L'Illustrazione italiana – 29 dicembre 1940
Chi volesse approfondire la figura di Niccolò Cuneo, autore del libro, cittadino margheritese anche se nato a Camogli, può fare riferimento all'articolo della
Gazzetta "Niccolò Cuneo" pubblicato il 18 giugno 2007.
Raro è che un medesimo libro interessi ugualmente due nazioni. Sono lieto d'avere oggi l'occasione di segnalarne uno che sarà letto con profitto, e da taluni con
vera passione, tanto in Argentina come in Italia. L'autore è già noto per libri di varia indole e di varia mole. Niccolò Cuneo ha passato di poco la trentina, ed è
già un maestro della critica, e da anni si fa apprezzare nei quotidiani e nelle riviste. Fra i suoi volumi, particolarmente pregiato da illustri filosofi è stato un
suo lavoro sul Voltaire, venuto in luce due anni or sono in Genova. L'opera sua che annuncio gli è costata tre anni d'assidua fatica, viaggi attraverso gli
archivi d'Italia, ricerche di ogni genere anche oltremare, esplorazioni fra le carte famigliari di discendenti di emigranti italiani che or fa più che un secolo
varcarono l'Oceano per cercar fortuna in Argentina, allacciando fra i due paesi i primi vincoli d'una solidarietà e di una amicizia che sono diventate d'anno in
anno più solide e direi più sacre. Il voluminoso libro è intitolato: Storia della Emigrazione Italiana in Argentina, e la prima parte forma un tutto a sé,
andando dal 1810 al 1870, ma naturalmente il Cuneo dovrà completarla andando dall'anno della presa di Roma fino ai giorni nostri.
Questo non è soltanto uno scritto sul già vasto tema della emigrazione: è anche una erudita ed eloquente pagina sulle vicende argentine del secolo XIX,
parallelamente a quelle del Risorgimento italiano, offrendo un quadro sempre attraente e spesso emozionante del fuoruscitismo dei seguaci di Mazzini e di Garibaldi
- perseguitati dai governi e dalle polizie di tutti, più o meno, gli staterelli della Penisola - ma specialmente da Genova e da Napoli. Erano gli anni in cui
Gladstone1 visitava le galere borboniche e ne segnalava poi da Londra gli orrori, destando la pietà dei due mondi e l'indignazione di
tutti i liberali per le inaudite sofferenze dei patrioti sfuggiti alla corda del boia solo per patire lunghissimi tormenti nelle carceri della loro patria dilaniata
ed oppressa. Il Cuneo ha avuto l'ottimo programma di farci conoscere la vita ed i casi di tutti i personaggi che sfilano sulla vasta scena in cui campeggia la
emigrazione italiana del secolo scorso; abbiamo dunque una visione, nuova per i lettori europei, dei principali partecipi del «25 de Mayo», mentre agli
argentini riuscirà caro avere un quadro completo degli italiani che collaborarono con il Rivadavia2 in un tempo di deficienza di capitale
e di lavoro nazionale in Argentina.
Il Cuneo distingue la storia della emigrazione italiana in Argentina in quattro periodi pur limitandosi per ora al 1810-1870, cioè ai tre primi.
Il primo periodo è quello del Rivadavia e si svolge, più particolarmente dal 1820 al 1830; è quello della emigrazione individuale di alcuni esuli intellettuali,
che cercano rifugio oltre Oceano sottraendosi alle persecuzioni dei ministri e degli sbirri che rendono impossibile in patria la vita a tutti quei galantuomini che
si sparpagliano, per forza, in Inghilterra, in Francia, in America, per ogni dove. Pur lasciando notevole traccia di sé in Argentina, questa specie di emigrazione
disorganizzata e che non ha un vero e proprio programma, non è in grado di influire sulla vita intellettuale argentina. E ciò per vari motivi: prima di tutto perché
questi fuorusciti, improvvisatisi emigranti senza preparazione, erano uomini di pura coscienza positiva (Carta, Ferraris, Mossotti, Pellegrini ed altri) i quali si
trovarono degli isolati in un ambiente provinciale non ancora pronto ad assorbire i risultati di indagini speculative. Poi avvenne che il contegno del De
Angelis3, che fu il personaggio italiano predominante in questo periodo, non fu dignitoso, fu anzi corrotto. Ma il peggio avvenne quando
per il mutamento politico accaduto alla Plata con la caduta del Rivadavia e con la salita al governo del Rosas4, venne interrotto il
compito affidato a molti di quegli esiliati del 1821, che - vittime dei rivolgimenti e delle congiure di quell'anno in Italia5 - erano
stati invitati ad educare con sensi liberali la gioventù della Plata, e che per il Rosas erano un pruno in un occhio. Questo gruppo di italiani non poté più agire
come avrebbe voluto, ma rimase preclaro e distinto per la spiccata fisionomia di coloro che lo componevano. Il Carta6, per esempio, è
diventato il simbolo della rigidezza di carattere dei veri patrioti argentini, e dopo tanti anni, ancor oggi si parla di lui a Buenos Aires ed a Rosario come di un
esempio luminoso della intransigenza liberale argentina. Il Mossotti7 fu un sapiente che si pose al disopra del caos politico dei suoi
tempi. Il Ferraris ed il Vanni godettero della stima dei vari partiti, avendo con il loro buon senso superato le tentazioni delle passioni partigiane. Il Pellegrini
lasciò glorioso ricordo di sé perché seppe tenersi lontano dalle fazioni, restando indispensabile al progresso della Plata, tanto che il suo nome intemerato servì
di ottimo trampolino al figlio Carlo per salire alla suprema magistratura della Repubblica. Il De Angelis, per quanto di condotta leggera, fu uomo di tale ingegno e
di tale erudizione da avere un posto eminente nelle modernissime istorie della letteratura argentina: fu una specie di Edoardo Scarfoglio8
di laggiù, di vita dissoluta, ma di fama insuperabile di scrittore perfetto.
Il secondo periodo è quello che corrisponde al ventennio della dittatura del Rosas (1830-1852). In esso la immigrazione europea è vietata in genere, ma quella
ligure è clandestinamente ammessa - anzi favorita: - un vero privilegio a vantaggio dei più attivi e industri fra emigrati italiani. In quegli anni agli armatori
genovesi è affidata tutta la marina mercantile del Plata, e sotto bandiera argentina gli italiani fanno brillante carriera, lasciando, forse per sempre, lo
stendardo sabaudo, inalberato partendo dalla Patria. Capitani genovesi, con equipaggio genovese e nave genovese, percorrono i rii sudamericani protetti dalla
bandiera argentina.
Il terzo periodo della emigrazione italiana va dal 1852, cioè da quando cadde il Rosas, fino al 1861, allorché si venne alla unità della Repubblica Argentina.
Si raggiunge l'ideale della libertà che consente agli uomini d'oltre mare di imbarcarsi in Europa e di scendere in America, per dirla col Cuneo, «invitati
dalle autorità, acclamati dai giornali, e talvolta dalla popolazione argentina». Si tratta di esuli politici del 1848 e del 1849, in gran parte provenienti
dall'Uruguay dove hanno seguito il commilitone Mitre9: garibaldini romantici, in prevalenza lombardi; altri giungono dall'Italia e
pervengono a ricche fortune: lavoratori parsimoniosi, quasi tutti genovesi. Fra questi uomini «di fegato» si nota
l'Olivieri10, che si lancia animoso nel deserto per colonizzarlo. E' questo il periodo fondamentale della emigrazione italiana poiché
segna gli albori di giorni che rimarranno memorandi negli annali della storia economica d'Italia, la quale da paese debitore si muta in paese creditore, da paese
unicamente esportatore di uomini in paese che esporta anche capitali che vanno e vengono, specialmente fra Buenos Aires e Genova. Questi sono i giorni in cui la
Costituzione argentina cambia radicalmente l'antica colonia spagnola in grande potenza civile. E gli immigrati italiani, a qualunque regione appartengano, a
qualunque ideale politico aspirino, si riuniscono a fascio, sudditi sardi, viaggiatori napoletani, emigrati genovesi, patrioti lombardi. Mentre l'Italia va verso il
Regno di Vittorio Emanuele e verso una penisola cui non manca più che Roma capitale, gli italiani alla Plata formano società di mutuo soccorso, fondano ospedali, si
riuniscono periodicamente, si aiutano gli uni gli altri, insomma aprono una era di vita nova.
Questo secondo periodo ha visto la collettività italiana mutarsi in colonia vera e propria, mentre il terzo periodo - che va dal 1861 al 1870 –
cioè dalla battaglia di Pavòn in Argentina alla presa di Roma in Italia, è segnalato dall'immigrazione arruolata che supera, numericamente - il movimento
dell'immigrazione volontaria ossia spontanea. Questi arruolati si spargono nelle città, ma sopra tutto a Buenos Aires ed a Rosario. Sono specialmente
liguri e lombardi che si dedicano con fervore alla agricoltura.
Giunti quasi tutti con ben pochi fondi disponibili, con la loro attività e fervida volontà sono pervenuti ad essere fonte di miglioria sociale per se stessi e
per coloro fra i quali vivevano, ed erano attratti dalla analogia dei costumi, della lingua, del clima.
E siccome bisogna sempre tornare, studiando la storia del passato, al fattore economico, terminerò questo cenno del bel libro di Niccolò Cuneo dicendo che le
somme trasmesse in Italia, a mezzo del Consolato e delle banche, ascendevano annualmente a 5 o 6 milioni di franchi oro, cifra che verso la metà del secolo scorso
poteva ben dirsi astronomica.
1 William Ewart Gladstone (1809-1898) è stato Primo ministro del Regno Unito
2 Bernardino de la Trinidad González Rivadavia y Rivadavia (1780-1845) è stato il primo presidente dell'Argentina, dal 1826 al 1827
3 Pietro De Angelis (Napoli 1784-1859 Buenos Aires)
4 Juan Manuel José Domingo Ortiz de Rozas y López de Osornio (1793-1877) presidente dell'Argentina dal 1829 al 1832 e dal 1835 al 1852
5 Moti insurrezionali in Sicilia, a Napoli e in Piemonte per ottenere una Costituzione
6 Pietro Carta Molina (1797-1849)
7 Ottaviano Fabrizio Mossotti (1791-1863)
8 Edoardo Scarfoglio (1860-1917) scrittore italiano
9 Bartolomé Mitre Martínez (1821-1906), presidente dell'Argentina dal 1862 al 1868
10 Silvino Olivieri (1829-1856)