Testata Gazzetta
    Pezzi di storia

Merletti
di Rosita Levi-Pisetzky

L'Illustrazione italiana – 19 maggio 1946

Quale ornamento più squisitamente sobrio e raffinato della fiorita e candida trasparenza della trina può incorniciare la viva e mutevole bellezza di un volto, l'affusolata snellezza di una mano, quasi segnando il trapasso da quella fremente mobilità all'amorfa mollezza delle vesti? Così in natura il fiore non si aderge nudo sullo stelo, ma fa spicco sulla frastagliata viridità del fogliame, l'onda verdeazzurra si orla di candida spuma leggera, il volto si aureola nella vaporosità delle chiome e in cielo perfino le stelle son frangiate dal vivo lume dei raggi. L'aerea trama del merletto abbelliva or non è molto ogni momento della vita, dalla consacrazione della nascita a quella della morte, e seguiva i grandi della terra fin nella tomba, come aveva ornato l'intimità della loro casa e il raccoglimento sacro della Chiesa. Ma anche le più modeste contadine adornavano le loro semplici vesti di trine ad ago, come narra il Vecellio descrivendo il costume d'Ischia «con merletti di refe finissimo»; e i più umili artigiani milanesi, secondo la descrizione di un viaggiatore francese, andavano fieri di sfoggiar quei manichini di pizzo, che ancor oggi svolazzano ai polsi dell'arguto Meneghino.

Lucrezia «Lucrezia Ricasoli» di ignoto.
La raggera del collare a punto avorio è simile a una florescenza cristallina.

L'arte della trina non è antica come quella del ricamo. Fiorisce quasi improvvisa in Italia verso la fine del '400 e per quattro secoli fa affluire in patria fiumi d'oro, creando la ricchezza quasi dal nulla, per virtù d'ingegno, di gusto e di pazienza femminile. Qui l'abilità manuale vince ogni complicato congegno. Il filo d'un tempo filato a mano raggiungeva una finezza trenta volta superiore a quella del più sottile filo a macchina. Ma il prezzo del filo è insignificante in confronto al valore di una bella trina; e un ago sottile o una mazzetta di fuselli bastano a creare leggiadre meraviglie, che dall'Italia esportate all'Estero erano prezioso elemento di equilibrio economico. L'affascinante storia del merletto lumeggia, come poche altre, virtù e follie umane, e involge formidabili problemi che sembrerebbero lontanissimi dalla sua grazia leggera. Così le feroci persecuzioni religiose facendo esulare gli ebrei dalla Spagna, gli Ugonotti dalla Francia e dalle Fiandre, e le monache cattoliche dalla Germania, privarono della loro abilità artigiana intere regioni, che risultarono improvvisamente impoverite, mentre altre conobbero una ricchezza subitanea.

Maria «Maria de' Medici», di Pourbus. L'insignificante fisionomia della Regina di Francia acquista nobiltà e magnificenza nell'aureola della trina di fattura italiana.

Il primo quadro che rappresenta un merletto è un affresco di Benozzo Gozzoli, dove una modesta trina a rete orla il letto di Santa Monica. Un'orlatura un po' più ricca della stessa trina abbellisce lo scollo delle figlie del Duca di Bentivoglio, ritratte dal Cossa. Narra una leggenda come questa trina avesse origine dall'amore di una fanciulla veneziana per un marinaio. Prima di partire per uno dei suoi lunghi viaggi egli le donò una delicata alga marina. Al suo ritorno questa apparve miracolosamente intrecciata alla rete che l'innamorata aveva tessuto con fedele pazienza nella lunga attesa, per ricambiare il suo dono. Riproducendo quel miracolo gentile ella ricamò il primo merletto a rete. L'arte della trina ad ago, che pure è veneziana, si svolge invece modestamente dai ricami in bianco con cui si adorna la biancheria.
Questi ricami sono indice di una maggiore raffinatezza intrinseca, perché sostituiscono quelli colorati arricchiti di perle e d'oro, difficilmente lavabili. Riuscendo però grevi e monotoni, si pensa di alleggerirli con artistici effetti di trasparenza ottenuti con sfilature, che conducono insensibilmente alle trine a punto reticello. Di queste prime trine abbiamo un documento in un ritratto di scuola toscana del VI secolo, dove la semplicità della veste di velluto è rischiarata dalla fresca collaretta e dai manichini di lino candidissimo, alleggeriti da un bordo di fili tirati. Il reticello accompagna con le sue stelline che ricordano i leggiadri cristalli della neve, le pieghettature delle gorgiere o lattughe allora salite in voga, come si vede dal ritratto di Luigi XIII. Enrico III era così geloso dei merletti che non sdegnava stirare di sua mano quelle ruote pieghettate, così larghe che non passavano da una porta. Infine, piccolo passo, ma mirabile ardire, il lavoro si stacca dall'appoggio del tessuto e con il solo ausilio dell'ago, assicurando il filo sul tracciato del disegno che viene poi staccato, crea le meraviglie del punto in aria di classica purezza, come appare nei magnifici ritratti di Maria de' Medici, dipinti dal Pourbus, dove il viso grassoccio si spiritualizza nell'aureola meravigliosa del pizzo disteso a ventaglio, o in quello di Margherita d'Austria che appare ancora serrata nella gorgiera. In un quadro che rappresenta una nobile fiorentina, Lucrezia Ricasoli Me' Zanchini, la fantastica raggera di un collare è di una varietà di punto in aria, il punto avorio, che raggiunse effetti di mirabile finezza.

Isabella «Maria Isabella» di J. M. Nattier.
La sontuosità del punto di Francia dal mirabile disegno ben s'intona con la grazia regale della nipotina di Luigi XV.

L'arte del merletto è allora arte di regine. Caterina de' Medici l'insegna a Maria Stuarda, che andrà al patibolo con un velo orlato di pizzo a fusello, scelto da lei stessa con minuziosa cura, come tutti i particolari del suo ultimo abbigliamento che lasciò davanti al ceppo per apparire nella sottoveste e nei lunghi guanti scarlatti, a mascherare gli spruzzi del suo sangue. La rivale che la condusse a morte, la fredda Elisabetta, aveva una sfrenata passione per i merletti tanto che ebbe tremila vesti così guernite, ma ne proibiva severamente l'uso ai suoi sudditi. Verso il '600 si cercano con punti sovrapposti nuovi effetti di rilievo che sembrano scolpiti sul pallore dell'avorio.
E' il trionfo del «punto a fogliame» conosciuto in tutto il mondo con il nome di «grois point de Venise» ricco di larghe volute barocche. Ne vediamo un bellissimo esempio nella cravatta che spicca sull'oscura veste di un pensoso gentiluomo ritratto dal Maratta. Già Agnolo Firenzuola l'avea descritto con commossa e affettuosa ammirazione nella sua «Elegia a un collaretto». «Questo collar scolpì la donna mia - di basso rilevar, ch'Aracne mai - e chi la vinse nol farla più bello. - Mira quel bel fogliame… - mira quei fior… - quei cordiglin, che 'l legan d'ogni intorno - come rilevan ben! mostrando ch'ella - è la vera maestra di quest'arte. - Come ben compartiti son quei punti! - Questi merli da man, questi trafori - et questo punto spina, - ella il fé' pure, ella lo fece.» Il punto a fogliame è conosciuto sotto nome francese perché un geniale ministro di Luigi XIV, il Colbert, impensierito dall'oro che esce di Francia per acquistare le trine italiane, e viste inutili le leggi suntuarie, riesce a trapiantare l'arte leggiadra oltralpe, facendo venire a maestre trenta merlettaie veneziane, invano perseguite dai fulmini della Serenissima, che minaccia di carcere e di morte perfino i parenti delle fuggitive. La stessa iniziativa si ebbe in Inghilterra, ma fosse la qualità più scadente del filo, la mancanza di un diretto appoggio governativo, o la minor pazienza delle donne inglesi, l'impresa non riuscì. Restò soltanto il nome «Point d'Angleterre» che fu dato alle trine di Bruxelles, importate di contrabbando con i mezzi più paradossali. La trina ad ago francese, invece sorretta dall'appoggio della Corte, dove l'etichetta bandisce le trine straniere, e dall'ausilio di artisti celebri come il Boucher, riesce ad assumere una sua propria bellezza. Il «Point de France» secondo le città d'origine si divide allora in «Punto Alençon», che il Nattier riproduce con squisita esattezza nel ritratto della piccola principessa Maria Isabella, dal prezioso grembiale che allarga i suoi fregi elegantissimi sull'ampiezza della gonna di broccato; e in «Punto Argentan», con motivi più larghi e più staccati, che spiccano su reti di varia trama. Nell'estrema raffinatezza dell'epoca queste trine, un po' più pesanti, son portate d'inverno, ma il '700 con il suo gusto capriccioso ed aggraziato, tendente all'intimità, mette di moda sulle vesti di seta frusciante a fiorellini, trine morbide e finissime con leggeri motivi, quasi confusi nella rete leggera del fondo, che son dette trine d'estate: il prezioso «Punto Malines» e il ricco «Bruxelles».

Maratta «Ritratto» del Maratta. La severa bellezza virile non disdice con la stupenda cravatta di finissimo pizzo a punto fogliame, il «gros Venise» di classico disegno.

Queste trine fiamminghe, come il «Valenciennes», nato in Francia nel '600, sono a fuselli. L'origine è però sempre italiana e risale alla stessa epoca del pizzo ad ago, svolgendosi dall'intreccio dei galloni d'oro e di seta, che in refe bianco richiede delle sforature per alleggerirli. Lavorati sulla morbida rotondità del tombolo, su cui innumerevoli spilli segnano il contorno del disegno, ben presto ornano i loro orli lisci di punte o merli, così chiamati dai merli dei castelli, e il nome di merli rimane alle trine, nel suo diminutivo di merletto, che non è il solo.
Gaspare Gozzi si domanda: «Senza le donne chi avrebbe immaginato que' merluzzi de' quali si fa oggidì uso universale?». Regina del punto a fusello, in tutto il '500 e ancora nel '600, è Genova. I suoi sontuosi e grevi «fioroni» sono ricercati in tutta Europa a peso d'oro, sotto il nome di «Rosaces de Gênes». I larghi smerli, caratterizzati dalle armelle, ben si addicono alla pompa dei rigidi broccati secenteschi, come appare nel bel ritratto del figlio del Re di Danimarca, Cristiano, dove la fresca adolescenza del principe è aggraziata dal bianco colletto arrovesciato.
Il pittore dell'eleganza, il Van Dyck, nel celebre ritratto dei figli di Carlo I,. ne dà un'altra immagine nettissima, e tutti i suoi quadri sono una glorificazione dei bel pizzi italiani Una trina a punte slanciate, che egli predilige, prende il nome da lui. Gli aristocratici visi di Margherita di Lorena e di Anna Wake, nella cornice del candido collo di lino così adorno, che spicca sulla massa oscura della veste e del fondo, acquistano una freschezza vivida e indimenticabile. Anche il Velasquez eterna, nelle sue tele, mirabili trine soprattutto all'orlo dei grandi fazzoletti delle sue pallide Infante. In Italia Milana dà il nome a un altro punto a fuselli, elegante arabesco tracciato da un sottile nastrino lavorato insieme allo sfondo. Ma già le trine a fuselli e ad ago tendono a confondersi imitandosi l'un l'altra, e mescolandosi nello stesso lavoro. Nel '600 e nel '700 l'uso delle trine è diventato follia anche maschile. Se ne fa una distinzione di nobiltà: «Un homme se reconnaît à ses points». I lunghi polsini «pleureuses» coprono la mano: in tempo di cospirazione permettono il passaggio di pericolosi messaggi politici: in epoche più serene quello di ardenti biglietti amorosi; ma, si dice, furono inventati dai bari per facilitare i loro loschi trucchi al giuoco. In un palo di manichini di Valenciennes che richiede il lavoro giornaliero di quindici ore per dieci mesi, si profondono le somme procurate vendendo una terra avita. E' l'epoca aulica dello stile «en manchettes» che nel giro della frase ornata ha le ricerche preziose della trina. I colli risvoltati con la moda dei capelli più lunghi diventano cravatte, ma la trina continua ad adornarle. Trine finissimi guerniscono perfino i feltri piumati, le giarrettiere, la svasatura dei grandi stivali alla moschettiera, e in enormi coccarde le scarpette, come appare nel ritratto del fiero Cinq Mars, del pittore Le Nain, e in altri di Abraham Bosse. Anche i prelati sono in gara: Rigaud rappresenta il grande Bossuet, celebre per le sue orazioni sacre, con un camice orlato da un'altissima balza di «point de France». E' il tempo della «guerre en dentelles». Van Dyck dipinge un collo di trina sul nitore scintillante della corazza di Tomaso di Savoia, generale al servizio del Re di Spagna. Le dame fanno riscontro con la grazia del fazzoletto e del ventaglio di pizzo, della mascherina cerchiata di trina perfino intorno agli occhi. Verso la fine del '700 il semplice tulle a fuselli è prediletto da Maria Antonietta che lo adopera arricciato nei suoi fisciù. Ma il turbine rivoluzionario travolge dame cavalieri e merletti. Per dodici anni le manifatture di trine rimangono chiuse.

Morels «Ritratto d'ignoto» di G. Morels.
La leggerezza del pizzo Malines e della batista rischiarano con sobria eleganza la casacca di velluto scuro del biondo cavaliere.

L'Imperatrice Giuseppina ama invece adornare la sua languida grazia di creola, e poiché le lisce vesti neoclassiche poco si addicono alla vaporosa levità del pizzo, ne adorna soprattutto il corredo da letto. Napoleone che ammira quell'arte gentile ordina per lei ad Alençon una fornitura con un gran volo d'api e le sue cifre. Ripudiata Giuseppina, le iniziali sono cambiate con quelle di Maria Luisa. Così troppe volte si mettono a posto le cose. Altre dame della Corte napoleonica amano i merletti. La Duchessa di Abrantés andò sposa, come narra nelle sue vivacissime memorie, con uno stupendo velo di pizzo d'Inghilterra che le cadeva fino ai piedi e in cui poteva quasi avvolgersi. La bellissima Madame Récamier, che faceva voltar al suo passaggio perfino gli spazzacamini, indisposta, ricevette Napoleone, allora Primo Console, e tutto il fiore di Parigi distesa su di un letto dorato, sotto un baldacchino e una coperta meravigliosa di punto di Bruxelles foderato di seta delicatamente rosea, avvolta ella stessa in una vestaglia di pizzo d'Inghilterra e mollemente appoggiata a cuscini guerniti di cascate di Valenciennes: né mai apparve più affascinante che in quella cornice vaporosa. Molte altre donne celebri per la loro bellezza prima di lei avevano legato il loro nome alla storia del merletto. Bianca Cappello meravigliò l'Europa con la ricchezza delle trine del suo corredo.
Il Bronzino la ritrae nella raggera di un collo di punto Venezia con il volto già un po' appesantito dall'età in cui si incomincia a intravedere la sua fredda cupidigia (le passioni a lungo andare si stampano sui tratti più puri). Gabriella d'Estrée dal collo di cigno e dai lunghi occhi a mandorla, favorita di Luigi XIII, ebbe i merletti di rete di una ricchezza stupefacente. Madame Fontanges, amata da Luigi XIV per la sua aggraziata naturalezza, lanciò la moda dei pizzi sull'acconciatura. Madame Pompadour, che trattava per Luigi XV con i Ministri di tutta Europa, velava al gomito la candida rotondità del braccio con un triplice volano di trina graziosamente allungato in punta. Una veste di gala della Du Barry, unica vittima dei rivoluzionari che invocasse grazia dal «Signor Carnefice», era adorna di pizzi per il valore di 68.825 franchi e un semplice accappatoio per 2432. Come le altre belle dell'epoca (speriamo che le brutte non seguissero l'esempio) ella usava ricevere nel bagno rendendo opalescente l'acqua con amido o con essenze.

Margherita «Margherita d'Austria» di ignoto.
Sulla rigidezza del broccato e della gorgiera inamidata gli smerli del punto in aria portano una nota di delicata eleganza.

La moda degli accappatoi guerniti di trina era allora una follia. A Bath, famosa «ville d'eau» del '700, si usava di esporli alle finestre con il pretesto di farli asciugare, ma in realtà perché la folla elegante accorresse ad ammirarli.
Nell'800 la mantiglia di blonda o di Chantilly è cornice suggestiva all'ardente bellezza delle spagnole: essa è sacra agli occhi della legge e non può venir sequestrata. Il prestigioso pennello del Goya, nel ritratto dell'avvenente Isabella Cobos, ne riproduce con squisita spigliatezza i neri e fantastici fiorami sullo sfondo della veste chiara. Di queste trine ottocentesche, solitamente nere, si facevano anche ventagli e ombrellini che accompagnavano le lunghe toilettes, dal vitino di vespa e dalla provocante «tournure» pur esse qualche volta tutte di pizzo. Verso la fine dell'800 il segreto del punto di Chantilly va perduto, mentre si salva, per l'intelligente iniziativa dello scrittore Paolo Fambri, quello del Venezia, che un'ultima trinaia può ancora trasmettere alla nuova generazione, prima di chiudere le stanche pupille che avevano vigilato la creazione di tante meraviglie.

ignota «Ritratto d'ignota» di scuola toscana del XVI secolo. Il chiaro tocco del merletto a fili tirati dà un tono aristocratico alla severa semplicità della veste.

Sempre la trina nella sua squisita finezza ha in sé una suggestione di età passate e più leggiadre. Forse per questo la nostra epoca frettolosa pare voglia respingerla, ma quale fascino essa emani non ci appare soltanto dalle nobilissime tele antiche. Anime d'artisti, i romanzieri della fine dell'800 ne descrissero con mirabile evidenza la grazia leggera, sia che rischiari sobriamente, come scrisse il Barrili, «una veste nera che metteva in bella mastra, accompagnandoli, i contorni scultorei del busto e saliva fino alla radice del collo, dove biancheggiava una gorgeretta di pizzo a larghi trafori, facendo riscontro al pizzo onde erano formati i manichini»; sia che si allei in squisita armonia, come la dipinge il D'Annunzio, con l'aristocratica bellezza di una dama vestita «d'un color ceruleo assai pallido, sparso di punti d'argento, che brillava di sotto ai merletti antichi di Burano bianchi d'un bianco indefinibile, tendente un poco nel fulvo, ma tanto poco che appena pareva»; o che appaia come arma raffinata di seduzione femminile in una bella donna descritta icasticamente da Matilde Serao: «era molto seducente e provocante nel suo abito lunghissimo di raso bianco, carico di merletti antichi, che la vestiva col busto come un guanto lucido, come una corazza di acciaio, lampeggiante alla luce e colla gonna come una nuvola, senza contorni precisi, quasi i merletti dovessero involarsi col vento».

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