Treccani – 14 ottobre 2020
La parola bugia in italiano ha già tanti sinonimi consolidati, con sfumature diverse: balla, fandonia, menzogna, falsità e via elencando. Da alcuni anni però
si è molto diffusa una locuzione inglese – fake news – che evoca frotte di Pinocchi. Letteralmente significa "notizie false" e viene utilizzata con
riferimento al mondo dei mezzi di informazione di ogni tipo; richiama la parola italiana bufala, passata dal gergo all'uso frequente anche in campo mediatico.
Tra media e social network
Di sicuro, le informazioni "adulterate" imperversano pure sui nostri media cartacei e digitali, oltre che su Internet, in particolare grazie ai social network.
A volte le pseudo-notizie sono citate in modo critico, più spesso vengono diffuse a raffica, strumentalmente o inconsapevolmente.
Così da qualche tempo, almeno dal 2016, l'espressione inglese compare con frequenza nei titoli, negli articoli, nei servizi televisivi degli organi di
informazione professionali italiani, nonché nel dibattito interno alla categoria dei giornalisti e pure nel mondo della scuola. Comunque la locuzione, a livello di
massa, viene associata alla Rete, dove è diventata sinonimo di falsità e viene spesso abbreviata, usando solo la prima parola: "Quella è una fake". Ed è
diventata ormai così pervasiva da avere assunto – a torto o a ragione – un utilizzo più generico e universale: è capitato di sentire un genitore web-dipendente
mentre intima al figlio piccolo "Non dirmi fake news".
Dal 1894 a Donald Trump
E' opportuno precisare che, mentre in Italia l'uso della locuzione è diventato consueto da poco tempo, nei Paesi anglofoni non rappresenta una novità lessicale
(sebbene fino all'inizio del XXI secolo non fosse di uso comune): la prima apparizione riferita al "giornalismo deliberatamente fuorviante" è attestata nel 1894. In
questo senso, però, è diventata davvero popolare e globale più di un secolo dopo, con una crescita esponenziale soprattutto a partire dalla campagna presidenziale
del 2016 negli Stati Uniti. Merito di Donald Trump, che l'ha sfoderata e la sfodera molto spesso per accusare i media di diffondere falsità nei suoi confronti.
Ricambiato con l'accusa di essere un indefesso e maniacale propalatore di menzogne.
Nel gergo dei criminali londinesi
Dal punto di vista etimologico, si può sorvolare sull'ovvia radice di news. Mentre è curioso constatare che la parola fake ha, in inglese, origini
incerte. E' attestata nel gergo criminale londinese come aggettivo (nel 1775, con significato di "contraffazione"), come verbo (significava "rubare" nel 1812) e
come sostantivo (nel 1851, come sinonimo di "truffa", e nel 1888, col significato di "truffatore").
Secondo alcuni deriva dall'ormai obsoleto verbo dell'inglese britannico feague, nel significato di "abbellire con mezzi artificiali, in modo artefatto",
a sua volta derivato dal tedesco fegen ("lucidare, spazzare"; "ripulire, saccheggiare" nell'uso colloquiale).
L'espressione fake it ("simulare
qualcosa") si trova nel gergo jazz (1915). Come verbo, nel senso di "fingere, simulare", è attestato nel 1941; nel gergo sportivo – fake (someone) out –
appare negli anni Quaranta del Novecento. Mentre un noto documentario/dramma del 1973, diretto da Orson Welles, è intitolato F for Fakes: racconta le storie
parallele di Ermil De Hory, uno dei più grandi falsari d'arte, e dello scrittore Clifford Irving, noto per aver scritto nel 1972 una biografia falsa, spacciata per
vera, del magnate Howard Hughes.
E' l'era della post-verità
L'uso dilagante della locuzione fake news nell'era del web e dei social incontra però qualche contestatore. Per esempio, secondo la Media Editor del
Washington Post, Margaret Sullivan, sarebbe un termine superato, generico e fuorviante, dato che include circostanze molto diverse fra loro. Perché ci può
essere una notizia falsa creata consapevolmente e un'altra che è frutto di un errore giornalistico. Può esistere una teoria complottista palesemente e malamente
artefatta, quindi subito riconoscibile almeno dai meno sprovveduti. E può circolarne un'altra in apparenza molto plausibile, essendo stata creata in modo
sofisticato, magari per un uso politico, lavorando sull'amplificazione di aspettative e pregiudizi (sociali, religiosi, razzisti, eccetera) in modo da favorire la
diffusione.
I massmediologi preferiscono un termine più sociologico: post-verità, intesa come pseudo-verità. Intanto ovunque e anche in Italia, parallelamente
all'incremento delle fake news, sono nati e proliferano coloro che danno loro la caccia, in modo più o meno professionale: un'attività che, sull'onda degli
inglesismi, viene chiamata anche dalle nostre parti fact-checking (verifica dei fatti) e debunking ("smontaggio" di affermazioni false).
Una pandemia di bugie
E' interessante osservare che, parallelamente alla pandemia di notizie fittizie nel mondo virtuale/mediatico (guarda caso, incentivata dal panico provocato in
tutto il mondo da una pandemia nel mondo fisico, quella firmata coronavirus), si sono moltiplicati sui media, inclusi quelli italiani, articoli più o meno seri
dedicati al tema "Qual è stata la prima fake news della storia?". Ecco qualche esempio. Vita.it, il magazine online del mondo del volontariato,
rilancia l'ipotesi che sia stata "una lettera mai scritta dal generale spartano Pausania, in base a cui fu considerato colpevole di alto tradimento per la sua
presunta intenzione di tradire i greci per passare al servizio di Serse". Secondo il magazine Formiche.net la notizia falsa più antica del mondo risale a 13
secoli fa: "Certificava che l'imperatore Costantino, in segno di gratitudine verso papa Silvestro
, si era convertito al cristianesimo, donando alla Chiesa di
Roma un terzo dell'impero". Per RivistaStudio la prima balla mediatica risale al 1835, quando il New York Sun pubblicò una notizia incredibile: John
Herschel, astronomo inglese, "aveva scoperto la vita sulla Luna".
Le prime vittime? Adamo ed Eva
Per concludere la breve ed esemplificativa carrellata, ecco persino il Pontificio Consiglio della Cultura: nel 2019 ha pubblicato sul suo sito un articolo
firmato dal proprio presidente, il cardinale Gianfranco Ravasi (biblista ed ebraista). Vi sostiene che "la falsa notizia spacciata per verità
ha un
capostipite illustre. Si tratta nientemeno che del serpente tentatore del racconto prototipico della Genesi biblica, un simbolo che originariamente rimandava
all'idolatria dei Cananei, il popolo indigeno della terra biblica
Il serpente è, infatti, un segno fallico". Nella Bibbia però rappresenta Satana, il
tentatore, che, con le sembianze del rettile, induce l'uomo a "decidere in proprio quale sia il bene e il male, rifiutando di riceverli come codificati da Dio
In questo è sollecitato proprio dalla fake news che gli rifila il serpente", scrive il cardinale Ravasi.
Intanto, a prescindere dalle tante opinioni sulla prima non-notizia, la grande e contagiosa diffusione delle fake news induce a molte riflessioni sulla
vulnerabilità della nostra società: nei confronti della falsità del verosimile e anche della "veridicità" delle illusioni.