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    Pezzi di storia

I merletti nel circondario di Chiavari (4/4)
di Giovanni Battista Brignardello [1873]

(precedente)

A questa Amministrazione Centrale pervengono soltanto le statistiche delle Dogane più importanti di ciascun gruppo, perché queste riassumono il movimento delle merci degli uffici meno importanti, come sarebbero precisamente, Santa Margherita Ligure, Rapallo e Portofino. Siccome nella riviera orientale di Genova questa industria dei pizzi e merletti è una specialità dei suddetti luoghi, senza tema di sbagliare, si è ritenuto che quelle partite indicate nei quadri riassuntivi statistici erano prodotti della industria di dette località. A questo riguardo aggiungasi ancora che nelle statistiche di ciascuna Dogana non vi possono figurare i pizzi destinati all'America per la ragione, che queste spedizioni si fanno sempre nei porti ove trovansi i bastimenti che fanno vela per quelle lontane regioni.
I pizzi e i merletti destinati in Isvizzera viaggiando per terra, vengono muniti soltanto all'estrema frontiera delle relative bollette, e nelle statistiche di quelli uffici non si sa più distinguere se sieno prodotti più di una provincia che di un'altra.

Pizzi o merletti esportati da S. Margherita Ligure, Rapallo e Portofino.
QUANTITA' IN CHILOGRAMMI
1868. 1869. 1870. 1871. 1872.
1,114 1,125 897 1,751 2,295
VALORE COMMERCIALE
1868. 1869. 1870. 1871. 1872.
779,800 787,500 627,900 1,225,700 1,607,500

Da questo specchietto risulta, che la esportazione dei merletti da due anni andò aumentando quasi del doppio, e perciò quasi duplicato n'è il valore. L'agiatezza di Santa Margherita in questi anni crebbe mirabilmente e per l'aumentato commercio con l'America, e perché da quelle lontane regioni tornano in paese con considerevoli capitali, molti dei suoi figli. Sembrerà cosa non vera per chi non conosce appieno quei luoghi il sentire a narrare dei fatti che mostrano a qual grado di operosità e di risveglio commerciale sieno arrivati gli abitatori di quel fortunato paese, e qual prospero avvenire gli si presenta.
In sullo scorcio del 1872 fu istituita in Santa Margherita una Banca, che prese il nome di Margheritese, e con un capitale sociale nominale di nove milioni di lire, che fu coperto in pochi giorni. In Genova fu posta la sede principale, in Santa Margherita una succursale. Con R. Decreto datato il 17 marzo 1873 fu approvato lo Statuto.
Fu Chiavari che diede il primo esempio di questo movimento bancario, poiché colà nel periodo di pochi mesi si costituirono cinque Banche; in una città cioè, che conta 11,521 abitanti presenti, non contando gli assenti che sono 1031, e così una popolazione di 12,552. Il Banco di Sconto fu istituito il 21 agosto 1870 e fu aperto il 7 dicembre dello istesso anno, con un capitale sottoscritto di lire 400,000 e versato di lire 200,000. Il 27 maggio 1871 il suo capitale fu portato a un milione, con lire 500,000 di versato; in novembre 1872 fu portato a tre milioni con emissione di 8000 azioni nuove, di cui quattro mila alla pari, furono date ai possessori delle prime, e le altre quattro mila messe alla pubblica sottoscrizione con un premio di lire duecento ciascuna. I conti correnti di questo Banco sono in media cinque milioni. Hanno però già superato i sei milioni.
Il valore nominale di ciascheduna azione del Banco di Sconto è di L. 250, ma il prezzo corrente delle medesime è di L. 525, e il dividendo distribuito in ragione d'anno e per ogni cento lire di capitale versato è di L. 160.
La Banca commerciale chiavarese fu aperta sul finire del 1871, con un capitale di L. 625,000, che fu poi raddoppiato. La Banca commerciale ha il suo capitale diviso in 2,500 azioni, e il valore nominale di cadauna azione è anche di L. 250, ma il prezzo corrente è di L. 490, e il dividendo distribuito in ragione d'anno e per ogni cento lire di capitale versato, fu di L. 138.
La Banca popolare fu istituita il novembre passato, con un capitale di due milioni, diviso in ventimila azioni; sono già versate L. 800,000, cioè i quattro decimi.
In febbraio e marzo del corrente anno sorsero il Credito chiavarese, e la Cassa generale chiavarese; quest'ultima fu approvata con regio decreto, datato il 6 aprile passato; il primo con un milione di capitale, del quale ha fatto versare tre decimi; la seconda con due milioni, dei quali furono versati i due decimi.
E queste cifre sono autentiche, che le tolsi dall'ultimo Bollettino N. 2, pubblicato dal Ministero di agricoltura, industria e commercio, il quale porta la situazione dei conti delle banche ed altri istituti di credito del regno, alla data del 28 febbraio 1873. Nel medesimo non sono ancora notate le operazioni della Banca popolare, del Credito chiavarese e della Cassa generale chiavarese.
E questa associazione di capitali porterà grande vantaggio se sarà rivolta, come taluna Banca ha già fatto, a benefizio del commercio, a promuovere nuove manifatture, a incoraggiare quelle che vi sono, non rischiando però in giuochi di Borsa, i quali mentre meno si attende recano gravi e irreparabili catastrofi.1 Lo esempio che or ora ci ha porto la capitale dell'Impero austro-ungarico, Vienna, ci sia di utile esempio.
Dalle arti adunque, dal commercio noi dobbiamo attendere la nostra ricchezza, il nostro benessere, non solo, ma d'Italia tutta; poiché, mi è dolce il terminare col motto che ho messo in fronte al mio scritto, e ch'è di quel valente che fu il conte Francesco Mengotti:2 «Molti senza dubbio e cospicui sono i servigi che le arti ci recano, e molti pure i vantaggi.
E in primo luogo gli artefici nelle opere che fanno, ci lasciano un permanente vestigio della loro industria, il che ben meritamente li distingue dalla turba sì numerosa degli altri, o inutili, o frivoli, o certamente sterili consumatori, le cui azioni, di lor natura fugaci, passano e si dileguano nell'atto stesso che sono prodotte. Dopo il gorgheggio di un musico, la suonata di un ceterista, la pavaniglia di un ballerino, o la scurrilità dell'istrione e del giuocolatore, non rimane che la memoria delle azioni loro, che svaniscono appena nate, e che mille volte ripetute, mille volte si perdono nel vano dell'aria in cui son fatte. Cotesti artefici del sollazzo o guaritori della noia, che servono per altro a far men grave la vita, vivono totalmente a peso della società,3 come quelle piante parassitiche che si nutrono della sostanza dell'albero a cui si sono attaccate, mentre ne adornano col loro fogliame la ruvida scorza; laddove i facitori di un vaso, di un tappeto, di un oriuolo, e tutti gli altri modellatori di forme realizzano il loro travaglio in una cosa durevole, la quale subentra in luogo delle sostanze che più non esistono, e restituisce alla nazione il valor delle derrate e de' generi che furono dall'artefice consumati.
Oltre di ciò, l'industria manifattrice con la varia e ingegnosa trasformazione delle materie ch'erano nel primo stato di rozzezza, e con lo scemamento del peso e del volume soverchio, ne agevola, come si è detto, e ne rende men dispendioso il trasporto; il che riesce di molta utilità, massimamente nei paesi vasti e mediterranei, con fiumi pochi, e strade aspre e disastrose. Né ometter si deve che nella massa dei prodotti di ogni nazione ve n'ha di quelli, dove più, dove meno, che per la loro fragilità e corruttibile natura non potrebbero resistere ai tardi viaggi terrestri, o alle longinque navigazioni, come sono il latte, gli erbaggi, varie sorta di frutta, di carni, di pesci, e somiglianti cose, che non soffrono indugio, non che l'insulto dei mari e dei climi stranieri. Ora coteste produzioni, che spesso rimarrebbero inutili e di niun valore, trovando un buon numero d'interni e sempre pronti consumatori, quali sono gli artefici, acquistano un prezzo, e divengono strumento di ricchezza per i loro proprietari e coltivatori.
Da tutto questo apparisce, che senza parlare delle macchine, degli artifizi e degli stupendi ritrovati delle arti, che tanto accrescono gli agi, i piaceri e gli ornamenti della vita, e limitandoci a riguardarle solamente con occhio di guadagno, esse pure contribuiscono, non v'ha dubbio, per molte maniere a promuovere la nazionale prosperità ed opulenza.»
E affinché questa parte importante di nazionale ricchezza, la stupenda e doviziosa manifattura dei merletti viemaggiormente prosperi nei cospicui comuni di Santa Margherita Ligure, Rapallo e Portofino, fa mestieri che si avvisi al modo di provvedere di buoni disegni chi attende a quel lavoro; ciò si otterrà o istituendo un'apposita scuola di disegno, ovvero provvedendo ottimi disegnatori.
Questa preghiera io intendo rivolgerla specialmente a quelli di Santa Margherita, là cioè dov'è il centro principale e più importante che lavorasi questo manufatto. Così quelle oneste ed operose lavoratrici avranno un maggiore compenso alle loro fatiche, dalle quali ora non traggono una sufficiente rimunerazione; poiché desse aguzzando lo ingegno a fine di mandare a compimento l'opera loro nel modo il più perfetto che possono, non vedono dipoi premiata la medesima, ma bensì colui che ha sborsato cento o duecento lire per provvedere la seta o il refe, o per avere comprato un oggetto degno di premio, e che nelle mani sue, lo stesso è poi venduto cento cotanti. Ciò sarà un mezzo per renderlo anche più pregevole e ricercato, e perciò aumentata la fabbricazione e la esportazione: quindi maggiore fonte di ricchezza per quelle laboriose e modeste operaie.
Ma sopra tutto dev'essere in cima dei pensieri di quanti amano la prosperità nazionale, il dare a questa manifattura una impronta veramente tutta italiana; abbandonando cioè quel vezzo assai contennendo, di chiamare con voci tolte a imprestito dalle lingue straniere, i lavori di merletto fatti con punti diversi. Le voci Guipure, Cluny e Chantilly, devono essere bandite affatto e sostituite da quelle della dolce lingua del sì.
E quanto malamente sieno state accettate quelle parole straniere, basteranno le ragioni che adduco. La voce francese Guipure, tanto leggermente accettata da noi, anticamente significò quella trina o merletto a punto di seta, di filo o d'oro a rilievi, prodotti da imbottiture fatte con carta di pecora. Cotali merletti a rilievi sono qualificati dagli autori veneziani del principio del XVI secolo Punti in aere, e punti tagliati a fogliami: e in dialetto Punto in aria, e punto intaggià e così detti piuttosto dalla maniera di lavorare, che dal risultato più o meno rilevato con o senza imbottitura.
L'uso e l'abuso, e per certo la ignoranza o forse anche la moda, dei mercanti e dei compratori ha fatto sì che col vocabolo Guipure s'intenda ogni merletto di filo o di seta grosso a grandi fogliami, pesante e senza distinzione, che sia lavorato coll'ago o coi piombini.
Invece il vero Guipure equivalente ai Punti in aere, ed ai Punti tagliati italiani, dev'essere lavoro fatto coll'ago, ed assolutamente a rilievo.
Conchiudiamo: adunque avendo la nostra favella gli opportuni vocaboli, questi devono adottarsi assolutamente sia dai venditori che dai compratori; ma in ispecial modo dai primi. Le patrie memorie ce lo impongono; se vogliamo avere cura del nostro onore e volere si dica: che veramente l'Italia è gelosa custode della propria nazionalità.
E qui pongo fine al mio scritto. Avrò soddisfatto l'altrui aspettazione? Voglio sperarlo. Ho tentato di riempiere una lacuna; non sono riuscito? Spetta ora ad altri più di me valorosi, di compiere l'opera che io impresi a trattare.


1 Ciò scrivevamo due mesi circa fa; e colla voce non mancammo di esternare in proposito i nostri pensieri. Con dolore dobbiamo dire che le nostre previsioni pur troppo si avverarono. Da una lettera in data 22 settembre, pervenutaci da Chiavari, apprendiamo che due di coteste Banche, la Popolare e la Commerciale, versano in gravi condizioni a cagione di fallaci speculazioni di Borsa!
2 Mengotti conte Francesco, valoroso scrittore, autore dell'opera intitolata Idraulica Fisica e Sperimentale, coronata dalla R. Accademia della Crusca, nacque circa il 1756 a Fonzaso ragguardevole borgata appartenente al territorio di Feltre, provincia di Belluno; morì in Milano nel 1831. La dissertazione da me citata, Il Colbertismo, fu dettata dall'autore sopra un tema dato dalla R. Società dei Georgofili di Firenze, dalla quale fu coronata il 13 giugno 1792. L'edizione da me citata è quella di Giovanni Silvestri, Milano 1829, vol. 224 della Biblioteca scelta.
3 Parmi che qui cada in acconcio una breve nota. Leggendo le storie dell'antica Roma inorridiamo udendo narrare quelle orribili scene di sangue che accadevano nel circo, nell'anfiteatro e in altri luoghi in occasione di pubbliche feste, per dare spasso ai figli di Quirino, delli quali divertimenti essi tanto si compiacevano. Intendo accennare a quelle lotte di gladiatori che per renderle più gradite ai Romani, e affinché imparassero a sgozzarsi fra loro con arte più raffinata, eranvi apposite scuole nelle quali i gladiatori istruivansi. E noi imprechiamo a quelle barbare costumanze, e forse le scusiamo perché i romani non erano illuminati dalla luce del cristianesimo.
Ma ora noi viviamo in tempi nei quali questo raggio divino splende in tutta la sua bellezza, e siamo in pieno secolo XIX, tempo di progresso e civiltà. Eppure sotto altra forma e sebbene incruente, esistono costumanze barbare e crudeli. Cotesti artefici del sollazzo, che servono a fare men grave la vita, che sui teatri folleggiano e intrecciando danze guariscono proprio della noia noi popoli civili, cessato il divertimento per isfamarsi devono fare mercato di loro stessi. E che direbbero di noi e della nostra civiltà gli antichi romani, se potessero alzare il capo dai loro avelli?…

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