L'Illustrazione italiana – 22 luglio 1945
Genova, che fu la prima fra le grandi città dell'Alta Italia a cadere sotto il controllo tedesco nell'infausto 8 settembre, fu egualmente la prima a riconquistare
la sua libertà lo scorso aprile.
Mentre a Milano nel pomeriggio del 25 si trattava col moribondo governo nazi-fascista, i genovesi accampavano vittoriosi in piazza De Ferrari, accanto ai
cannoni tedeschi conquistati d'assalto, a furia di popolo. Perché qui a Genova fu il popolo il protagonista dell'insurrezione. Eppure la posizione di Genova era fra
le più difficili. La mattina del 23 aprile in città gli effettivi di una divisione, ancora magnificamente armati, tenevano in pugno il porto e i punti più
importanti dell'abitato e dei dintorni. Forti nuclei della marina accampavano con artiglierie medie e leggere a Nervi, Quarto, Quinto, Sturla: le alture che
circondano con un grande arco tutta la riviera, puntavano i loro cannoni pesanti e pesantissimi sulla città e sull'intera attrezzatura portuale. Bastava un cenno
perché Genova si trasformasse in una bolgia di fuoco. I sapisti1 armati di fucili in tutto non superavano i 3.000, i partigiani
splendidamente guidati e numerosi erano ancora sui monti. I cannoni della 5a armata americana, che brontolavano verso Spezia, distavano almeno cento
chilometri. Il meccanismo poliziesco era in allarme e imperversava a Marassi e alla Casa dello Studente.
Ma alla sera del 23 gli avvenimenti precipitavano, s'inizia la fuga delle autorità fasciste; i primi a prendere il largo sono i leggendari leoni. Il comandante
germanico generale Meinhold avverte il Cardinale Arcivescovo che le sue truppe abbandoneranno la città e la regione senza distruggere gli impianti industriali e i
servizi pubblici, purché la loro ritirata possa essere effettuata senza disturbo.
La notizia, comunicata al Comitato Liberazione Nazionale dal Vescovo Monsignor Siri, passa come una scossa elettrica per tutta la città. Nella notte tra il 23 e
il 24 i membri del comitato aprono una busta in loro possesso e vi trovano una immagine di San Nicola. Nel collegio omonimo ha luogo la prima seduta insurrezionale
e viene messo in atto il piano operativo A. Bisogna impedire ad ogni costo che i tedeschi e i loro complici evacuino la città e i dintorni, catturarli bisogna con
tutte le loro armi e nello stesso tempo salvare gli impianti. Il popolo è chiamato alle armi e all'indomani i 3.000 sapisti sono affiancati da oltre 20.000
cittadini. Giovani, anziani, ragazzi, studenti, assaltano le caserme e i depositi fascisti, li saccheggiano e s'inquadrano per l'attacco, dirigendosi verso i
quattro settori predisposti, Sestri Ponente, Val Polcevera, Genova Centro, Albaro Nervi.
Mentre le squadre cittadine assalgono di fronte, le brigate partigiane tagliano le vie di comunicazione. Mediante l'abbattimento di pochi pali a traliccio la
circolazione ferroviaria in tutta la Liguria è interrotta, le vie verso il Piemonte paralizzate. Le locomotive a vapore, già precedentemente private di alcune parti
essenziali (bielle, valvole, ecc.) sono inutilizzabili, i telefoni sono tagliati. Le brigato partigiane occupano le vie d'uscita.
La «Coduri»2 blocca la via Aurelia, la «Pinan-Cichero»3 scende sulla camionale di
Voghera, la «Mingo»4 sbarra la costiera Genova-Savona. Un cerchio infrangibile serra le forze tedesche che si asserragliano in
città. E la battaglia incomincia accanita tra i cittadini e i sapisti, da una parte, armati di fucili, e i tedeschi che dispongono di armi pesanti e di cannoni. Al
centro, al porto, nella città vecchia si combatte dall'alba furiosamente. In piazza De Ferrari i sapisti attaccano 300 tedeschi che sparano coi cannoni anticarro,
alzo a zero. La lotta è sanguinosa e dura qualche ora. Garibaldi dall'alto del suo monumento bronzeo guarda la mischia e sembra un vessillo. Finalmente i tedeschi
vengono sopraffatti e i cannoni conquistati. Intorno al collo dell'eroe fiammeggia un fazzoletto rosso che si vede ancora. Nella città vecchia la banda di un
manovale di Pre, certo Raffe, ha 70 morti, ma ripulisce la zona e ricaccia i tedeschi verso il porto. Intanto alla periferia Sestri, Cornigliano, Pontedecimo,
Bolzaneto, Rivarolo, Quarto, Quinto sono in mano degli insorti: tra Sestri e Sampierdarena un forte nucleo resiste nella munitissima posizione di Castel Raggio, ma
anche questa viene espugnata dai sapisti di Voltri e di Sestri.
Tuttavia la sera del 24 la situazione è ancora fluida e i tedeschi si credono ancora abbastanza forti per trattare. Un capitano della Wehrmacht, condotto bendato a San Nicola, viene introdotto davanti ai componenti il C.L.N. Accecato dallo stupido orgoglio militare teutonico esclude categoricamente l'ipotesi di una resa nelle mani di quei borghesi, dei «partisanen»; ma nell'uscire dice ad una dattilografa, la sola donna presente: «Padre morto, madre uccisa, tutto finito, anche io finito». Alle 20 il maggiore Arillo della X Mas chiede l'onore delle armi. Nessun onore delle armi ai difensori della repubblichina. Resa incondizionata. Ma a questo punto due notizie, una più drammatica dell'altra, circolano nell'atmosfera incandescente della città. A Sampierdarena i tedeschi hanno prelevato una ventina di donne e bambini e minacciano di massacrarli se non viene loro lasciata via libera. Il comandante germanico Meinhold minaccia d'aprire il fuoco sulla città dalle batterie pesanti di Monte Moro.
Un'atmosfera di tragedia incombe su Genova piena di spari e di fumo. Il Comitato passa qualche minuto in ansia mortale, ma non piega, Il comunista Pessi
risponde alla minaccia con la minaccia: alla minima rappresaglia i prigionieri, già più di mille, saranno passati per le armi come criminali di guerra.
La controminaccia ha il suo effetto. Intanto i tedeschi investiti da ogni lato cedono dovunque, la loro difesa si sfalda. All'alba del 25, Acquaverde, le
caserme di Sturla, l'Ospedale Celesia, i presidi di Voltri, di Prà si arrendono. Un gruppo di arditi, passando sotto il tiro incrociato delle batterie tedesche di
San Benigno e di Principe prendono d'assalto l'altura di Granarolo e s'impossessano della trasmittente Radio. Un abilissimo tecnico rimette rapidamente in
efficienza l'impianto e sull'etere vola la voce del popolo in armi: Genova è libera.
Le brigate partigiane scendono a precipizio dai monti e i tedeschi le temono come il fuoco. Il generale germanico che ha esperimentate nei numerosi e crudeli
rastrellamenti la sera del 24 chiede di parlamentare, e la mattina del 25 scende in persona in una auto-ambulanza recandosi dall'Arcivescovo. Quivi viene raggiunto
dai membri del C.L.N. e dopo cinque ore di litigiose discussioni firma la resa di cui pubblichiamo il testo.
1 Squadre di azione patriottica (SAP), nate nell'estate 1944 su iniziativa delle brigate Garibaldi per operare nelle città e nelle campagne.
2 Divisione partigiana Garibaldi di matrice comunista intitolata a Giuseppe Coduri
3 Divisione partigiana Garibaldi di matrice comunista intitolata alla valle Cichero ai piedi del monte Ramaceto e a Giuseppe Salvarezza (nome di
battaglia Pinan)
4 Divisione partigiana Garibaldi di matrice comunista intitolata a Domenico Lanza (Mingo)