu conferita la medaglia d'argento dorato. Questi ha una bella pagina nella storia dell'arte, e lo mostrano le seguenti onorifiche insegne a lui conferite. L'anno 1851 alla prima Esposizione universale di Londra, ebbe la medaglia di bronzo; e l'istesso anno a quella di Torino, il Giurì gli assegnò la medaglia d'argento dorato, pronunciando il seguente giudizio: essendo il suo Stabilimento il primo che introdusse nello Stato tale industria, e l'abbia portata al suo grado di perfezione a cui è giunta. Fu premiato nel 1853 all'Esposizione universale di Nuova York con medaglia di prima classe in bronzo, e a quella industriale di Genova, nel 1854 con tre diplomi, e sempre colla conferma della medaglia d'argento dorata, per pizzi d'ogni genere, e in ispecie per la perfetta esecuzione d'una mantiglia di pizzo nero in seta e dei pizzi detti a guipure. Nuovamente in Genova nel 1855 ebbe, in mancanza di medaglie, il grande diploma di merito; una medaglia di bronzo la ebbe a Parigi nello stesso anno; e il 1858 quella d'argento all'Esposizione di Torino, per disegni graziosissimi e perfetta esecuzione de' suoi lavori in ricamo, unita a prezzi convenienti negli abiti di mussola, fazzoletti di batista, scialli, mantiglie, tullo bianco e nero, a strisce ricamato. A quella di Firenze nel 1861, gli fu conferita la medaglia di bronzo e il diploma di merito, non vi essendo altra medaglia da offrigli. L'anno 1862, ottenne a Londra la medaglia di bronzo con diploma. Ebbe la facoltà di fregiare dello stemma reale l'insegna del proprio Stabilimento, da S. M. il Re d'Italia, l'anno 1859; e il 20 gennaio 1864 con altro regio decreto fu ascritto fra i cavalieri dell'ordine equestre dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Antonietta Costa di Santa Margherita, fu quella che l'ottobre del 1853, quando fu tenuta in Chiavari in occasione del Congresso Agrario, una Esposizione agraria industriale, mandò a quella pubblica mostra una mantiglia di pizzo nero, che fu giudicata di bello disegno e lavoro e molto ampia, e perciò ebbe dalla Società Economica la medaglia di rame. E' questa la prima volta che vedesi in Chiavari premiato un oggetto di maggiori dimensioni del consueto: da questa epoca pare che l'arte dei merletti volga a un nuovo periodo di risorgimento.
E di fatti sarà memorabile per l'arte de' merletti l'anno 1854, poiché questi fecero bella mostra in Genova, ove ebbe luogo una Esposizione industriale, e furono premiati fabbricanti di Rapallo, di San Michele di Pagana, frazione del comune medesimo, e di Genova.
Ma prima ch'io mi accinga a discorrere dei premi toccati a quelli di Rapallo porto ferma speranza, che non tornerà sgradito al lettore di leggere qualche cenno intorno a questa piccola città.
Rapallo giace in riva al mare, a trentun chilometri da Genova e trentanove [?] da Chiavari nella strada che conduce in Toscana, e nel centro del golfo che ne porta il nome, il quale anticamente chiamavasi Tigullio. I monti che le fanno corona sono verdeggianti di ulivi e di viti, e sui colli che le stanno a levante si ammirano ville amene popolate di belli palazzi, fra i quali spiccano viemaggiormente quello del barone Baratta, al cui ingresso ha un giardino, che volentieri il passeggiero ammira; quello del marchese Serra, che si specchia nel mare; e a ponente nella parrocchia di San Michele di Pagana, l'altro del marchese Franco Spinola, di recente quasi totalmente ricostrutto, e ch'è il più bello di quanti ne ha il golfo: dimore tutte quante di delizie del genovese patriziato.
Rapallo è una città delle più antiche della Liguria, di cui, siccome osserva il Giustiniani, s'ignora al pari di Genova la fondazione. Anticamente chiamavasi Tigullia. Negli anni 1171 e 1172 armò tre galere colle quali i suoi abitanti, come alleati dei Genovesi combatterono contro i Pisani; e a quell'epoca era raro che in Liguria vi fossero altre terre che armassero di per sé in una sola volta tre galere. A dì 7 marzo 1229 si diede spontaneamente al comune di Genova.
Personaggi di chiara fama ebbero i natali in Rapallo; ecco i nomi dei più distinti: Biagio Assereto, cancelliere della repubblica di Genova, almirante, che a dì 5 agosto 1435 vinse nelle acque dell'isola di Ponza, la battaglia contro la dotta aragonese, nella quale restarono prigionieri due re. Fu governatore di Milano sotto Filippo Maria Visconti.
Battista da Vigo, chiamato generalmente maestro Battista da Rapallo, celebre chirurgo; morì in Genova nel 1510. Giovanni figlio di lui fu pure valente chirurgo; esercitò come il padre a Saluzzo, e dipoi a Genova, a Savona, a Roma. Nel 1513 pubblicò la sua Pratica chirurgica, opera che fu tradotta in molte lingue, e della quale dicesi sieno state fatte più di quaranta edizioni. Morì in Roma onorato e ricco.
Fortunio Liceti, uomo di vastissima erudizione; grammatico, retore, filosofo, teologo, astronomo, matematico, naturalista, antiquario e persino poeta: fu professore di filosofia e medicina teorica in Padova e in Pisa, ove cessò di vivere nel 1656. Scrisse centoventi opere, cinquantasette videro la luce, ventidue erano pronte per le stampe, le altre incomplete. Fu amico dell'immortale Galileo Galilei, che gli diede ampie testimonianze di stima nelle lettere che gli scrisse, le quali sono pubblicate nelle opere del grande astronomo.
Il dotto vescovo di Nebbio, Agostino Giustiniani della Banca, autore della Bibbia poliglotta e degli Annali genovesi, sebbene nato in Genova nel 1470, la famiglia di lui è originaria di Rapallo. Anche oggidì, vicino a questo luogo, vedonsi le mine di un castello nominato dai Rapallini castello della Banca. E basti quanto ho detto di Rapallo; continuiamo a discorrere dei merletti.
Di Rapallo, adunque, ebbe il premio Merlini Pasquale, fabbricante di pizzi in filo e seta, per vari lavori diligentemente eseguiti e di mediocre disegno; Sacco Maddalena, per un pizzo ad imitazione di Francia: e questi ebbero la medaglia di rame. Fu conferita quella di argento alle Lavoratrici (così è detto nell'elenco a stampa), di San Michele di Pagana, fabbricanti di pizzi in filo e seta, per due scialli e altri oggetti di pizzo diligentemente lavorati.
Di Genova ebbe la medaglia di argento Giovan Battista Rainusso, per pizzi di vario genere di filo e seta di perfettissima esecuzione e ben corrispondenti alla fama che questa fabbrica (specialità di Santa Margherita e di Rapallo) si è da molti anni acquistata in paese ed all'estero; e Francesco Tessada già nominato sopra. Angela Mortola e Andrea Deandreis fabbricanti pure di Genova, ebbero la menzione onorevole; il primo, per un pizzo di seta nero, il secondo, per un pizzo alto quarantacinque centimetri. Così essendo stampato nell'elenco, sembra che per quei tempi un pizzo di tale misura dovesse essere assai pregevole.
E qui credo utile cosa il riferire ciò che a riguardo di talune manifatture del circondario di Chiavari e specialmente di quella dei merletti, fu detto in occasione di quella esposizione; e lo tolgo dall'opera intitolata: Elenco dei premiati nella esposizione industriale di Genova nel febbraio 1854, con notizie sulla patria industria dopo il 1850. Genova, tip. Pellas, 1857. A pag. 57, CLASSE III, § COTONE, LINO E CANEPA, leggo quanto segue: «Le tele casalinghe di filo per biancheria, che si tessevano specialmente a Chiavari, dove nel 1846 la produzione annua calcolavasi a circa 1,000,000 di lire, caddero molto in disuso per la concorrenza delle estere, e di quelle di cotone. Si sostiene sempre la tessitura di tele spigate, ad occhio, rabescate, damascate, per uso di tovaglie, tovagliuoli, asciugamani (macramè), ec., che anzi dai saggi esposti i periti arguirono accresciuto in varie città dello Stato, e segnatamente in Genova e Chiavari, il pregio dell'eleganza, e mantenuto quello antico della solidità e della durata.»
A pag. 63, CLASSE IV, § MAGLIE, PIZZI E RICAMI, leggo così: «Fiorente è sempre la ligure industria dei pizzi, che non ha riscontro in verun'altra provincia dello Stato, e che da remotissimo tempo si esercita dalle donne di Rapallo, Santa Margherita, Zoagli, Portofino, Recco, Camogli e Ruta. Ben inteso che non bisogna istituire confronto colle condizioni in cui trovavasi nei secoli addietro, allorquando buona parte d'Italia, Spagna, ed anche il mezzogiorno della Francia, esclusivamente alimentavano col loro consumo il lavoro di circa 20,000 donne in Genova e riviera. Ma ritenendo le condizioni in cui si ridusse almeno dal principio di questo secolo, dopo l'estesa fama, e moda e richiesta de' celebri pizzi francesi, fiamminghi ed inglesi, essa non solo si mantiene, ma si raffina e progredisce. Nel mandamento di Rapallo 8000 almeno sono le lavoratrici di pizzi, tanto in filo che in seta nera. Si può calcolare in media a lire 1,200,000 il guadagno che per la mercede da esse toccata rimane in paese. Il maggiore consumo di tali prodotti oggidì si fa nell'America meridionale, e specialmente in Lima per quelli di filo, e in Lombardia, Trieste, Firenze, Francia per quelli di seta nera. La esportazione media negli ultimi cinque anni fu per un valore di lire 1,300,000 all'anno. Nel 1853 e nel 1855 ascese però ad oltre due milioni.»
E qui debbo aggiungere, che se fiorente come per lo passato non è più in Chiavari la fabbricazione delle tele casalinghe di filo per biancherie, pure queste si mantengono ancora abbastanza in onore, specialmente per cura del cav. Michele Solari, che ha una fabbrica a vapore; e prosperano, anzi aumentò assai quella delle tele per asciugamani (macramè): queste sono in fiore, come la fabbricazione delle celebri sedie alla Campanino. G. Borzone, G. Costa, la vedova Sanguineti, il cav. Michele Solari predetto, le hanno portate ad un'altezza che non si può desiderare la maggiore. I molti premi guadagnati alle esposizioni nostrane e a quelle straniere, l'aumentata esportazione sono una prova chiarissima della riputazione che si hanno meritamente acquistata in Italia e all'estero. Ma torniamo a bomba.
Eccoci all'anno 1856; e l'ordine che ho tenuto finora nel dettare questo mio scritto m'impone qui di trattenermi a lungo sopra di una persona, che nell'arte dei merletti può chiamarsi la maestra per eccellenza; colei che richiamò, questa bella e paziente manifattura, a novella vita. Ch'io voglio accennare ad Angela Bafico, chi s'intende di merletti avrà di leggieri compreso. E a me, che più volte mi recai in Santa Margherita Ligure per attingere a quella fonte sicura le opportune notizie, fu detto in Municipio da due membri della Giunta: «E' d'uopo confessare, che sebbene la Bafico non sia nata in paese, pure devesi a lei se la manifattura dei merletti è salita a quella rinomanza che trovasi al presente.»

(continua)

1 L'anno 1805, e nel giorno undici di giugno vennero sostituite le insegne francesi a quelle della repubblica genovese, la quale fu aggregata all'impero francese. Il territorio ligure fu diviso in tre dipartimenti: di Genova, di Montenotte essendo capoluogo Savona, e degli Apennini avendo per capoluogo Chiavari.
Il trenta giugno di detto anno Napoleone I visitò Genova ed ebbe feste splendidissime. Fu eretto nel porto un magnifico tempio, che chiamarono di Nettuno o Panteon marittimo, il quale essendo costrutto sopra un tavolato di navi, per forza d'ignoti ordini galleggiava. Aveva una grande cupola ed era sostenuto da sedici colonne d'ordine ionico, sulle due facce interna ed esterna della medesima leggevasi una iscrizione dettata dal ch. prof. Giuseppe Gregorio Maria Solari, delle Scuole Pie, la quale significava i liguri augurare a Napoleone imperatore e re l'imperio del mare, come già aveva quello della terra. Fra i tanti omaggi che Napoleone ricevette nella capitale Ligure ebbe anche quello della Università, che gli presentò un'ode alcaica latina e italiana, scritta dal medesimo P. Solari ch'era uno dei professori. Questa ode, divenuta rarissima fu stampata in Genova coi tipi del Frugoni l'anno 1805. Fu tradotta dal P. Celestino Massucco, e dall'ab. prof. Benedetto Sanguineti, nomi noti nella repubblica letteraria ligure, e per quanto io mi sappia queste traduzioni sono inedite; fu anche voltata in versi italiani dal prof. F. Chiarella, che la inserì nella 2° edizione delle sue poesie fatta in Macerata l'anno 1866.
Io posseggo l'ode alcaica italiana e latina del P. Solari manoscritta, dono prezioso che prima di abbandonare Bologna nel 1866, volle farmi trascrivendola di suo proprio carattere, quel dottissimo botanico che fu il prof. Antonio Bertoloni, l'autore della Flora Italica; dandomi così un nuovo pegno della sua benevolenza.
L'anno 1849 un altro illustre chiavarese, l'ab. Iacopo Rocca, prof. di lettere italiane e direttore di spirito nel R. Collegio di Marina in Genova, dettava iscrizioni per un re e ne illustrava il monumento galleggiante e fu quando arrivò in Genova da Oporto, la salma di re Carlo Alberto.
Il Solari per cagione dei tempi dové cantare chi faceva schiava la patria, ma nel tempo istesso diceva allo imperatore, nell'ultima strofa della sua bella ode:
«Novi sequaces fœderis ominor
Quoteumque Tyrrenum ambit et Adria;
Dum tota demum conquiescat
Gens Italum domino sub uno.
»
Il pensiero di questi ultimi versi nell'ode italiana spiegava così:
«Finché le avare invide gare spente
Sia d'ogni Itala gente, un solo il sir.»
E non vide l'Itala gente unita sotto la bandiera d'un solo re!
Il Rocca invece, elogiava colui che magnanimo principe iniziò la indipendenza ed unità dell'Italia, che poi fu compita dal leale figlio di lui, Re Vittorio Emanuele II. Le iscrizioni del Rocca sono nella raccolta che io pubblicai in Bologna l'anno 1866, coi tipi Fava e Garagnani. E neanco il prof. Iacopo Rocca vide l'unità della patria, ché morì il 12 novembre 1853.
2 San Giacomo, come abbiamo visto a pag. 11, è la seconda parrocchia del borgo di Santa Margherita Ligure.

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