La Rivista illustrata del popolo d'Italia - giugno 1931
I forestieri che traversano ogni giorno - fendendo l'immensa fiumana che scorre da tutti i punti del globo - il porto di Genova, non sanno che, nell'intrico delle calate fragorose e delle darsene risuonanti di grida e di incitamenti, sorge, tra il Mare e il Palazzo delle Compere di San Giorgio, una bizzarra cittadella dove Eva non ha mai posto piede. Il Porto Franco di Genova - questa "Città dei Miliardi" - non conosce, nella sua lunga storia, l'orma di un piede femminile. E' il cenobio dei trafficanti, la camera di isolamento de' Mercatori. Nemmeno vi è mai entrato un frate, un soldato o una monaca, quasi che la corporazione mercantile da cui esso ebbe vita nei tempi, volesse gelosamente conservargli il segno e il sigillo della casta dura, superba, operosa, che ogni giorno vi costruisce con cauta mano la ricchezza. Abbiamo detto male: un monaco vi entrò un lontano giorno, e fu colui che la storia religiosa di Genova ricorda col nome indistruttibile di "Padre Santo" e che - ultimamente, - venne "beatificato". Ma la sua presenza fu, nonché tollerata, invocata, quale presidio delle superne benedizioni alla fatica commerciale della gente di Liguria.
Bizzarra città, questo Porto Franco, diviso in dieci "Isole" o quartieri: sei a manca della strada principale, cioè di San Giuseppe, di San Bernardo, di San
Giorgio, di Santa Caterina, di Sant'Antonio, di San Francesco; quattro a diritta, e cioè di Santa Maria, di San Giovanni Battista, dì San Lorenzo e di San Desiderio.
Si aprono, in ogni "Isola", infinite moltitudini di magazzini: sono le caverne di Ali Babà del traffico moderno, e valgono ad aprirne le porte, come la chiave
magica di Aladino, solo le polizze doganali e i documenti di sbarco
- Vi è poi un vasto terreno riservato alle mercanzie gettate alla rinfusa, senza
indirizzo, o "all'ordine". Antica e sempre curiosa formula del commercio, questa parola "all'ordine", che lancia da un capo all'altro della vasta terra tonnellate
di mercanzia, conservando l'anonimo del loro misterioso destinatario, che si presenterà un giorno, munito dei documenti di rito, a chiederne e giustificarne il
possesso! E' questo il vero "guardaroba del mare": non si ritirano oggetti se non si ha in mano la contromarca
Già nel 1680 - un secolo prima di Genova stessa - il Porto Franco aveva le sue vie perfettamente lastricate. E nell'arco monumentale che ne costituisce la fauce - e
nel quale Ignazio Gardella ha fermato la maestosa severità dell'arte neoclassica - entra da secoli tutto ciò che l'Oriente e i Mari indiani rovesciano verso l'Europa.
Si respira, nel Deposito Franco, quello che un poeta solitario chiamò "l'odore della lontananza". Di ogni mercanzia accumulata, la fantasia, che è la sola e
vera fabbricatrice della realtà, evoca le origini prime: le spezie conservano il caldo profumo delle isole meravigliose in cui le maturò il sole dei Tropici, i
legnami custodiscono l'odore della foresta lontana ove caddero, sotto la scure implacabile, i tronchi alteri: i coloniali ci danno visioni calde di paesi dove è
dolce sognare, ascoltando il ritmo languido d'una chitarra, presso un piccolo tavolo su cui fuma il moka e disegna fra nubi di fumo bluastro sognanti occhi
di donna
Regna, nel Porto Franco, il fragore della vita vertiginosa. Una turba di uomini corre, si incrocia, si scontra, vocifera, curva sotto il peso di sacchi che si
scavallano e si distribuiscono obbedienti alle recondite leggi d'un lavoro confuso prodigiosamente, ma armonioso.
Talvolta lascia sul terreno una traccia tangibile, che disegna la storia della merce; è un sottile polverio di zucchero indigeno; è un sentiero profumato di
spezie; è una traccia bruna o abbronzata di caffè. Una ricchezza immensa, insomma: centinaia, centinaia di milioni affluiscono agni anno in queste strane viuzze
della città singolare.
Le origini della grande fatica sono lontane.
Da quando il vessillo di San Giorgio, reduce dal conquisto di Cesarea, portò le dodici colonne di marmo rosso, giallo e verde del Tempio di Giuda Maccabeo -
spoglia opima di vittoria perduta nella verde profondità del mare di Satalia - alla caduta della Repubblica, quale infinita teoria di traffici e di ricchezza furono
recate dalla libera via della Caldea e della Persia, sulle "galee grosse" di Berito! Il "Duomo di Genova" - ossia l'opera per la sua costruzione - allungò le radici
sino nelle ricche miniere di Oristano, con privilegi o donazioni dei Principi di Arborea: e i suoi tentacoli "d'oltremare" giunsero dall'Egitto alla Siria, da Cipro
alla Romania, dalla Bulgaria fino al Caspio e oltre!
Gli Spinola tennero il monopolio dei "banchi" e dell'alta finanza nelle Fiandre; Nicolò e Giovanni Centurione ressero fondaco a Majorca e il fratello
Raffaello a Bruges; mentre nelle Assemblee di "Banco San Giorgio" - dove già si dibatteva la crisi formidabile dei Cambi e il bisogno di stabilizzare la
moneta - Benedetto Centurione veniva salutato quale vittorioso preconizzatore del "campione oro"! Fu allora che Paolo Centurione ordì uno smisurato disegno: propose
allo Czar di tutte le Russie - Basilio - di aprire un nuovo cammino dell'Indostan, per acque fino al Caspio, e dal Caspio pel Volga ed altri fiumi fino al Baltico.
E tutto questo affinché le mercanzie dell'India, il commercio delle quali facevano esclusivamente i portoghesi pel passaggio del Capo, ricevessero a minor prezzo -
in migliore stato e di "prima mano" - i popoli settentrionali dell'Europa!
Disegni audaci di uomini audaci.
Fin dai primi del secolo XV questa "Casa" genovese dei Centurione era già specializzata nel commercio dello zucchero. Nicolò e Giovanni tenevano fondaco a
Majorca, Paolo a Lisbona, associato con gli Spinola e i Dinegro. Era la grande epoca delle Conquiste mercantili portoghesi; le fertili isole rappresentavano la base
e il ponte dei traffici, il "trampolino di slancio" fra l'Oriente e l'Occidente.
Da Majorca la "Casa" passò a Madera, E qui essa doveva avere il singolare privilegio storico del più avventuroso e geniale giovane di negozio che abbiano
visto i secoli. Ebbe, infatti, per suo "commesso" Cristoforo Colombo, da poco stabilito a Lisbona.
Nel 1478, colui che doveva divenire il Grande Ammiraglio di Spagna e offrire al Mondo antico la rivelazione del Nuovo, compiva a Lisbona una operazione
commerciale, per cui, l'anno seguente, "testimoniava" a Genova. Un'operazione che è servita a darci uno dei più notevoli documenti sulla vita del grande Genovese, e
che consiste nell'acquisto fatto da Colombo stesso, per conto di Paolo di Negro, di 2500 "arrobe" di zucchero. E' interessante notare - di passaggio - come lo
zucchero abbia costituito in ogni epoca della storia uno dei grandi elementi di scambio dell'umanità, e come il gioco e la vicenda della ricchezza pubblica e
privata lo abbia avuto sovente suo centro e fulcro.
Il ricordo storico incalza.
Santo Giovanni d'Acri, cinta di ferro e di fuoco dal Soldano d'Egitto, cade come un tardo frutto d'autunno e - con le ultime sue torri - piomba sulla riva d'oro il
regno gerosolimitano. L'ora è torbida e terribile. Fiammeggia il cielo, fiammeggiano le contrade. I Cristiani sopra galee, sopra golabbj, sopra fuste, sopra
caicchi, corrono disperati - immenso sciame di api in cerca di rifugio - verso l'isola bella di Cipro, dove Re Enrico - dinanzi allo stupore del mondo - fa sorgere,
a miracolo d'ardore, Famagosta.
Costrutta al modo franco - a scaglie di embrici ed aereata da larghi finestroni accesi da rosse terrazze pensili, secondo l'uso siriano - la nuova città
litoranea non ha più il volto scabro di quella di-strutta: è più raccolta, più bella, più ricca!
E i genovesi - alacri e sicuri – prendono possesso dello Scalo, del Fondaco, del Campo.
E mentre sorge Scio per opera di ventinove armatori capitanati da Simone Vignoso, la "Maona" - prima società per azioni – Caffa, la perla del Mar Nero,
retta da Massari, Provvisori, Ministri, Capitani del Borgo e della Porta, del Mercato e dell'Annona, amministra i coloni e i tartari vaganti per la campagna: e,
così ordinata, la Repubblica stende le sue braccia robuste - arbitra assoluta del Pontus Euxinus.
Fuste greche e galee genovesi recano intanto - in sollecito e concorde fervore di muscoli e di pensieri - sacca di cardamono di Ceylon, di giengiovo di Cambaia, la
fedoaria di Palestina, penne di struzzo, gomma adragante; recano oro, argento, perle, piume, pelliccerie, pepe, la cassia fistula, la fedoaria di Galata, l'aloe e
il rabarbaro del Marocco. Tutti i mercati d'Alessandria, del Cairo, gettano sulle "galee panciute a vele tonde" le mercanzie dell'India, dell'Arabia, della Persia,
dell'Armenia.
E così, mentre nel sec. XIV Andalò Di Negro dettava le regole dell'Astrolabio, giungevano sui galeoni della "Superba" seta di Cambaso, cammuccà di
Nica, porpora e passito di Cina, raso di Zetani; bisanti, ducati, fiorini e once d'oro accorrono come rivi di fonte lungo le vie dell'Oriente luminoso. E sul molo
di Famagosta - vigilato dai mazzieri e dagli arcieri - sventola alto e maestoso, tra pietrerie e mangani, tra balestre e sifoni da fuoco greco, l'ampio pavese dello
"Beo San Giorgio" frangiato d'oro!
- Le Colonie della Repubblica seminate di sangue generoso, sorgono proprio da queste verdi contrade, come gigli rossi a
maggio. E' ancora - e sempre - la mano di Roma che stende le sue ferree falangi protettrici: Taurica, Crimea, Sondat, Smirne, Galata, Cherson, Sebastopoli, Cembalo
o Balaclava, Inckermann, Gozia, Anticchia, Baatchisarai, Cerco, Tamano, Solcati e Caffa; e da Caffa - pel glauco mare di Azoff - alla Tana
E giunse così a Genova lì ambra di Oriente, che posta contro il sole attira per ignota virtù foglie e fiori, e caccia i demoni; l'ametista
purporea, che sparge fiamme rosate e scaccia l'ebbrezza; l'amianto che veste i re morti; l'abisto, che, scaldato, conserva per otto giorni il
calore; l'astrio, che rapisce di notte la luce delle stelle e poi - quando fa rombo — la rimette; ma, sopratutto, giunge in gran copia il bolasso, dal
color della granuola, che riconcilia Genovesi e Veneziani
E il flotto degli eventi irrompe procelloso sulle sponde del Mediterraneo corrusco di storia!
I Genuvesi tengono saldo il terziere di Tripoli, di Soria e gli Embriaci tolgono in fondo dai conti di Saint-Gilles, per i loro discendenti, la rossa città di
Gibelletto; Francesco Gattilusio riceve da Maria Paleologo la "Bionda" - sorella di Giovanni IV - la isola canora di Lesbo, quale dono regale di nozze; mentre il
fratello maggiore di Francesco, cacciatone a sangue il prefetto greco, arremba le sue galee al Molo di Eno e si proclama tiranno della città. Tempi di ferro, di
audacia e di cavalleria.
Ricordate? Luciano D'oria - Cavaliere di Mare e Capitano di Campo - navigando i mari perfidi della Schiavonia e trovandosi l'armata in un piccolo porto
danubiano in grande penuria di vettovaglie, divide fra le esauste soldatesche le sue ricche argenterie: e, non più altro restandogli, a un rematore che si muore di
fame, dona graziosamente la fibbia della propria cintura; poi, per reprimere il suo stesso lungo digiuno, si pone tranquillamente a poppa della Capitana e – in
faccia al polverio delle stelle - attende sereno il mattino
Intanto nel turrito fondaco continuano a giungere - e si accumulano - le ricche merci d'Oriente, di Spagna, d'Inghilterra: tutto ciò, insomma, che il mondo
organico ed inorganico esprime e distilla dai suoi torchi prodigiosi! Qui giungevano anche i "preziosi"; l'oro estratto dai fiumi del Canada e dalle pepite del
Klondike, i diamanti tratti dalla ganga terrosa delle miniere di Bloofontein, le perle rapite dall'audacia dei pescatori indù al mistero fosforescente del Golfo
Persico.
Oggi non più. Le fredde città del Nord - Amsterdam, Anversa, Londra - polarizzano quasi totalmente il traffico scintillante
Il Porto Franco nasceva nel secolo XIV; nel 1595 il Banco di San Giorgio provvedeva al suo ampliamento. E nasceva la "Compagnia dei Caravana" il cui primo
Statuto reca la data del 1339. Oltremodo curiosa, e ricca di pensosa umanità, è la sua origine, quale la tramandano le vecchie cronache. Durante il secolo XIV si
trovava a Genova, venuta per trovarvi lavoro, una numerosa Compagnia, una "Caravana" di bergamaschi. Erano uomini alti, biondi, robusti, dagli occhi azzurri; veri
figli, fisici e spirituali, della forte razza longobarda. Lavoravano con ordinata serietà di metodo e vivevano in sobria esistenza, saldamente uniti fra di loro,
cortesi coi liguri ospiti, e da loro egualmente stimati. Ed ecco che il flagello di una paurosa epidemia si abbatte sulla città: quasi tutta la popolazione, colpita
ed atterrita, si rifugia nelle vicine campagne.
Solo la "Caravana" dei bergamaschi rimane al suo posto. E non solo dà prova di fermo coraggio, e si prodiga in virili e pietose opere di assistenza civile, ma
pensa a riordinare e riassettare quelli che chiameremo i "pubblici servizi" della città; talché il giorno in cui, ad epidemia finita, i Padri Coscritti
rientrarono a Genova, trovarono dovunque il segno dell'opera buona e vigilante che i "forestieri" avevano assolto.
E la Repubblica li compensa accordando alla "Caravana" ed ai bergamaschi larghi privilegi. Sfogliando le cronache del secolo XIV negli Statuti della Compagnia,
si trova il segreto che diede luogo al benessere e alla vita lunga e intemerata della stessa: "Saranno puniti severamente e con multe li "Caravana" che
bestemmieranno il nome di Dio, della Madonna e dei Santi, e quelli che non andranno alle sacre funzioni, Saranno multati quei "Caravana" i quali insulteranno i
"negozianti". La saggia norma era prescritta mediante giuramento sopra i Santi Evangeli, e il giuramento era tenuto anche a prezzo di sangue. Duri tempi,
quelli
"Saranno puniti i "Caravana" che porteranno correggie d'argento, nasconderanno merci nelle saccocce degli "scossali", faranno a pugni, insulteranno i compagni o
giuocheranno a' dadi o alle carte"!
Si vietava ai "Caravana" anche di acquistare e vendere merci, di "accettare premi o compensi da' privati". Il "Caravana" doveva visitare e assistere il socio
ammalato. Una curiosa disposizione era poi quella che ordinava ai "Caravana" di portare nei giorni festivi gli infermi della città a passeggio con la
carrega, versando alla cassa metà del compenso stabilito
Nulla di più caratteristico del gonnellino di fustagno turchino che i "Caravana" portano all'uso dalmata; stretto ai lombi e cadente fino alle ginocchia.
Ognun d'essi ha un nome "di guerra": Avito, Belfiore, Isaja, Gerione, Rubens. Il soprannome vien dato dal Console Capo. Essi non si conoscono e non si
chiamano che con questi soprannomi: ecco alcuni degli attuali: Platone, Mercurio, Paride, Oreste, Marte, Mercuzio
Bizzarra oasi di passato, nella vita
moderna così lontana dalle forme romantiche o classiche del tempo che fu!
La "Caravana" è una istituzione che ha vinto i tempi: passarono intorno a lei senza scalfirla, la Rivoluzione, l'Epopea Napoleonica, il Risorgimento. Ebbe la
benedizione di Pontefici, ebbe il saluto di Re, ebbe la particolare considerazione di Cavour
Ma fu, sopratutto, il legame profondo stretto fra Navigatori e Mercanti, poiché gli uni e gli altri - trattando colla vela o col libro mastro le ricchezze della
terra portate sulla grande via del mare – compresero che gli ultimi artefici della loro plurima fatica erano questi semplici uomini in gonnellino azzurro,
scesi or son molti secoli dalle colline di Lombardia per testimoniare l'antica parola del rude, onesto, fervido lavoro.
Dorme ora la minuscola città delle "cose lontane" - chiusa nella cerchia delle sue mura e fasciata dalla lieve nebbia azzurrastra della notte. Dormono in essa, in
un sonno pieno di aromi, le mercatanzie giunte dalle più lontane vie de' mari, passate attraverso le stive dei "cargo" grevi ed ansanti, pendule alla catena delle
"mancine" stridenti. E le piramidi di merci assumono nella notte fantastici profili di creature viventi. Suona secco, sulle pietre centenarie, il passo dell'uomo
che sbarra gli occhi nel buio - vestale della ricchezza
"Deposito Franco" - stomaco elastico e vorace di una generazione, cellula dove avviene il ricambio storico ed eterno della bellezza in ricchezza; della
ricchezza in potenza!
Talvolta - cavalcando stracci di nuvolaglia nelle notti illuni - gli Uomini dei lontani Fondachi d'Oriente, vestiti di cammellotto e del
largo berrettone di velluto, non forse ritornano, dalla lontana Storia, a veder battere - fervido e pieno - il sangue della razza: nel polso dei moderni
continuatori?