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Renato Dirodi Le cartoline di Renato…

L'amore per la propria città si può manifestare in molti modi: Renato Dirodi ne ha scelto uno per niente originale che tuttavia è diventato unico per la passione e la competenza che vi ha dedicato.
La sua raccolta di cartoline, o meglio "immagini", è ineguagliabile perché corredata da notizie storiche, testimonianze raccolte, ricordi personali che ne fanno uno scrigno di luoghi, fatti e persone.
Da anni, prima con il suo sito "Foto di Santa" poi con i social "Le foto di Santa Margherita" e "Gruppo di Le foto di Santa Margherita", ha messo a disposizione di tutti questo suo patrimonio di grande importanza storica e documentaria.
Siamo convinti dell'importanza della memoria e degli sforzi che dobbiamo compiere per conservarla e trasmetterla, per cui approfittiamo della disponibilità di Renato e pubblichiamo questo percorso nello spazio e nel tempo.
La Gazzetta di Santa


(continua)

01 Sammargheritesi mazziniani
Nel 1833 nessuno poteva immaginare che a Mazzini sarebbe stato dedicato un monumento, praticamente in ogni comune italiano. Infatti in quel periodo, dopo essere stato condannato a morte per cospirazione dallo stato sabaudo, si trovava a Marsiglia dove fondava la nuova società segreta Giovine Italia e un giornale omonimo contenente il suo credo: "la rivoluzione popolare per un'Italia repubblicana".
Quando da Marsiglia la Giovine Italia cominciò a diffondersi per la penisola, trovò anche a Santa Margherita un gruppo di adepti che, sprezzanti del pericolo, vollero testimoniare il loro amore per la libertà
Mediatore tra loro e il centro di propaganda era un giovane commerciante sammargheritese, tale Nicolò Maragliano, il quale, con un suo calesse e un cavalluccio detto Rogantino, viaggiava tra Firenze e Marsiglia portando da quella a questa la paglia intrecciata per fabbricare i cappelli, e da questa a quella i cappelli finiti e disposti in pile.
Tra un cappello e l'altro l'animoso giovane nascondeva i numeri della Giovine Italia, che distribuiva, lungo la via, ai conoscenti: qui in Santa Margherita ai suoi amici, i sigg. Luca Giovo, Giobatta Debernardi e dott. Carlo Oliva.
Tutto andò bene per qualche tempo ma, una volta che il Maragliano era appena arrivato e si disponeva a mangiare un boccone, accorse ansiosa sua madre a supplicarlo che senza indugio partisse perché era in grave pericolo; lasciato il pranzo, la famiglia e gli affari, risalì sul calesse e via, a Marsiglia.
Tra i suoi amici, il Debernardi riparò a Tolone. Come se la cavassero gli altri due non sappiamo, né chi avesse avvertito la madre del Maragliano dell'imminente rischio, ma sembra che la cosa fosse trapelata dal confessionale.
(notizie tratte dagli annali di A.R. Scarsella)



01 Nozarego La chiesa di Nozarego fu edificata nel 1627 sulle rovine della chiesa precedente. Proprio in quegli anni ebbe luogo una curiosa lite per motivi di confini tra Portofino e Santa Margherita.
Correva l'anno 1621 e Gerolamo Viacava, facoltoso cittadino della parrocchia di Nozarego, dimorava in una sua villa posta nel versante occidentale della valle di Paraggi, sulla sponda sinistra di quel rivo. A più riprese al povero Viacava era stato ingiunto sia dalla comunità di S. Margherita che da quella di Portofino di pagare le tasse per la sua terra.
Stanco di tali vessazioni, egli fece chiamare le due comunità davanti al molto illustrissimo Sig. Pompeo Maris capitano di Rapallo il quale, per consenso delle parti, disse che per l'avvenire fosse obbligato a pagare a Santa Margarita. E per allora non ci fu altro, ma sotto quel «consenso delle parti» covava una lite circa i confini delle due comunità.
Infatti nel 1626 i Portofinesi avevano ripreso a molestare il Viacava, che fece ricorso al vicario di Rapallo il quale, introdotta la causa, fissò per l'indomani un accesso sul luogo alla presenza del notaro, del cancelliere della curia di Rapallo , degli agenti di Santa Margherita, dei consoli di Portofino e naturalmente del Viacava stesso. L'indomani il vicario esaminò i confini, ascoltò le ragioni delle parti e, tornato a Rapallo, sentenziò che il Viacava doveva pagare le avarie agli agenti di Santa Margherita, ma non finì qui.
Quelli di Portofino continuarono imperterriti, come se nulla fosse, a esigere il pagamento a loro favore. Questa volta Viacava fece ricorso al Senato che, a sua volta, ordinò al Capitano di risolvere la lite. Nel 1628, trovandosi il Capitano, che era il molto ill.mo Giovanni Tommaso Porrata, in Portofino per le paghe al castellano e ai soldati, comunicò a Pietro Costa e Tomaso Forte, due dei quattro consoli di detto loco, che giovedì prossimo, ovvero il 27 del presente mese di Aprile, si sarebbe recato alla casa di Gerolamo Viacava e che perciò lì si sarebbero dovuti ritrovare tutti gli attori della lite. E si tornò sul luogo, tutti: il Capitano Nicola Livi, il subscriba della Curia e il bargello, i Famigli del bargello, i soldati corsi, il Viacava, i quattro consoli di Portofino, i consiglieri e il Sei di S. Margherita; si esaminò, si misurò, si raccolsero dati e ragioni e si fissò la sentenza per il 2 di maggio. Si spese tutto il 29 aprile nell'ascoltare testimoni da una parte e dall'altra e, venuto che fu il 2 di maggio, il Capitano solennemente pronunziò, dichiarò e sentenziò che le terre in questione, possedute da Gerolamo Viacava, erano dentro ai confini di Santa Margherita e, per conseguenza, soggette al pagamento delle avarie in detto luogo di Santa Margherita.
E' chiaro? Parrebbe di sì, ma forse appunto per questo la sentenza altro effetto non ebbe, per quei di Portofino, che di accanirli maggiormente addosso al povero Viacava e si degnarono di iniziare le pratiche dell'appello, del quale poi non si curarono nemmeno più e ricominciarono le vessazioni.
Nel 1634 il Capitano tornò ad occuparsi della lite del Viacava e, forse per provare se, invertendo le parti del torto e della ragione, ci fosse modo di finirla, sentenziò che «le avarie del Viacava andavano pagate a quei di Portofino, non a quei di S. Margherita, i quali, anzi, erano tenuti a restituire ai primi le avarie già riscosse». Si può pensare che i Sammargheritesi si esimessero dall'interporre appello? Senza indugio alcuno; si immagini la nuova serie di testimonianze, di memorie, di accessi, di conclusioni che seguì.
Ma ormai ne andava della dignità del Senato, bisognava finirla. Il 7 dicembre Scipione De Bene e Sentina Forte, procuratori l'uno per S. Margherita, l'altro per Portofino, sostennero in contradditorio le ragioni delle rispettive comunità davanti ai Serenissimi Collegi. Lo stesso giorno questi decidono «che giusto era l'appello dei Sammargheritesi contro la sentenza del Capitano Spinola» e che a loro spettavano le avarie del Viacava. Questa volta i Portofinesi si acquietarono e, dopo tredici anni, la lite fu terminata.
(notizie tratte dagli annali di A.R. Scarsella)
[Francesco Bertolini]
Sulle carte del monte tra Sant'Anna e il Mulino del Gassetta è riportata proprio la località Viacava, dove oggi c'è un bel rustico.

01 01 Corso Matteotti 1
Le foto, com'è evidente, si riferiscono a una manifestazione della Croce Verde dei primi anni '60 che si sta svolgendo in Corso Matteotti, davanti alla sede della pubblica assistenza.
Le immagini ci consentono di rivedere alcune costruzioni che non ci sono più e che oggi sono occupate dal palazzo che ospita la Coop.
A sinistra il panificio Gabrielli che aveva il forno in fondo alla stradina delimitata dal cancello.
Nella medesima stradina vi era il magazzino di Mario Canessa, dove teneva il banco delle caldarroste, la bici da gelataio e tutta la sua attrezzatura per la preparazione del gelato e per la vendita dei suoi prodotti.
Sulla destra vi era un'aula della scuola professionale, i cosiddetti "motoristi", dove si svolgevano lezioni per conseguire il patentino da motorista che consentiva l'imbarco sui pescherecci.
A destra del cancello vi era un elettricista e più oltre il famoso e indimenticato cinema Imperiale: era, assieme al cinema Centrale, l'unico locale di svago per i Sammargheritesi. Era già all'epoca malridotto e spesso frequentato da topi che si rincorrevano sui cornicioni, ma si accettava tutto pur di passare due ore in allegria con film di Totò o di Maciste o di Gianni e Pinotto. In casi particolari prima del film si poteva assistere alla partita della nazionale di calcio e per un periodo anche a "Lascia o raddoppia", la famosa trasmissione televisiva condotta da Mike Bongiono: il tutto attraverso un unico apparecchio TV per l'intera sala che non consentiva certo una buona visione, specie per chi era seduto nelle ultime file. Vi erano biglietti di primi e secondi posti e i prezzi variavano a seconda delle giornate feriali o festive. Si passava dalle 70 alle 90 lire per i secondi posti e da 90 a 130 per i primi posti, differenziati anche cromaticamente con sedili in legno più chiaro.
Il cinema era gestito da una coppia, il marito faceva la maschera e la moglie, una signora vistosa e biondissima era alla cassa. Capitava spesso che la cassiera non avesse da dare il resto a chi si presentava con un pezzo da cento o cinquecento lire e al malcapitato toccava in cambio delle dieci lire una caramella, per la verità molto bella e incartata, ma dal valore certamente molto inferiore alla moneta che doveva sostituire. Una volta un noto personaggio, stufo dell'angheria, tenne da parte tutte le caramelle ricevute come resto e quando arrivò a nove le presentò alla cassa per il pagamento del biglietto: il gestore, dopo un po' di resistenza, dovette cedere e lo fece entrare anche perché era uno di quelli che andava al cinema quasi tutte le sere, diversamente da noi ragazzi che dovevamo aspettare la domenica.
Nella seconda foto un'altra visuale con in primo piano l'elettricista e a destra il cinema con i manifesti del film del giorno.
[Andrea Granata]
Le caramelle come resto le davano anche al cinema Mignon.
[Luigi Figallo]
Nella casetta il sarto Ennio De Lutis, che in caso di necessità mollava le forbici e saliva sull'ambulanza.
[Gabriella Fabbro]
Se non sbaglio furono abbattute nel 1969 o '70.

01 L'oratorio di Sant'Erasmo e la vista sul porto
Quello stesso panorama apparve a Luciano Manara, al quale è dedicata la via (a destra) che percorse nel 1849 per raggiungere Portofino e imbarcarsi con i suoi 600 bersaglieri, alla volta di Roma in difesa della " Repubblica Romana".
Manara si distinse in molteplici combattimenti fino a meritare la nomina, da parte di Garibaldi, a capo di stato maggiore. Morì in combattimento il 30 Giugno per opera dei francesi accorsi in difesa del papa .
Ecco quello che scrive in proposito Scarsella sui suoi annali.
«Il 20 aprile 1849, giorno di giovedì santo, sulle prime ore del mattino i volontari di Luciano Manara giunsero qui da Rapallo per imbarcarsi a Portofino. Erano circa 600, vestiti da bersaglieri; avevano marciato silenziosi in colonna, per file di quattro, preceduti da una fanfara.
Presso la villetta di Porticciuolo fecero alt e s'accamparono: al dopo pranzo, verso le cinque, Manara fece suonare l'attenti e, radunati intorno a sé i volontari, mostrando loro i due vapori che li aspettavano sull'imboccatura del porto di Portofino, disse: Compagni, con quelli si parte: chi mi vuol seguire si metta in fila: chi non vuole, è ancora in tempo.
Due soli tornarono indietro: gli altri si ordinarono e mossero verso il paese. Manara e il suo aiutante rimasero ancora a consultare diverse carte; poi montarono a cavallo e s'avviarono anch'essi. Giunti che furono nel greto della Foce, non riuscendo a capire per dove si potesse entrare in paese coi cavalli1, stettero un po' incerti, poi ritornando sui propri passi, si fermarono nell' attuale piazzetta Nino Bixio, che era allora una breve spiaggia. Stava quivi seduto il Rev. Debernardi che abitava lì presso. Vedendolo, Manara gli s'accostò e gli chiese se si passasse di lì per andare in paese. No, rispose il prete; là c'è il passo; e, andato avanti alquanto, indicò il passaggio. Ringraziò, inchinandosi, il giovine capitano e voltosi al compagno, disse sottovoce ridendo: Poveri noi non è di buon augurio questa guida: ed entrò in paese. Lo traversò al passo, mentre alle finestre s'affacciavano spaurite le donne, e i monelli gli correvano dietro.
Quando fu giunto sotto il Convento dei Cappuccini e, oltrepassato il castello, gli s'aperse davanti la vista del piccolo porto con le casette accoccolate intorno, e quindi la distesa infinita del mare, e lontano a sinistra l'armoniosa linea dei monti di Chiavari e di Sestri, mollemente distesi ad abbracciare il golfo, e nella pace vespertina udì le note della sua fanfara diffondersi per la valle di Nozarego, su cui incombeva il silenzio della mesta solennità cristiana, egli si fermò commosso, esclamando: Come è bello qui e stette a lungo a contemplando, poi finalmente si scosse, e, come facendo forza a sé medesimo, riprese la via.»

1  A quel tempo l'attuale Corso Torino che dà accesso a Piazza Caprera non esisteva: al suo posto c'erano alcune casupole in mezzo alle quali un ristretto passaggio metteva nella Foce. In paese si entrava per l'archivolto tuttora esistente rimpetto allo sbocco di via Sella, e ad esso si accedeva per un ponticello ad arco pieno, fiancheggiato da due parapetti in cui, nelle sere d'estate, i Sammargheritesi sedevano a pigliare il fresco.



01 I Giardini a mare
Siamo nel 1905-1910. Dopo il primo riempimento del vecchio porto, operato dal sindaco Angelo Rainusso con lo stratagemma del monumento a Vittorio Emanuele II, anche le amministrazioni successive proseguirono l'opera.
Qui si vede un piccolo triangolo di terra rubata al mare, dove nel giro di pochi anni fu posto il monumento a Cristoforo Colombo.
Lo chalet, fatto costruire da un Quaquaro, operò per alcuni anni come ristorante e stabilimento balneare, poi anche come birreria. Fu acquistato dal Comune e demolito perché ritenuto poco decoroso per la nuova piazza che stava prendendo forma.

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