Giornale storico e letterario della Liguria – gen/feb/mar 1903
La cittadinanza genovese era dilaniata da intestine discordie, quantunque l'11 gennaio 1574 si scrivesse al protonotaro Sauli, agente a Madrid, che «si camina
dalla Republica giustamente»1, e ciò per paralizzare l'azione di Giovanni Idiaquez, cavagliere biscaglino, che Filippo II avea
mandato il 26 settembre 1573 in missione straordinaria per calmare i torbidi e per persuadere alla Signoria la quiete e l'unione. E la Signoria, scrivendo il 5
marzo 1574 all'agente Lomellino a Roma, non tralasciava di dire «Fu veramente buona risposta quella da V. S. Ill.ma e Rev.ma diede a S. Santità quando essendo
in consistorio le domandò come passassero le cose della città et Republica nostra, perché in vero procediamo quietamente et tutti conformi et risoluti alla
conservatione della pace et del ben publico et così nel fare amministrare la giustitia come nell'altre attioni publiche si può benissimo vedere che la mente et
intentione universale è questa, ancorché sia cosa molto difficile et quasi impossibile il raffrenare le male lingue, et che la fama delli successi non vadi di
continuo crescendo in modo che non si dichino alle volte molte cose non vere siché dichino per lo mondo ciò che vogliono li spargitori delle novelle che la verità è
questa e speriamo che lo tempo padre di essa verità debbi scoprirla a perpetuo stabilimento delle cose nostre»2. Il Senato poi
mentre accarezzava il vescovo di Ventimiglia, cui con lettera del 4 marzo prodigava un elogio per il divieto fatto di ballare alla
nizzarda3, era in urto con Mons. Cipriano Pallavicini, arcivescovo di Genova, vuoi per certe botteghe, che avea fatto edificare di
rimpetto al palazzo ducale, vuoi per il Sinodo diocesano, che il Senato pretendeva di sanzionare colla sua autorità4. Dal cozzo
dell'autorità civile e religiosa nascevano guerricciole e dispetti, né ci deve far meraviglia se un bel mattino di aprile del 1574 furono imbrattate con calcina le
immagini di parecchi santi sull'altar maggiore della chiesa di S. Domenico, cosa che tornò sgradevole al pontefice stesso, che fece le sue dimostranze per mezzo del
cardinale di Pisa5.
La sicurezza pubblica era affidata ad un manipolo di mercenari tedeschi e svizzeri, mentre soldati e marinai genovesi, che meglio degli altri avrebbero
conservato il fuoco del patriottismo, andavano altrove a prestare i loro servizi. L'11 marzo del 1574 il gran duca di Toscana scriveva al doge di Genova:
«Essendo stato ricerco dalla maestà Cattolica di armare più galere che io possa per suo servitio di quest'anno ho promesso di armarne fino ad otto
parendomi non potere mancare a un servitio così publico della Cristianità», onde chiedeva il permesso di far assoldare i marinai della riviera
ligure6. Il 12 marzo dello stesso anno Luigi Mocenigo, doge di Venezia, ringraziava il doge di Genova per l'invio di 1200 soldati corsi e
delle riviere, destinati, come altri chiesti il 13 febbraio 1573, per il presidio di Candia7. Mentre esulava la migliore gioventù
genovese, i nobili del portico vecchio e del portico nuovo erano discesi in lizza, seguendo false immagini di bene, sicché la città era diventata il teatro funesto
di continue scaramuccie. Filippo II avea nel frattempo amosso il suo ambasciatore in Genova Don Sancho Padilla, forse troppo condiscendente ai nobili del portico
nuovo, del che con lettera del 10 marzo si dolevano i genovesi maggiorenti coll'agente di Madrid, pregandolo a far sì che non venisse nominato Don Francesco de
Ibara «come tutto che sia consigliero honorato e di molta qualità, non si agiusti all'humore della nostra Republica»8.
Anche Massimiliano II da Vienna, deplorando le discordie intestine, e invitando alla pace, avea scritto una lettera alla Signoria inviando quale ambasciatore
«in statu Finariensi commissarium honorabilem et strenuum devotum ac fidelem nobis dilectum Cristoforum Sigismondum Römer de Maretsch ordinis Sancti
Iohannis Hierosolimitani commendatorem in Meilberg ac fratris nostri carissimi serenissimi Archiducis Caroli consiliarium camerarium et capitaneum
tergestinum»9. La Signoria genovese il 18 marzo scriveva al protonotaro Sauli, residente a Madrid, che in Senato era ieri comparso
il Romero e «ci ha presentato lettere esortatorie alla concordia e molto amorevole sopra la qual pratica egli si è anco esteso a bocca con molta cortesia e
prudentia et in somma ha fatto con noi il medesimo officio che fece Don Iuan de Idiaquez. Noi l'abbiamo alogiato honorevolmente e fattoli fare le spese. Domani
matina si partirà»10. Parimente il 22 marzo, dando avviso all'agente di Vienna di questa novella manifestazione di affetto, più o
meno sincera, scriveva: «l'altro hieri vene qui lo Commissario di Finale Cristoforo Sigismondo Romero, che ci presentò una lettera della Maestà Cesarea per la
quale ci esorta alla concordia et alla conservazione della libertà et quiete et a bocca ci espose nella medesima sostanza a cui fecemo quello ringratiamento et
risposta che parse opportuna, et subito che si ebbe noticia che il Commissario fu qui all'hosteria mandamo doi gentil huomeni a levarlo et lo fecemo condure in un
palazzo dove li havemo fatto preparare la stanza, et mentre che si è fermato qui se le sono fatte le spese per non mancare ad ogni specie di
compimento»11. Se non che il Senato, seguendo una tattica frutto del più fine accorgimento, non ostante «la incomparabile
devotione con tutta casa d'Austria»12, nel mentre con lettera del 18 marzo avea ringraziato l'accorto monarca, rinunciava
gentilmente l'offerta, allegando per iscusa che tutti i cittadini erano concordi per il bene comune della patria, senza distinzione di parte, e che per essa
avrebbero versato l'ultima stilla di sangue13. L'ambasciatore fu trattato coi massimi riguardi e alloggiato da Gio. Giacomo Imperiale in
Campetto14.
Sia col fermo proposito di fare, come Massimiliano d'Austria, il paciere non chiesto, o, per meglio dire, un nuovo atto di possesso in Genova, dalla Spagna
agognata, sia per arrolare uomini e preparare nuove galee per fiaccare la baldanza dei turchi, già altre volte domata, D. Giovanni d'Austria si preparava a fare il
suo ingresso nella riviera orientale. Ho accennato alla baldanza dei turchi. Il 1° marzo del 1574 Don Giovanni scriveva da Napoli a Gian Andrea Doria:
«son verdaderos los avisos, que por todas partes se tienen de que el Turco hase aparejar su armada tan numerosa y con tanta diligencia como escriven y yo ol
tengo por cierto con grandissimo des contentamiento mio, anteveo que no pueden dexar de suceder grandes inconvenientes en los estados de su M.d que
quando se querran reparar sera fuera de saxon»15. Il doge e i senatori non mancavano di prendere tutti i provvedimenti del caso,
onde il 30 marzo scrivevano ai giusdicenti della riviera orientale ed occidentale di dar ordini affinché le guardie venissero fatte con ogni diligenza
«intendendosi che in Algieri et altre parti di Barberia e uscito un numero di vascelli di corsali»16.
Nel frattempo per meglio accapparrarsi l'animo di Don Giovanni, si ordinava ai Protettori di S. Giorgio di non riscuotere alcun diritto di dogana per le robe di
Don Giovanni, trasmesse per lui da Milano nel palazzo di Gio. Andrea Doria.
Il fastoso palazzo di Fassolo era apparecchiato; e mentre in Genova si stava in pensieri circa gli apparati turcheschi e le notizie giunte venivano comunicate
il 15 aprile al protonotaro Sauli a Madrid17. Don Giovanni, lasciati ormai gli ozi di Napoli, il 24 aprile 1574 trovandosi alla
Spezia18, scriveva al Doge e ai Senatori di Genova che, avendo lasciato il porto di Gaeta per dirigersi alla volta di Spagna, avea
ricevuto dal re Filippo II un dispaccio con che gli ordinava di recarsi a Milano, onde in esecuzione della regia volontà, avendo il giorno 21 lasciato il porto di
Gaeta per andare in Lombardia, dava ora l'annuncio del suo prossimo arrivo in Genova19.
Gli ambasciatori, già prima stati eletti andarono ad incontrare Don Giovanni, trasmettendo poi il 28 aprile da Portofino la relazione del viaggio:
Excellentissimo et Illustrissimi Signori Il tempo tristo n'ha tratenuti due giorni tra Portofino e Sestri, di dove hier sera alle due hore di notte, ancor che il tempo non troppo buono, si siamo partiti e nel far del giorno habbiamo incontrato sua Altezza nel sbocar di Porto Venere, al quale volevamo far quel complimento d'honore che da V. S. Illustrissime ne è stato ordinato, ma così presto della giunta sua Altezza ne ha fatto intendere che non si moviamo altrimente di galera sinché non giunga a Portofino nel qual luogo farà pausa et più sentirà quello che gli verrà esposto in nome di V. Eccellenza e V. S. Illustrissime da noi, nel qual luogo poi siamo gionti et fatto a Sua Altezza quelli compimenti dovuti, come più a pieno di presentia narreremo a V. Eccellenza e Signorie Illustrissime, ne ha detto che si fermerà sino a domani qui et doppo pranzo si partirà per Genova, ne è parso darne notitia a V. S. Illustrissime acciò possino dar quell'ordine intorno alla sua venuta che gli pareranno necessarie et con questo fine pregando nostro Signore che le tenghi di sua mano. Di Portofino alli 28 di aprile 157420.
Lo stesso giorno scrivevano:
Eccellentissimo et Illustrissimi Signori nostri osservantissimi. - Ritrovandosi Cristoforo Fornari alla Cervara, monsignor Mazza medico del Serenissimo Signor Don Giovanni ragionando si è fatto cadere artificiosamente in domandargli se nel desimbarco che farà Sua Altezza alla scaletta del Signor Gio. Andrea [Doria] si metterà per terra cose di seta ovvero di panno et di che qualità. Detto Cristoffaro gli ha risposo che il Signor Gio. Andrea è cavagliero tanto compito che supplirà in questo, come conviene, dovendo alloggiare in casa sua et siando il luoco del detto disimbarco membro di soa casa. Detto medico gli ha replicato che il sudetto Signor Gio. Andrea non è alla città et che il desimbarco poiché la Signoria Illustrissima lo va a ricevere che non si può dire che questo particolare debba esser provisto dal sudetto Signor Gio. Andrea ma dalla Signoria Illustrissima Detto Cristofaro ha perseverato in rispondergli le istesse parole in sostanza, et poi ne ha dato a noi notitia del sudetto, et ci è parso esser debito nostro farne avisate le S.S. V.V. Illustrissime, acciocché possino et considerare intendere et provedere quello che le parrà convenire, poiché par che prema et se le debba havere particolare consideracione il che sarà fin di questa con baciar a V. Eccellenza et Signorie Illustrissime riverentemente le mani et pregarle felicità. Da Portofino li 28 di Aprile 157421.
Il 15 aprile la Signoria genovese, perché tutto procedesse con ordine avea nominato in podestà di Rapallo il patrizio Benedetto Doria e il 20 aprile in castellano
di Portofino Antonio Lavaggio, consegnandogli apposito cifrario22.
Don Giovanni d'Austria era già stato a Portofino. Trovo infatti due lettere da Portofino da lui dirette a Gian Andrea Doria colla data del 1° e 10 agosto
157123. Prima adunque della battaglia di Lepanto, e mentre a Genova fervevano i preparativi il seno simpatico portofinese, per dieci
giorni almeno, avea dato ricetto al futuro vincitore della celebre pugna navale. Parlando di Portofino non posso far a meno di riferire la descrizione che ne fa
Gio. Battista Confalonieri, segretario del patriarca di Alessandria spedito collettore in Portogallo e giunto a Portofino l'11 novembre del 1592, giorno di S.
Martino: «Questo Portofino è fatto dalla natura tra due monti, non è molto grande et è esposto alli sirocchi che travagliano quei vascelli che vi sono. E'
però assai vago per le case che vi sono attorno, vi trovammo un pane bianco come un latte, ma non ben cotto et era così caro che veniva a costare a ragione di Roma,
18 quattrini la pagnotta che non poteva essere più di quattro once; i letti uno scudo per notte e faceano pagare non solo le stanze, ma l'aria stessa. Vi sono due
chiese, la Pieve e S. Giorgio, in cima di un alto monte dove dicono vi sia del corpo di esso Santo. Discosto da questo porto due miglia, vi è il monastero di S.
Girolamo della Cervara, dei Monaci Cassinensi, quale è tanto bello e fecondo di ogni grazia di Dio che in quei sassi e monti sterili, non si può desiderar più; e
hanno così gran giardini che mi maravigliai, da' quali ne raccolgono grano, vino et oglio in tanta quantità che ne hanno da vendere, eppure vi stanno da 16
monaci»24.
Da Portofino alla Cervara è breve il passo. Don Giovanni d'Austria, allora ventisettenne, il 28 aprile 1574 fece col suo medico una breve visita alla Cervara,
onde il P. Spinola, istoriografo della celebre badia notava: «Alloggiò in monistero D. Gio. d'Austria di cui si legge nel libro 1570-1576 che lasciò due somme
con queste parole: Ricevuto per ellemosine dal Signor Don Io. d'Austria quando sua Altezza fu qui in monastero L. 80 e più per tanti cioè scudi 16 avuti dal Ser.mo
Signor Don Gio d'Austria, quando alogiò qui; altra notizia di lui non danno i libri della Cervara»25. Alla corte di Spagna
conoscevasi la detta badia; se ne evocavano con orgoglio i ricordi, alla storia spagnola collegati. L'arrivo del prigioniero Francesco I nei primi di giugno del
1525, rammemorava la rotta di Pavia e la strepitosa vittoria di Carlo V. Nell'agosto del 1529 per quasi 11 giorni aveano soggiornato alla Cervara i cardinali
Alessandro Farnese (più tardi pontefice col nome di Paolo III, Francesco Quignonès, spagnolo, generale dell'ordine dei Minori e Ippolito de Medici, nipote del
pontefice Clemente VII, venuti in Genova d'ordine del papa, col mandato d'invitare Carlo V a Bologna, ove l'anno seguente fu incoronato
imperatore26. Nel 1542 la Cervara ospitava pure Nicolò de Granvelle ministro e consigliero di Carlo V, come il paziente istoriografo ci
lasciò scritto. Nulla di più facile che questi ricordi abbiano invogliato Don Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V, a portarsi all'antico Cenobio, che si
collegava a tante memorie della sua famiglia.
Dalla Cervara Don Giovanni tornò a Portofino, di dove spiegò le vele verso Genova, arrivando il 29 aprile 1574, il giorno stesso in cui la Serenissima esultava
per l'elezione di Don Giovanni di Idiaquez, ambasciatore spagnolo in Genova in luogo di Sancho Padilla eletto castellano di Milano, «il quale per il vero era
et è in molta nostra satisfatione, essendo molto bene edificato verso la Republica e S. M.»27.
1 Litterarum, Reg. 72-1848, p. 1.
2 Litterarum, Reg. 71-1847, p. 21.
3 Litterarum, Reg. 71-1847, p. 19 v.
4 Litterarum, Reg. 71-1847, passim.
5 Litterarum, Reg. 71-1847, pp. 38-39.
6 Lettere di Principi, Mazzo XIX.
7 Lettere di Principi, Mazzo XXI.
8 Litterarum, Reg. 72-1848, p. 9.
9 Lettere di Principi, Mazzo I.
10 Litterarum, Reg. 72-1848, p. 11.
11 Litterarum, Reg. 71-1847, p. 29 v.
12 Da una lettera del 6 ott. 1575 scritta da Margherita d'Austria (Lettere di Principi, Mazzo XIX).
13 Litterarum, Reg. 71-1847, p. 28.
14 Finanze, Filza al N . 43.
15 Lettere di D. Giovanni d'Austria a D. Giovanni Andrea Doria I, pubblicate per cura del principe D. Alfonso Doria Pamphili, Roma, Tip.
Forzani 1896, p. 54.
16 Lettere del Senato, Filza N. 189.
17 Litterarum, Reg. 72-1848, p. 12 v.
18 Ubaldo Mazzini mi comunica la seguente nota, riguardante l'arrivo di Don Giovanni d'Austria alla Spezia, di che lo ringrazio: «E a dì
ditto [30 apr.] L . 84 s. 8 tanti spessi in lo presente dal S.mo Gio. de austria qualli ne ha comodo m. Io. batista redoano apare poliza in detto m. gasparo
masa in cte. 37, L . 84 s. 8. - d. Frediano alo in contro deanere L . 4. In tanti li ha pagati la ditta camera causa de letti datti alli agienti delli S. in
basiatorj de gienoa per il S.mo don gio: de austria apare deliberacione L. 4.
- E a dì 30 ditto L. 84 s. 8 in contanti pagati a d. Io: Batista redoano dal quale furon comodati li Sindicij per fare il presente al S.mo Don Gio: de austria
apare uno conto infilzatto a debitto della comunità a cte 40, L. 84 s. 8. (Dal libro dei Conti della Cm.tà della Spezia, 1573-74). - «+ die ea (30
aprilis). Prefatus magistratus aprobauit et aprobat munus factum serenissimo d. Ioanni de austria per dominos sindicos nomine comunitatis quod ascendit ad summam
librarum prout in lista infilciata legitur. - + die ea prefatus magistratus ordinat fieri appodixiam de Io Bapta redoano de libris 84. pro expensis circa munus
factum Serenissimo d. loi. de austria et ita ea die facta appodixia in forma de L. 84.8» (Dal Liber deliberationum M.ce C.tis Spedie, 1573-1576).
19 Litterarum, 1571-1574, N. 1967 f. 10; Notae ex foliatiis Notariorum, Ms. al N. 349, p. 37. Arch. di St. in Genova.
20 Lettere al Senato, Filza N. 102.
21 Lettere al Senato, Filza N. 102.
22 Lettere del Senato, Filza N. 189.
23 Lettere di Don Giovanni cit., pp. 19-20.
24 Spicilegio Vaticano, Roma, tip. Loescher, 1890, p. 180.
25 Memorie Storiche del Monistero e Badia di S. Gerolamo della Cervara dell'Ordine Benedettino Cassinense dall'anno di sua fondazione 1360 al
1796, raccolte da don Giuseppe Spinola professo, decano e cellerario dello stesso Monistero, Ms. alla Bibl. della R. Università, p. 726.
26 Un libro di conti citato nelle Memorie della Cervara notava appunto le spese in pane, farina, olio e pesci salati, fatte per il
prolungato soggiorno alla Cervara dei tre messaggi apostolici.
27 Litterarum, Reg. 72-1848, p. 15.