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    Pezzi di storia

Nel Porto di Genova – Lo scalo dei carboni
di Achille Tedeschi

L'Illustrazione italiana – 21 ottobre 1900

veduta generale La crisi dei trasporti, la crisi dei carboni, fanno oggi rivolgere l'attenzione sul porto di Genova; fortunatamente però la fa rivolgere ad esso pure il grande suo sviluppo, che ne fa il temuto rivale del porto di Marsiglia. "Genova è il legittimo orgoglio della penisola" ha scritto un economista francese, il signor Paul Louis [1872-1955], in un suo recente libro: La guerre économique, oggetto di commenti, di considerazioni, e, più ancora, di sorpresa in Italia, dove per accorgersi di quanto di buono e di grande esista è necessario che ce lo dicano gli stranieri. Ed è con orgoglio che noi italiani possiamo guardare a questa meravigliosa cornice che quasi si chiude nel mare, ove rivive la secolare gloria marinaresca d'Italia, nelle migliaia di piroscafi e di velieri che affluiscono a tutti i suoi approdi, e ne occupano ogni spazio, e si allineano vicini, o attendono che uno si muova per occuparne il posto. Il signor Louis dimostra l'importanza scaricatori di questo porto colla prosa di una serie di dati statistici, ma noi che ai numeri preferiamo la visione delle cose, ci accontentiamo di ammirare lo spettacolo di quella vita febbrile di lavoro, che stanca la vista ed assorda, tutto l'incessante movimento delle innumerevoli imbarcazioni e la linea dei piroscafi che aspettano la loro volta per approdare, a convincerci dello sviluppo immenso del traffico mondiale a questa porta principale del commercio italiano. Ogni nave che entra ed aspetta pare esprima collo stridente fischio della sua sirena, coi sospiri profondi dei suoi fumaiuoli la sua sorpresa di trovare un ingombro maggiore dell'ultima volta, o domandi la grazia di nuovi scali: "Più posto!… più posto! … più posto! …"
Sarebbe il vanto nostro - del mio collaboratore artistico e mio - il poter ritrarre, col disegno e colla parola, la vita di questo porto unico per i suoi aspetti pittoreschi, passando dalla scena grandiosa - per vastità e bellezza d'ambiente e per animazione - al quadretto di genere, al ritratto, all'aneddoto; ma lo spazio (e forse anche l'immensità del tema) tarpa le ali ai nostri slanci, e ci consiglia di limitare il nostro compito al lembo occidentale del porto, ad arrestarci nel tenebroso regno del diamante nero, su cui è rivolta oggi l'attenzione dei nostro mondo industriale.
Ecco il quadro: nero il terreno, nere le navi, nero il mare di chiatte, neri gli uomini, nere le montagne che si formano e si dissolvono lungo le calate, neri i treni - lunghissimi serpi trascinati lentamente da grandi, da gravi, da nere locomotive, - nero il pulviscolo che, velo oscillante, ondeggia nell'aria; e al di là di tanto nero lo splendore azzurro di un mare italiano, e al di qua di tanto nero il bianchissimo anfiteatro della città, superba di palagi, monumenti d'una gloria di secoli, incoronato dalla festa delle colline dove fiorisce l'arancio. In questo mondo nero, per l'uniformità del colore, l'occhio trova a stento il contorno delle cose, e al primo sguardo l'animazione ne sfugge; ma a poco a poco tutto si delinea, e apparisce il movimento, la vita di una officina che pare sconfinata, dai cento fumajoli, dalle gru gigantesche, dai treni che si muovono e s'incrociano, dall'esercito di lavoratori.
Lo scalo del carbone, che si stende ai piedi della vigile lanterna, è formato da tre calate - o ponti di approdo -; ma fra i due ponti centrali il mare non si vede; tutto quello spazio è occupato dalle chiatte carboniere unite, vicine, addossate le une alle altre, come le gondole veneziane durante una serenata; ma là è festa e qui è lavoro. I camali - cioè i facchini del porto - seminudi, neri, simili a statue di bronzo, dalle braccia, dalle gambe, dai toraci modellati come gladiatori, curvi sotto le pesanti coffe cariche di minerale, compiono senza riposo, automaticamente il tragitto dalla chiatta al ponte, dove riversano il carbone e dal ponte alla chiatta dove fanno riempire nuovamente le coffe. E quando una chiatta è scaricata, ecco lentissimo avanzarsi un vaporino, e con nostra sorpresa, aprirsi una via fino alla vuota imbarcazione, afferrarla con una fune, è per la stessa via rimorchiarla a rifornirsi presso i grandi piroscafi carbonieri. Il solco lasciato dal vaporino si richiude subito e un'altra chiatta carica prende il posto lungo la calata. foto 1
Non tutti i grandi vapori scaricano sulle chiatte; molti depositano direttamente il minerale sulle calate o nei vagoni. I vapori carbonieri tutti inglesi, di Cardiff o di New-Castle, sono immensi magazzeni galleggianti. Sotto il piano della loro coperta, dal ponte alle stive non vi sono che grandi depositi riempiti fino all'orlo di minerale. Ognuno ne può portare circa tremila tonnellate, trecento vagoni, una collina nera. Guardando nel fondo di uno di quei depositi, che si stanno vuotando, sembra di sprofondare lo sguardo negli abissi d'una miniera. Laggiù in quelle tenebrose profondità lavorano degli uomini? L'occhio non li può scorgere; ma da quegli abissi salgono, con ritmica regolarità, delle coffe ripiene; un uomo le pesa all'uscita, le consegna al camalo, e questo su un piccolo ponticello improvvisato, che egli attraversa con passo saltellante e con abilità di equilibrista, le porta alla calata o al vagone. Subito la coffa ridiscende nelle viscere della nave e riempita da invisibili operai risale fra il turbinante nero pulviscolo. E' un lavoro incessante, dall'alba al tocco e dalle due al tramonto, che il camalo compie quasi in silenzio, Un rude lavoro, col quale egli, uscito dal popolo o venuto dalle campagne, si guadagna la bella giornata di sei o sette lire al giorno… Una piccola squadra di questi robusti operai vuota un bastimento in meno di una settimana gettando sulla calata giornalmente cinquecento tonnellate di minerale.
Negli altri scali il camalo interrompe il lavoro quando il colpo di cannone annuncia il mezzodì; qui dovendo adattarsi all'orario delle navi inglesi si riposa al tocco… A quest'ora il nero paesaggio acquista una pittoresca vivacità; verso le scalette d'approdo s'avanzano alcune imbarcazioni d'apparenza festiva. Sono delle osterie galleggianti, dai festoni multicolori, che fanno scintillare i vetri e le terraglie delle loro stoviglie, e attirano gli affamati lavoranti con l'odore stuzzicante degli agli e delle cipolle. In cinque minuti le rive presentano l'aspetto di un disordinato banchetto e come prima vedevamo vuotarsi le nere coffe, così ora si asciugano in men che non si dica, le odoranti ciotole di minestra e di insalata e i bicchieri di Trani e Barletta. Se nel lavoro il camalo è serio e silenzioso, ora dà sfogo alla sua vivacità con un linguaggio pittoresco, fatto di invettive, che spesso nascondono un complimento, condito con frasi salaci più delle trangugiate pietanze.
Un altro spettacolo di cui è protagonista il camalo, signore e padrone del porto - è quello che chiude la giornata, quando l'esercito nero abbandona le navi, le chiatte, le calate e si affolla ai modesti recinti della forma di edicole, dove in vasche di marmo scendono delle docce. Essi vanno a farvi la loro toeletta pomeridiana, una toeletta molto sommaria… ma una scena da strappare grida d'ammirazione ad uno scultore: un aggruppamento di statue di bronzo palpitanti e strepitanti, una scena dell'inferno dantesco scolpita da Michelangelo. foto 2

Ma il poeta e l'artista hanno parlato abbastanza; la prosa reclama il suo diritto e vuol dire essa pure la sua parola.
La questione dei carboni risorge, e se non ce lo dicessero i giornali su tutti i toni, basterebbero a convincere queste montagne di carbone che vanno, trasformano le calate in un paesaggio alpino… visto con lenti nere. Giovedì, 4 ottobre, giorno in cui raccolsi queste mie impressioni, stazionavano nel porto ventisei vapori carbonieri, ognuno dei quali aveva portato allo scalo non meno di tremila tonnellate di minerale. Queste ottantamila tonnellate trovarono le calate straordinariamente ingombre. Altre cento ottantamila si trovavan infatti già sulle calate e sulle chiatte; e ciò forma un totale di duecentosessantamila tonnellate in uno stesso giorno, nel porto di Genova.
Di solito, per sgomberare l'enorme quantità di minerale, continuamente in arrivo, le ferrovie mettono a disposizione dei negozianti di carbone da cinque a seicento vagoni; ma adesso non ne possono dare che da tre a quattrocento, perché molti sono impiegati al trasporto dei soldati che ritornano dalle manovre o cambiano di guarnigione, o vanno in congedo, senza parlare di quelli che sono reclamati dalle vendemmie, straordinarie quest'anno, nell'Alta e media Italia.

bettole Bettole galleggianti per i caricatori

Fatto il calcolo, che ogni vagone non può portare più di dodici tonnellate, certo gli scali non potrebbero essere sgomberati che fra tre mesi, sempreché si arrestasse l'arrivo dei vapori carbonieri. Ma disgraziatamente è già annunciato prossimo l'arrivo di altri ventidue (quasi settantamila tonnellate).
Ho detto disgraziatamente, ma forse la parola non è esatta. La crisi dei trasporti, in un dato periodo, è la sorte di ogni paese, che si trovi alla vigilia di un grande sviluppo commerciale. Come strepitano i nostri industriali che reclamano il carbone, il pane di cui le loro industrie sono affamate, così si strilla in un altro paese, avviato a grande prosperità, nel Belgio. Anche là è minacciosa la crisi dei trasporti. Anche là si reclamano rimedi. Da noi, per fortuna, non pare debbano essere molto lontani. Nella mia coscienziosa inchiesta presso i vari interessati mi sono persuaso che da una parte e dall'altra si è animati di molta buona volontà, specialmente va encomiata la società ferroviaria, che ha già fatto quanto poteva per rispondere all'urgenza del caso. Poiché non si tratta soltanto di aumentare il numero dei vagoni, ma pure e specialmente di renderne più sollecito l'inoltro; essa si è affrettata ad applicare i ventilatori Saccardo in alcune gallerie di sbocco, sperando di aumentare notevolmente il transito dei vagoni. Da qualche anno si studia il progetto di fare un parco di vagoni a Rivarolo, in comunicazione diretta col Porto, mediante un tunnel; che avrebbe per effetto di sgombrare più sollecitamente gli scali e rendere poi più facile la distribuzione sulle varie linee dei vagoni costretti ora a fare lunghe soste a Sanpierdarena. Ma la buona volontà della società ferroviaria ha urtato finora contro i dubbi, le incertezze, le esitazioni del governo. E come questo anche altri progetti aspettano l'autorizzazione… e i danari.
Si sta davvero ora per cambiare rotta, come si ripete su tutti i toni? Se non è una vana illusione, pare che il paese, e con esso il governo che lo rappresenta, voglia abbandonare il pettegolezzo parlamentare e le vane discussioni di partito. Se è così, anche il problema dei nostri sbocchi commerciali sì imporrà allo studio e cesserà una buona volta di risorgere periodicamente questa crisi dei trasporti, che troppo spesso si è sollevata a minacciare la nascente prosperità delle nostre industrie.
Allora, è vero, sparirà anche l'originalità caratteristica di questo nero paesaggio alpestre… - Peccato!… - esclamò l'artista che mi accompagnava.

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