Testata Gazzetta
    Pezzi di storia

Gli italiani in America
di Giuseppe Ceppi

L'Illustrazione italiana – 27 febbraio 1887

Loro influenza artistica

Dal mare Atlantico al mar Pacifico, nelle vergini foreste della Colombia, sotto il cielo infuocato del Brasile, nelle valli ridenti del Chili e del Perù, in mezzo ai prati immensi dell'Argentina, nelle lontane popolazioni di Bolivia, lungo i fiumi numerosi dell' Uruguay e del Paraguai, nelle città, nei villaggi, dallo stretto di Panama a quello di Magellano, radi nel nord, via via ognor più numerosi nel mezzodì, dovunque in America si trovano degli italiani.
Venite a Buenos Aires, il foco immenso della nostra emigrazione; dacché arrivate, nelle lancie che vi sbarcano, negli alberghi che vi ospitano, nelle strade, illustrazione 1 nei teatri, nelle botteghe, dappertutto v'inseguono gli accenti, cari e simpatici, ancorché storpiati e confusi, di qualche dialetto d'Italia, come se aveste teso nel viaggio un filo misterioso incaricato di trasmettervi ad ogni istante, come gli apparati di Edison, un soffio, un eco della patria lontana.
Lasciate Buenos Aires, dove italiani ce ne sono anche troppi, dove esercitano quasi soli il piccolo commercio, le professioni liberali, le arti minori, i lavori più difficili e penosi, e li trovate in ogni casa, in ogni fabbrica, in ogni bottega, in ogni officina, da facchini, da servi, da impiegati, da patroni, lavorando sempre, vivendo i più miserabilmente, molti con comodità, pochissimi con lusso, stimati per la loro intelligenza e resistenza al lavoro, scherniti alle volte dai figli del paese appunto per le loro migliori qualità, l'economia ed il risparmio. Allontanatevi dalle città, solcate i fiumi maestosi del Paranà e dell'Uruguay, addentratevi nella Pampa sterminata, nelle praterie senza limiti, e a quando a quando anche fuori dei luoghi abitati, dove in minore in minore proporzione sempre si ripete il fenomeno di Buenos Aires, qualche parola
Del bel paese là, dove 'l si suona
verrà a togliervi la stanchezza, la melanconia, la tristezza dei paesaggi monotoni, delle pianure e delle montagne uniformi, senza alberi, senza varietà.
Strane sorprese si ricevono in quelle regioni così lontane e che nondimeno, nel movimento affannoso, nel rimescolio continuo della vita cittadina, si crederebbero alle porte d'Italia! Allontanatevi centinaia di miglia dai luoghi abitati: chiamate, pellegrini erranti, dopo lunghi e lunghi giorni di viaggio, ad una casa qualunque perduta nella solitudine dei campi, e che prendereste per magione di esseri misteriosi indegni di vivere col resto degli uomini o per ricovero di furfanti ritirati colà per tramare più liberamente le loro imprese: chiamate, e fra il dubbio ed il timore che vi scuotono il cuore quando sospettereste, come il cavaliere spagnuolo, aver da vincere la maggiore avventura della vostra vita, quale sorpresa, quale gioia, quanto piacere sperimentate all'udire d'improvviso una voce che vi par conosciuta esclamare:
- Mira chi ghè, Battistin!
E subito subito, come sbucato di sotterra, come se uscisse fresco fresco da qualche cascina della Liguria, un giovinetto biondo, vivace, svelto vi dà il benvenuto.
Visitate nell'interno i ranchos, miserabili capanne simili a quelle che da noi improvvisano gli agricoltori per guardare in estate od in autunno le messi: giammai credereste poter trovare un italiano tra quelle faccie color rame scuro, fra quei chinos (indigeni) di barba e capelli ricciuti e nerissimi, di occhi sbalorditi e stupidi, fra quegli uomini oziosi, lenti nel muoversi, indifferenti come i maomettani, non curanti dell'avvenire; eppure, ancorché pochi, ne troverete anche tra loro, e non li riconoscerete a prima vista, travestiti come vanno col poncho, specie di rustico mantello, col chiripà, grandi pantaloni alla zuava, coi lunghi stivali, coi volti abbronzati dal sole e dall'immondizia, colle chinas con cui vivono in strano connubio; ma li riconoscerete appena aprano la bocca nelle cadenze speciali della voce, nella pronuncia corrotta del castigliano, nelle storpiature di alcune parole adattate alla nuova lingua, perché gli italiani del basso popolo, i nostri emigranti illetterati possono cambiare e perdere tutto, pur troppo anche il ricordo della patria, possono cambiare e prendere altri costumi, altre idee, altre tendenze, ma ciò che neppure in cento anni possono cambiare e perdere del tutto è il loro dialetto, ciò che non possono prendere mai con perfezione è un'altra lingua.
E se non volete chiamare a nessuna porta, né visitare nessun rancho, non mancheranno occasioni di persuadervi in qual modo si sono sparsi per tutto gli italiani. Forse qualche giorno, impazienti per un ritardo, vi affretterete a raggiungere sull'imbrunire la città, il villaggio o la casa da cui vi siete troppo allontanato. Allo scrutare sospettosi l'orizzonte vedrete lontano lontano un punto nero, che parrà una piccola pianta, ma che andrà via via ingrossando fino a foto lasciarvi distinguere un uomo a cavallo, un gaucho (pastore), che a gran galoppo si dirige verso di voi. Guardate intorno e non vedete anima vivente; soltanto, a due o tre miglia alcuni buoi rompono l'uniformità della pianura coi loro gravi profili, e che per la loro immobilità prendereste per sassi sporgenti dal suolo; avete paura, vorreste fuggire, ma è inutile; cercate nel suolo una pietra, un bastone per difendervi; pensate al vostro danaro, alla vostra famiglia, vi accommiatate dal mondo; e frattanto il cavallo arriva, il cavaliere vi saluta, la sua faccia vi pare amica, e rimanete stupefatti udendo un buona tardes (invece di buenas tardes) a cui rispondete rassicurati da quella prima parola sbagliata, un buona sera effusivo.

Che fanno, come vivono, in che s'impiegano i cinquecentomila italiani sparsi nel continente sud-americano, e i settanta od ottantamila che vagano per gli Stati Uniti e gli altri paesi d'America? Perché i napoletani, che lavorano poco o non lavorano in casa loro, sono laboriosi e instancabili in America? Perché non escono dalle città, mentre i genovesi, i lombardi, i piemontesi si spandono per tutto e forse sono più stimati dagli americani? Quali trasformazioni si operano negli emigranti, che dimorano parecchi anni in America o vi si stabiliscono? Che relazioni mantengono colle altre genti, in che concetto sono presso i nativi? Quale sarà la influenza che la loro fusione, col popolo argentino, per esempio, il quale ne riceve il maggior numero, eserciterà sul carattere, le tendenze, i sentimenti, la capacità, l'avvenire, in una parola, dello stesso popolo?
Son tutte quistioni importantissime, appena sfiorate in articoli leggieri, in libri senza scopo e più ameni che profondi. Eppure lo studio di tali questioni dissiperebbe moltissimi errori che in Europa si nutrono rispetto ai paesi americani, darebbe a conoscere la vita, i costumi, le trasformazioni ancora ignorate di quei popoli, i grandi progressi effettuati da alcun tempo nel Brasile e nell'Argentina e affatto sconosciuti. E con queste si spiegherebbero allora altre quistioni di sommo interesse per gli italiani: si domanderebbe forse perché non sono maggiori le relazioni fra l'Italia e i paesi sud-americani: perché il giorno in cui l'emigrazione diminuisse e non ci fosse più traffico di passeggeri è quasi sicuro che si sospenderebbero le corse di molti nostri vapori; si spiegherebbe perché l'emigrazione è così numerosa nelle provincie meno popolate d'Italia e scarsissima nella poetica Toscana ed in altre; e il fatto lamentevole di rimanere e stabilirsi in America circa la metà dei nostri compatrioti condurrebbe forse allo scoprimento di qualche mezzo atto a mantener vivo anche nei più rozzi il ricordo, il sentimento, il desiderio, l'amore della patria.
Quando il professore e senatore Boccardo leggermente consigliava la conquista della repubblica Argentina, conosceva forse le condizioni di questo paese, sapeva forse che è altrettanto impossibile che la conquista dell'Italia per un'altra nazione? Sapeva egli che gli italiani, malgrado il loro numero, non hanno nessuna influenza diretta nel paese, nel quale sono così stranieri come lo possono essere tra noi i tedeschi ed i francesi? Quando il conte di Robilant fa dichiarazioni energiche nel Parlamento, come nei primi mesi dell'anno scorso, parlando burlescamente delle repubbliche americane, sa egli che tali dichiarazioni, quando non sono ben giustificate né seguite dall'azione, fanno più male che bene agli italiani d'America,i quali le lamentano sempre invece di gradirle? Quando i giornali, quando alcuni deputati, basandosi sulle informazioni di qualche giornale italiano d'America, commentano fatti, questioni in apparenza gravissime, o dirigono interpellanze illustrazione 2 al governo, conoscono forse il valore di quel giornale, sanno qualche cosa del credito che gode dentro il paese, pensano che un altro giornale italiano dello stesso luogo dirà forse un'altra cosa, hanno antecedenti per togliere quella parte d'esagerazione, di cattiva fede, d'interesse personale che ci può essere?
E ancora, prescindendo da tutto questo, che fonte inesauribile d'osservazioni, di descrizioni, di studi, seguire i nostri emigranti dacché partono col cuore straziato dal caro paesello, dalla città prediletta, dacché escono dai nostri porti pieno il capo di progetti, di speranze e di sogni, dando melanconicamente un addio alla patria, che per loro è l'amante sdegnata, e vederli poi, svaniti i sogni ingannevoli e caduto il velo delle dolci illusioni, trasfigurati nelle strade delle città argentine o erranti pei villaggi e le campagne: trovare l'ex-impiegato, il cattivo studente convertiti in garzoni di caffè o d'albergo, mentre per vergogna scrivono alla famiglia ed agli amici che non va male; sorprendere il contadino napoletano mentre grida a squarciagola per le strade carne, verdura, frutas, huevos (uova) con due grandi cesti sospesi alle spalle tutto il giorno, vestito per misericordia con abiti buttati via dai signori o domandati da lui e perciò perpetuamente atteggiato a carnevale; vedere gli agricoltori trasformati in domestici, gli artigiani in cuochi, gli avvocati in commessi di negozio o maestri di scuole infantili; investigare gli effetti che sperimentano, per la diversità dell'ambiente e dei panorami, gli abitanti che dalle colline piemontesi festanti per vendemmia, dalle floridissime, popolate ed amene pianure lombarde, dai pittoreschi villaggi della Liguria e delle coste meridionali, dalle città piene di bellezze e monumenti, dalle convalli degli Apennini che
Popolate di case e d'oliveti
Mille di fiori al ciel mandano incensi

come dice il Foscolo, si sono trapiantati spontaneamente lungo le rive deserte e uniformi dei fiumi del Plata, all'ombra dei pioppi di Mendoza, nelle pianure senza alberi, sterminate, monotone, nelle città cosmopolite, dove il clima, l'aria, la vita offrono tante affinità con l'Italia e dove nondimeno la natura esteriore è così diversa.

Tanta popolazione italiana lanciata per la miseria e il carattere avventuriere sulle spiaggie lontane del Nuovo Mondo deve forzatamente, mescolandosi e fondendosi con nuove genti, influire nel corso del tempo sul carattere e il temperamento di quei popoli che, come l'Argentino, ne ricevono il maggior numero, e presentano migliori condizioni di fusione e d'assimilazione.
Non si è studiata cotesta influenza, neppure dagli americani; e nondimeno è così importante, come sarà inevitabile e decisiva, Quel senso nostro dell'arte di cui parla Settembrini, quel senso di armonia che si manifesta in tutto ciò che facciamo e diciamo, quel carattere che ci fa meditare palpitando, essere astuti nel governo, nella vita sociale, nel traffico, nella filosofia, e però nelle arti più artisti di tutti gli altri popoli, quel senso e quel carattere influiranno e si manifesteranno presto o tardi nel popolo argentino; e la qualificazione di Atene del Plata, che già nel Sud d'America si dà a Buenos Aires, avrà un giorno un valore così elevato, come l'hanno avuto, o l'hanno adesso in Europa, Roma, Firenze, Venezia, Milano, Parigi.
Né dicano gli americani, nel loro impegno di non riconoscere superiorità alcuna negli stranieri, nella animadversione e ingratitudine (dissimulate nella forma ma esistenti nel fondo) verso coloro che vanno a fecondare le loro terre, aiutare ed accelerare i loro progressi, - non dicano che le genti che ricevono, per la loro rozzezza ed ignoranza, non portano seco le qualità del popolo d'origine, né possono avere senso alcuno di arte, come se invece dei contadini, dei giornalieri e dei poveri dovessero emigrare i benestanti e gli istruiti, dei quali pur troppo ne emigrano molti - ed è questo un altro punto che bisognerebbe trattare; - non dicano ciò, perché risponderemo ancora col Settembrini che un popolo col tempo muta giudizio, cambia idee, sentimenti, costumi, ma non muta fantasia, la quale dà le forme. E la fantasia piglia sua condizione dalla stirpe, dai luoghi e dalla natura esteriore, le cui bellezze non si cancellano mai dall'immaginazione dell'emigrante, che le esalta ai figli e questi ai nipoti, formando una specie di tradizione, di eredità che lasciano al loro paese, come in omaggio e compensazione, coloro che hanno la sventura di non più rivederlo. E i frutti di quella eredità faranno un giorno più caro e rispettato in America il nome d'Italia.
Per negare tali influenze bisognerebbe negare le leggi storiche. La barbarie dei goti, le animosità provinciali, le devastazioni di tanti eserciti, l'oscurità e l'ignoranza faranno credere per molti secoli che si è perduto e spento in Italia quel fuoco immortale che animò gli etruschi ed i latini, che ci fece considerare eredi di quella ispirazione che produsse lo opere sublimi che van rendendo sempre più memore e simpatico nei secoli il nome di Grecia; ma il genio artistico assopito, non spento, tornerà a manifestarsi con uno splendore neppur sognato; e anche in mezzo alle sventure politiche, alle intestine discordie, alla mancanza di nazionalità, alla dominazione straniera, sarà ammirata e rispettata l'Italia. Potranno ammutire i trovatori, cadere la letteratura provenzale, non dar segnali di vita per parecchi secoli, ma tornerà a risorgere, come ora in Catalogna e Provenza, collo splendore antico; potranno i barbari, ed anche più tardi altri popoli distruggere i resti dell'antichità, mescolarsi, confondersi coi popoli del mezzodì, ma le affinità di lingua, di carattere, di costumi, manifestate più che mai a quindici secoli di distanza, le mostre di quel valore e di quell'orgoglio che fecer grandi e potenti i latini, lo splendore artistico che da cinque secoli, prima e sempre in Italia, poi in Francia ed in Ispagna si è venuto man mano manifestando in quelle città che fiorirono anticamente per emigrazioni greche o pel genio romano, provano che nel tempo e nello spazio, quando la distruzione o il mutamento imposto per forze irresistibili non è completo, si conserva sempre qualche cosa dello spirito, del carattere, delle qualità primitive d'un popolo, come nell'uomo, malgrado la sperienza e le molteplici vicende si conservano sempre più o meno le qualità, il carattere, lo spirito del giovinetto. Il tempo trasforma il creato, ma il tempo non può distruggere neppur un atomo dell'universo; e nell'atmosfera d'ogni popolo rimane, impalpabile ed invisibile, come l'essenza delle sue tendenze, delle sue energie, che tornano a manifestarsi quando si riproducono le condizioni favorevoli che determinarono il loro primo sviluppo.
Non è possibile dubitarne. Come gli arabi diedero agli spagnuoli parte del loro carattere cavalleresco e romantico, come gli spagnuoli lasciarono agli americani del centro e del sud il sentimento vivo dell'onore, della nazionalità e della patria, come gli Inglesi lasciarono ai nord-americani le inclinazioni industriali e commerciali, le loro affezioni scientifiche, e anche parte delle loro rare qualità e del loro egoismo assorbente, così gli italiani, nella lotta pacifica del lavoro, daranno ai popoli dell'America del Sud e specialmente all'argentino, il loro senso dell'arte e anche forse quel senso pratico della vita che ancora non hanno, e che si manifesta nel risparmio, nella previsione dell'avvenire, nella cauta elezione dei mezzi, nella resistenza a tutto ciò che è contrario ai propri interessi.
Sarà un arte diversa dalla italiana, adatta alle differenti condizioni della natura e dei popoli; ma qualunque sieno le variazioni, quell'arte non potrà mai negare la paternità legittima del senso artistico italiano, come nessuna delle scuole artistiche create in Europa da tre secoli in qua può negare ciò che deve all'arte italiana. Già attualmente le belle arti e la musica sono monopolizzate in Sud-America quasi esclusivamente da italiani; e figli d'italiani nati in America son quelli che più si distinguono, ed incominciano a farsi onore in Europa.
Ma ci dilunghiamo di troppo: in altri articoli andremo sviluppando man mano alcune delle principali quistioni che abbiamo accennate e che hanno grandissima importanza per noi, perché lo studio della vita degli italiani in America può scoprire aspetti non conosciuti delle qualità del nostro popolo, influenze non sognate, relazioni ed utilità finora abbandonate, ma che pure si dovranno cercare e sollecitare alcun giorno.

© La Gazzetta di Santa