La Lettura – aprile 1901
Adesso che la medicina ha fatto così enormi progressi, che la scienza, la chimica, la meccanica han fornito metodi nuovi di cura, che l'osservazione scientifica,
l'esperimento, dall'antisepsi alla sieroterapia, dall'ipnosi all'omeopatia, han rivoluzionato tutto il campo della medicina e introdotti tanti fattori nuovi, tanti
dati di fatto importanti - può riuscire forse interessante di risalire nel tempo e di cercare le idee e le congetture che han presieduto alla formazione dei primi
criteri medici. A noi, tutto quanto esiste, fa troppo facilmente l'effetto di esser sempre esistito come è ora e, come per molte altre cose della vita, crediamo che
tutto l'armamentario delle nozioni mediche e terapiche sia sempre stato lo stesso o almeno sia stato sempre molto analogo al nostro e informato a criteri logici.
Invece ognuna delle conquiste che noi contiamo nella medicina è stata preceduta da un lungo periodo di errori, di tentennamenti, di stravaganze, di assurdità,
di cui si può ritrovare la traccia, sia nel contenuto di certe parole tecniche della medicina, sia in certi usi di popoli selvaggi, sia infine nelle superstizioni
popolari; e il loro studio valse non solo a mostrarci l'enorme strada percorsa, ma anche a scoprire una pagina curiosissima di psicologia primitiva.
L'ignoranza di tutte le nozioni anatomiche è uno dei lati caratteristici della medicina primitiva di cui appunto rimane la traccia in una quantità di parole
antiche. Kardia in greco voleva dire tanto stomaco come cuore; onde in anatomia nominasi ancora cardias l'orificio esofageo dello stomaco, e i nostri
contadini chiamano indifferentemente mal al cuor la nausea e la gastralgia. Così anche presso i tedeschi per Herzwasser, cioè acqua al cuore,
s'intende il vomito insipido delle gravide, dove vedesi che per cuore s'intende stomaco. Anche nella lingua Kechua1 Souco vuol dire
tanto cuore come stomaco e visceri e Giiguer in persiano, designa cuore e fegato.
Così pure in greco la faringe e la laringe avevano nomi promiscui; Aristofane nel coro delle rane fa dire alle rane: «Gridiamo quanto la nostra faringe è
grande koaxkoax»; e viceversa, Filosseno si augurava di aver la laringe di tre cubiti affine di poter bere per più lungo tempo. Nelle lingue illiriche
Scilla significa vena e nervo, e anche presso i tedeschi anticamente, secondo Grimm, Ader voleva dire vena e nervo. I Greci poi credevano che
l'arteria contenesse aria come appare del resto dall'etimologia: Ar - aria - tenere, conservare, contenere aria.
Questa ignoranza delle nozioni anatomiche collima col curioso concetto che delle malattie si eran foggiato gli antichi e che è rimasto nell'etimologia di certi
termini medicali. Il processo morboso era considerato da loro come una battaglia, un duello fra l'individuo e il male che l'aveva assalito. Molte parole infatti del
linguaggio medico son prese dalla tattica e dalla battaglia.
Profilassi in greco προφυλαττω vuol dire mettere le sentinelle nei posti avanzati.
Sintomi sono gli eventi del combattimento, i mali eventi, l'andar male delle cose della battaglia.
Sincope vuol dire con-percussione, gran fendente, che sopravviene nelle peripezie del duello, e nella realtà gran colpo dato dalla malattia al
paziente, ma del quale egli si rifà.
Agonia era il momento più fervente della battaglia quando i nemici combattono corpo a corpo.
Crisis era la decisione definitiva dei combattimenti tra la malattia o la persona, dove l'una o l'altra riesciva vittorioso o soccombente, la giornata
campale insomma.
Diagnosi era la ricognizione dell'esito di una battaglia.
Si noti che questi termini sono allusivi a dei combattimenti a corpo a corpo, come appunto erano quelli che si facevano al tempo di Omero.
Pare che le più antiche parole riferibili all'arte di curare alludano alle ferite: in ebraico rafa voleva dire sanare e cucire e rafe si chiamava
medico, cioè quello che sana e ricuce. Macaon, figlio di Esculapio, è il medico dei tempi eroici che accompagna i Greci alla guerra troiana: il suo nome
deriva da Maka, che in ebraico significa percossa e da cui deriva pure la parola greca Make, battaglia.
Questa priorità della chirurgia sulla medicina nei popoli antichi era già stata notata da Celso e si riscontra identicamente fra i selvaggi. Così quando Cook
visitò Tahiti, trovò che la chirurgia per le ferite, per le lussazioni e per le fratture era abbastanza avanzata; sia che ciò avvenga perché nei rischi inevitabili
a cui essi si esponevano per procacciarsi il vitto nelle battaglie, i traumi fossero più frequenti, sia che le malattie per cause interne fossero nei selvaggi più
rare. Inoltre dell'azione delle ferite si potevano dar conto perché ne vedevano la causa ragionevole agente come in tutto il corso della natura, cioè il cozzo di un
corpo, la lacerazione di una parte, ecc., che capivano come potesse togliere la salute e a cui tentavano di riparare come potevano con fasciature, stagnando il
sangue, lavando, ecc. Ma tale comprensione relativamente esatta del processo traumatico dava poi luogo ad un concetto errato e singolarissimo delle malattie interne
non traumatiche, le quali venivano attribuite anch'esse ad una causa esterna. Così le eruzioni cutanee, per esempio, si indicavano sempre con nomi che son rimasti
nella patologia e che significavano veramente percussione, colpo; erano considerate una fioritura venuta dall'esterno come le vibici2, le
ecchimosi e le abrasioni dovute ad un colpo, appunto come avviene a uno che vien flagellato, frustato, battuto: così la parola fersa, derivante da sferza,
frusta, significava scabbia e in veneto morbillo. I popoli primitivi non potevano immaginare che potessero svilupparsi cause di morbo o di morte nelle persone
stesse e non dall'esterno; e persino le altre malattie interne non cutanee essi riferivano ad idee di violenze esterne. Così in greco
Κωφιζ, sordomuto, derivava Κοπτω da colpire, battere; il latino plaga, percossa, diventa in inglese
plague, che significa peste. E apoplessia deriva da Απη e πλοσσω colpire da lontano e noi la chiamiamo
ancora colpo come i tedeschi Schlage.
Dominati da una parte dell'idea che ogni malattia fosse dovuta a una ferita, ad un colpo e dall'altra non vedendone in certi casi la prova materiale e diretta,
immaginavano queste malattie dovute a frecce invisibili, inviate dagli Dei per punizione, per avvertimento, ecc. I Greci, p. es., credevano che fosse Diana
specificatamente che colpisse la persona malata col suo arco.
Da questa idea che la malattia venisse dal di fuori, dagli Dei, derivava tutto un ordine di idee, che per noi è assurdo, ma che presentava per loro una certa
logicità. Se uno era malato, essi pensavano che era stato un Dio a infliggergli la malattia, e che questa fosse la punizione di una colpa.
Di qui la frase segnato da Dio che rimane ancora fra noi, a designare le persone che han qualche grave difetto fisico esterno e il proverbio avverte come
si debba guardarsene. Così era considerato nel Levitico come una colpa l'aver la lebbra e per guarirne bisognava propiziarsi gli Dei.
Quando poi il malato languiva e soccombeva misteriosamente senza alcun segno, la cosa appariva portentosa tanto più quando la malattia era epidemica. Credevano
allora che a un tale castigo mandato da Dio, fosse sacrilegio resistere facendo uso di rimedi. Di qui deriva la denominazione e l'attribuzione a Dei e poi a Santi
di quasi tutte le malattie di natura ignota.
L'epilessia era il morbus sacer e ancora ai nostri giorni è il male di S. Valentino.
E ancora la corea è detta Ballo di S. Vito, il zoster è il Fuoco di S. Antonio, il condiloma il Mal de S. Fiacre.
La luna, venerata come divinità, era la patrona della mania che deriva appunto il suo nome da mene, luna, e lunatico, lunacy, lunatique vogliono
dire frenesia, pazzo, pazzia. Per questo anche si sacrificava a Diana Ecate, il pesce detto πανιαζ; che vorrebbe dire maniaco,
pazzo, perché credevano che Diana fosse la causa della mania.
Ma il fatto più saliente derivante da questi pretesi rapporti tra le divinità e la malattia è questo: erano specialmente i sacerdoti, i più vicini, i più
accetti alla divinità, quelli che erano preposti alla cura della malattia. Emsci, nella lingua dei Calmucchi3, vuol dire tanto
Sacerdote, come Medico. Così Tahova, a Tahiti, vuol dire Sacerdote e Medico.
I Gallesi chiamano ancora oggi il Sole Haul; ora in tedesco Heil significa salute, heilen significa curare, in inglese health
curare, ed health salute, mentre heilig e holy significano Santo, cioè i sacerdoti erano medici e santi.
In Italia quelli che curano i morsi dei serpenti si chiamano nella Puglia Parenti di S. Pietro e di S. Caterina e Ospiti di S. Paolo. Quelli che
professano di guarire gli idrofobi, Cavalieri di S. Nibbio. E quelli che fan guarire le febbri diconsi Nati del venerdì santo.
La maniera di agire delle sostanze medicamentose e la guarigione si consideravano come una cosa soprannaturale, e noi abbiamo Wunder miracolo, da
wunde, ferito, cioè il fatto prodigioso, era la guarigione della piaga.
Insieme ai Sacerdoti presiedevano al trattamento dei malati anche i reggitori del popolo, uso contratto certo all'epoca in cui i Re avevano pure la tutela delle
cose sacre, e sacerdoti e re erano una sola persona, e che perduri dopo successa la separazione di queste due autorità.
Medicus è la stessa parola che Medix osco4. Ora in Osco Medix era il sommo magistrato.
La parola greca αναξ significante Re , derivava da αγξω cioè curatore delle malattie e anakes era epiteto e
sinonimo dei Dioscuri, numi presidi dell'umana salute. Mal le roy in antico dicevansi le scrofole, scroelle, ecruelle. «Une maladie qui
vient au col c'est le mal le roi (Du Cange Glossarium)». Perché si credeva che i Re di Francia guarissero le scrofole col toccarle. Anche gli Spagnuoli si
partivano dai loro paesi per andare a farsi toccare da loro. L'ultimo re di Francia che toccò le scrofole fu Luigi XVI nella cerimonia della sua incoronazione.
Anche in inglese le scrofole chiamavansi kings-evil, male dei re, perché anche i re d'Inghilterra toccavano le scrofole di quelli che si presentavano per
essere sanati da loro.
Essi tenevano questo privilegio dall'epoca in cui Carlo VI, nella sua pazzia, aveva dichiarato diseredato dal regno suo figlio Carlo VII, dichiarando invece a
suo successore Enrico V, re d'Inghilterra.
L'influenza di questi stretti e reciproci rapporti fra medicina e religione si ritrova anche nella terapia. Una quantità di erbe, a cui si attribuiva una virtù
medicinale, prendono nomi da Santi e da Divinità. Così presso i greci e ancora da noi Artemisia, cioè Erba di Diana, si diceva un'erba che si credeva utile
nelle malattie dell'utero, e per promuovere il parto; la Joubarbe francese deriva il suo nome dal latino Jovis barba, Erba di Giove, ed è stata poi
tradotta in tedesco con Donner barth.
Dopo il cristianesimo, questi battesimi di nomi di santi alle erbe sono infiniti; così le verbene diventano Johannis Gurtel, Cintura di S.
Giovanni, con cui si inghirlandavano in Franconia alla vigilia di S. Giovanni uomini e donne, vecchi e bambini, gettandola poi su dei fuochi accesi e credendosi con
ciò premuniti per tutta l'annata dalle malattie. Palma Christi, vien chiamato il Ricino.
Così Jesus Christ Wurzel, Erba della Madonna, è battezzata la Balsamica vulgaris.
«Guanto della Madonna» La campanula trachelius, «Rosa della Madonna» la Rosa hiericuntea, «Marien Roslein» la
Rosa canina, «Mariamentel» la Matricaria partenium, «Maria Munzel», Menta di Maria, il Tenacetum balsamicum,
«Herva de nos Senora» (portogh.) il Cissampelos, «Joannis Handchen» manina di S. Giovanni, la Filix, «Erba di S.
Giovanni», «Erba di S. Barbara», «di S. Angelica». Il legno Guiaco si chia
mava il Legno Santo.
Così il Cardus benedictus, Cardo santo e in tedesco Segnedistel erba di benedizione, il cardo comune. Papafu, erba di prete, si chiama in
Ungherese un'erba medicinale.
Era tanta la virtù che si attribuiva ai santi e alle loro emanazioni, che a Napoli ancora 20 anni fa, i frati di S. Severino e Sosio distribuivano come
preservativo dei mali le iniziali della formula In Conceptione Tua Virgo Immaculata Fuisti. Ora Pro Nobis Patrem Cuius Filium Peperiti che sono appunto I
C T V I F O P N C F P impresse in carte delle quali chi vuole approfittare per salvarsi da qualche disgrazia o guarire da qualche male, taglia una riga, che poi
inghiottisce in una cucchiaiata d'acqua o di minestra o con un boccone di pane come si usa delle pillole.
Dalla rappresentazione materiale primitiva delle malattie derivano dei criteri e delle credenze curiosissime nella terapia, prevalse nei tempi antichi, di cui si
trovano ancora spesso tracce in certe popolazioni selvagge. Si credeva cioè che le malattie fossero enti maligni capaci di udire e di intendere le parole e la
musica nonché di essere legati come gli uomini dai giuramenti!
Per questo venivano raccomandati ad uso terapeutico i Carmi, o conti i quali si dirigevano non alla persona malata ma all'ente maligno che l'aveva
invasa, per costringerlo ad abbandonarla e dalla parola Carmen venne charme, attrattiva magica e i rimedi detti carminativi, che ereditarono il
nome da questo atto, quantunque non fossero più parole, ma sostanze. I carminativi della scuola di Salerno servivano per molte malattie. Un altro mezzo terapeutico
era di far giurare a questo ente maligno, dopo che aveva lasciato la persona, di non più tornare ad abitarla. Di qui la parola greca esorcismo, cioè
stringere con giuramento.
Giuseppe Flavio5 ci fa assistere a tale operazione fatta da un certo Aleazaro6 che appunto liberava dalla
malattia con carmi ed incanti, e col deferire il giuramento alla malattia stessa.
Pratiche simili a scopo terapeutico esistono ancora tra i popoli moderni più ignoranti e selvaggi.
A Sumatra, per guarire gli epilettici, si esorcizza lo spirito maligno da cui ritengonsi posseduti, si pone l'ammalato in una capanna alla quale si appicca il
fuoco, e l'ammalato pensi egli stesso a fuggire se può in mezzo alle fiamme
Gli «Emsci» medici e sacerdoti Calmucchi, comprano così dall'«Erlitt», cioè dal cattivo genio, il riscatto di un ammalato con presenti,
o con sostituzione di un altro uomo o cambiando nome all'ammalato, sicché l'Erlitt non conoscendolo più, lo dimentichi e perda la persona che gli serviva di
abitazione!
Ancora adesso nelle parti meridionali dell'Italia è usatissimo pei bambini un campanello d'argento che si appende loro al collo per allontanare il malocchio,
cioè le influenze cattive (Bellucci7).
Usitatissimi erano pure in quei tempi, e sono ancora, i suffumigi diretti appunto contro questi spiriti cattivi rappresentati dalle malattie. Come si davano gli
incensi e i buoni odori ai numi benefici, così per analogia dovevano applicarsi quelli puzzolenti ai geni malefici per allontanarli. Qualche volta si batteva il
paziente per fargli uscire lo spirito dal corpo, e questo precisamente secondo mi raccontava il viaggiatore Loria, fanno attualmente i selvaggi della Nuova Guinea:
e uno dei rimedi che gli indigeni trovavano più efficaci era questo che egli aveva escogitato, di far loro bere successivamente una soluzione di bicarbonato e un
altro citrato, in modo che sviluppassero nel loro stomaco dell'acido carbonico. I selvaggi credevano che questo gas gorgogliante nel loro stomaco rappresentasse lo
spirito, che impaurito, se ne andava; e guarivano
per suggestione.
Un altro criterio curiosissimo che ebbero gli antichi per le applicazioni terapeutiche era basato sulle analogie che credevano di riconoscere tra l'apparenza di
dati corpi organici od inorganici e dati visceri e membra come se la natura, che si figurava sempre quale una madre provvida e benigna, non potendo parlare, volesse
accennare, per mezzo della simiglianza delle cose con date parti del corpo umano, all'uso che ne deve fare l'uomo quando qualcuna di queste parti lo incomoda: era
una specie di criterio omologico di cui noi conserviamo ancora delle tracce numerosissime sia nei nomi dei rimedi, sia nei pregiudizi popolari.
Il lichene ha in greco un nome che significa erpete, perché le espansioni crostacee che offrono varie specie di lichene rassomigliano alle squame
degli erpeti e venivano adoperati nella loro cura. La ninfea per la bianchezza dei suoi fiori si credeva antiafrodisiaca appunto perchè la verginità si
soleva rappresentare con il candore.
Alle puerpere si dava la radice dell'Aristolochia cui la forma rassomigliava all'utero.
La pulmonaria e lichen pulmonaria, in inglese lugenwook lungenkrau, si chiamava così perché le macchie biancastre delle sue foglie ricordavano
quelle che trovansi nei polmoni sani, e perciò si usavano nella cura delle malattie polmonari.
La Saxifraga perché nasce tra i crepacci delle rocce, detta anche dai tedeschi Steinbrech e dai francesi Percepierre, si riteneva perciò
litontritica, si credeva che come vegetando sapeva rompere le rocce dovesse anche dissolvere i calcoli nella vescica!
La cassia fistula si adoperava nelle affezioni intestinali per quella forma delle sue silique che la faceva rassomigliare all'intestino.
Così l'ametista, come dice etnologicamente il suo nome in greco, pel suo colore rosso, era adoperata contro l'ubbriacatura in rapporto con il color rosso
del vino.
Una traccia di queste applicazioni terapeutiche per omologia si ritrova tale e quale in certe superstizioni e amuleti che han corso e credito ancora nel volgo
delle provincie meridionali d'Italia, amuleti e superstizioni raccolte pazientemente dal Bellucci; le pietre rosse, i diaspri, le Agate o rosse, o
chiazzate di rosso, son chiamate pietre sanguigne, e son credute efficacissime contro le emorragie, e applicate su una ferita si crede possano far cessare
immediatamente l'uscita del sangue (Bellucci).
Vi son delle altre pietre bianche, dette appunto latteruole, ritenute validissime a rendere il latte della nutrice abbondante e nutriente. Altre pietre,
le Agate calcedonie, caratteristiche per le loro chiazzature e striature, son dette serpentine e si credono preservataci contro il morso delle vipere,
degli insetti, delle salamandre, ecc. Ma il più curioso di questi amuleti per la sua origine omologica, è un amuleto detto Il Testone, adoperato nell'Umbria,
e che è una moneta in argento di Ranier Farnese, duca di Parma, nel 1687. Tale moneta si ritiene dal popolo atta a guarir la risipola8,
perchè il faccione del Duca che vi è impresso ha qualche analogia colla faccia edematosa e gonfiata dei malati di risipola facciale. Moltissime altre sostanze, il
cui nome non è allusivo al loro uso terapeutico, sono adoperate per una somiglianza fantastica riscontrata tra la loro apparenza e gli organi e le forme morbose
dell'uomo (Bellucci).
La carota è un rimedio popolare per l'itterizia perché è gialla. I gamberi si credevano avere una azione sul sangue perché cotti diventan rossi.
Le anguille si usavano nella paralisi perché sono in continuo movimento.
Ma, oltre all'interpretazione omologica e fantastica, vi è anche, negli stadi primitivi e più rozzi, un'interpretazione ragionata, rappresentata da una quantità di
rimedi, per es., di erbe che prendono il nome di una malattia, con cui pure non hanno alcuna relazione, ma semplicemente perché erano state trovate efficaci contro
di essa. La maggiorana, senza che avesse relazioni apparenti col fegato, era detta dai greci Eupatoria e dai latini Epatica, e dai tedeschi Leber
Kraute perché si credeva giovasse nelle malattie di fegato. La poligala deriva il suo nome da Polus molto, Gala latte, perché si credeva
promuovesse la secrezione del latte benché non richiamasse in nulla l'idea di latte.
Gli antichi avevano ancora riconosciuta la proprietà reale di certe sostanze: per es., il Lolium Temulentum dicesi ancora in francese Yvraie, da
ebrius (cioè da inebriare si fece enivrer), e i contadini del Veneto lo chiamano erba embriaga, ubbriaca. Si conosceva cioè la sua azione
inebriante. Cosi la Segala cornuta dicesi in tedesco Mutter-Corn, che vuol dire grano della matrice, e la parola mostra che era già antica e diffusa
in Germania la cognizione della sua azione specifica di promuovere il parto, e forse anche emostatica.
Certi nomi di malattie alludono ad animali che le presentavano. La scrofola9 era così chiamata perché era stata osservata nelle
femmine della specie porcina. Più curiosa e ignorata è la derivazione della parola cataratta, cioè opacità della lente cristallina, che è stata presa appunto
da un animale. Καταχραπτες, nome greco del Pellicano bassanus, uccello marino che era stato
denominato così da Καταρασσω, precipitarsi, gettarsi per terra con impeto, perché questo uccello si precipita
dagli alti scogli nel mare per cogliere i pesci, ma nella vecchiaia, quando gli vien mancando la vista, invece che nell'acqua cade contro gli scogli e vi si
schiaccia. I Greci avevano osservato il fatto e ne avevan riferito il nome dall'animale alla malattia dell'uomo, «imperfezione della vista.»
Queste ricerche sono interessanti non solo per gli studi di filologia e per le conclusioni che permettono di storia e di etnologia, ma hanno una importanza maggiore
sotto un punto di vista filosofico per l'evoluzione delle conoscenze scientifiche. Ancora una volta si vede che veramente il progresso non è una linea retta,
ascendente sempre in una sola direzione, ma che, secondo la bella immagine del Goethe, essa segue nel suo sviluppo una spirale la quale, pure elevandosi, torna di
continuo su sé stessa.
Noi vediamo infatti che le pratiche degli incantesimi e degli esorcismi ritornano ora disciplinate e ordinate su fondamenti positivi e scientifici,
coll'ipnotismo, il magnetismo e tutta la terapia che si basa sulla efficacia della suggestione.
Così la terapia per omologia ha trovato nel genio di Brown Sequard10 una parziale applicazione razionale mercé la scoperta delle
secrezioni interne degli organi, per cui nelle malattie provocate da un'alterazione di un organo, per es., l'ovaio, il rene, il cervello, la tiroide, ecc., si
assumono per cura, come alimento, questi stessi organi o i loro succhi.
Così la virtù medicamentosa degli amuleti trovò nel Burq11 chi la organizzò in scienza nella metalloterapia di cui si fan tuttora
parecchie utili applicazioni, poiché non v'era nel Medio Evo e non v'è ancora nelle nostre remote vallate sacchetti di strego12 senza una
calamita.
Questi ricorsi, che ricollegano così strettamente la scienza all'empirismo, mostrano come fenomeni che noi siamo avvezzi a considerare con disprezzo, possono
contenere qualche volta elementi di verità e sempre materiali di studio e di interesse.
1 Popolo di Perù e Bolivia con la stessa lingua madre
2 Emorragia cutanea a strisce
3 Popolazioni mongoliche
4 Lingua degli Osci, praticamente Italia meridionale
5 Tito Flavio Giuseppe, noto anche come Yosef ben Matityahu (37-100), storico ebreo con cittadinanza romana. Scrisse in 20 libri Antichità
giudaiche dove narra la storia del popolo ebraico.
6 Eleàzaro, personaggio biblico, sommo sacerdote d'Israele. Ricordato nel Libro I:11 di Antichità giudaiche
7 Giuseppe Bellucci (1844-1921), paleontologo studioso di folklore
8 Infezione cutanea di origine batterica
9 Infezione tubercolare che interessa soprattutto i bambini
10 Charles-Édouard Brown-Sèquard (1817-1894), fisiologo francese
11 Jean Antoine Victor Burq (1822-), medico francese noto per i lavori sulla metalloterapia e metalloscopia
12 stregoneria