Testata Gazzetta

Renato Dirodi Le cartoline di Renato…

(continua)

01 Deragliamento ferroviario (64)
Tra i primi ad accorrere furono i militi della Croce Verde che si preoccuparono immediatamente di soccorrere i passeggeri feriti trasportando i più gravi al vicino Ospedale. Successivamente gli stessi militi, assieme alla milizia ferroviaria, si preoccuparono di rimuovere i rottami per consentire il ripristino della linea, il lavoro fu rapido ed encomiabile tanto che la loro opera fu sottolineata dagli organi di stampa. Il 18 Ottobre, a dieci giorni dal disastro, il sottosegretario alle comunicazioni Sergio Panunzio, venuto a Santa Margherita per rendersi conto di quanto successo, fece visita alla sede della Croce Verde per porgere parole di elogio ai militi e ai dirigenti per l'opera prestata.

8 Ottobre 1924 - Deragliamento del treno Parigi Roma. - Il resoconto tratto dalla STAMPA.
La catastrofe del treno di lusso a Santa Margherita Ligure Il deviamento a più di 50 Km. all'ora - La locomotiva e le vetture sfasciate - L'orribile momento - 6 morti e una quindicina di feriti - Scene di strazio
(Dal nostro inviato speciale)
Genova, 8-10-1924 notte.
Nelle prime ore del pomeriggio, e precisamente verso le 16, si diffondeva in città la notizia di un gravissimo incidente ferroviario presso Santa Margherita Ligure. Si parlava di un treno internazionale deviatosi e rovesciatosi all'entrata della stazione e si citava una elevata cifra di morti e di feriti. La notizia era purtroppo vera e, sebbene la fantasia popolare ne avesse alquanto ingrandite le proporzioni, il disastro appariva tuttavia eccezionalmente grave.
L'allarme a Genova
Dalle prime febbrili notizie si apprendeva infatti che il «lusso» Londra-Parigi-Roma, che aveva transitato poco prima a Genova, entrando nella stazione di Santa Margherita verso le 13,15 era deviato, rovesciandosi. Dai rottami del convoglio completamente sfasciato sarebbero stati subito estratti, dal personale della stazione e dai volenterosi accorsi, sei morti e una quindicina di feriti. L'emozione prodotta in città dall'incalzarsi di queste sinistre notizie fu profondissima, tanto più che l'allarme veniva accentuato da un ululare di sirene nelle affollatissime vie XX Settembre e Tommaseo. Si trattava infatti delle auto-ambulanze della Pubblica Assistenza che a tutta velocità si dirigevano verso la Riviera di Levante. L'impressione dilagava anche più intensa per il diffondersi di notizie esagerate. C'era infatti chi parlava di uno spaventoso cozzo fra il «lusso» Londra-Parigi-Roma e il diretto Roma-Genova. Ma informazioni subito assunte ci mettevano in grado di comunicare la notizia, già pubblicata nell'edizione della Stampa di iersera e di precisarla. Si trattava effettivamente non di scontro, ma del deviamento - purtroppo disastrosissimo - del «lusso» Londra-Parigi-Roma. Il magnifico convoglio - già transitato da Torino alle 8,40 - era giunto, qualche tempo prima del disastro, con qualche ritardo alla stazione Principe e ne era ripartito alle 12,10.
I primi soccorsi
Immediatamente treni-attrezzati di soccorso partivano per Santa Margherita e le autorità civili e militari a mezzo di automobili si recavano sul posto.
Santa Margherita Ligure non è la prima volta che assiste a simili disastri. La cronaca delle sciagure ferroviarie ha avuto altre volte ad occuparsi di questa località. A nostra volta, ci recavamo d'urgenza sul luogo del disastro e dai testimoni oculari della spaventosa scena e dagli accorsi che avevano provveduto ai primi soccorsi attingevamo altri e più precisi particolari. Il treno di lusso, che, secondo l'orario, avrebbe dovuto entrare alle 12.49 nella stazione di Santa Margherita, era stato invece avvistato all'imbocco della stazione alle 13.15 circa. Aveva circa 26 minuti di ritardo e viaggiava a forte velocità, che si calcola superasse i 50 chilometri all'ora. Il convoglio (che era composto della locomotiva e di quattro vetture, cioè bagagliaio, vagone-ristorante e due vetture-letto, ed aveva a bordo circa 60 viaggiatori, quasi tutti stranieri, di cui molti diretti a Napoli), era stato instradato sul secondo binario della stazione, in deviazione, per essere quindi avviato sul binario dei treni pari. Fu appunto imboccando a velocità eccessiva la curva degli scambi di deviazione che danno accesso al secondo binario che il «lusso» improvvisamente deviò e con formidabile schianto, fra l'urlio dei passeggeri atterriti, si rovesciò letteralmente di fianco, abbattendosi con fragore. Era l'ora del pranzo e presumibilmente la vettura-ristorante al momento del terribile schianto, era ancora affollata dai commensali, ignari della paurosa sorpresa che li attendeva.
I terribili sussulti del convoglio
Una persona che fu presente nel tragico momento ci ha narrato che vide la locomotiva sfuggire ad un tratto dai binari e tosto, con un terribile balzo, piombare da un lato, trascinando per lungo tratto il tender. Tre dei vagoni, sorpassando, con pauroso salto, la locomotiva, si abbatterono tanto avanti, che la locomotiva infranta, apparve giacente allo stesso livello del terzo vagone. A sua volta il bagagliaio di testa schiantava attraverso il binario, frantumandosi. Le vetture passeggeri che seguivano, si abbattevano dal lato opposto provocando l'arresto delle altre vetture rimaste in binario. La violenza dell'arresto inflisse loro gravi danni. I primi tre vagoni apparivano pure sfracellati. Ovunque erano tra i binari, fumanti rovine dalle quali si levavano invocazioni ed urla di dolore. Dagli sportelli degli altri vagoni e dai finestrini i viaggiatori rimasti incolumi, in preda al terrore, si erano gettati fuori. Molti di essi, appena toccata terra, si rialzavano e fuggivano come impazziti.
Intanto il personale ferroviario accorso iniziava i primi soccorsi. Dalle rovine venivano estratti i due primi cadaveri. Alcuni feriti ebbero le prime cure sul posto, in attesa di essere trasportati dalle autoambulanze. Chi si trovava nella stazione, di fronte a tanto strazio era rimasto inebetito e soltanto dopo un po' di tempo si precipitò verso il tender ed i tre vagoni rovesciati. Nel frattempo si chiamava, per così dire, a stormo. La notizia della catastrofe veniva intanto telefonata a Genova alla sede centrale della ferrovia, ai carabinieri dei paesi vicini, alla prefettura, alle diverse Pubbliche Assistenze, e tosto venivano inviati soccorsi, personale e mezzi da Genova, da Rapallo, da Camogli, da Recco, da Chiavari. Da Genova giungevano due treni-soccorso con parecchi medici ed una grande quantità di medicinali. Subito i carabinieri iniziarono il servizio d'ordine. Ciò servì a domare la confusione ed il tremendo panico regnanti sul luogo del disastro. E così anche l'opera di soccorso andò diventando più razionale e proficua.
La signora ghigliottinata dal finestrino
Primi ad essere estratti dalle macerie furono tre viaggiatori, tra i quali una signora. Apparivano orribilmente straziati e pressoché irriconoscibili. La signora, che appena intuito il pericolo si era affacciata al finestrino, ebbe la testa mozzata e dispersa. Della disgraziata non venne rinvenuto finora che il tronco. Gli altri morti presentavano ferite al torace ed al capo. Altre due vittime venivano estratte poco dopo dal groviglio dei rottami di ferro e di legno. Più laborioso e difficile fu per queste altre vittime il lavoro. Si trattava del macchinista e del fuochista, che erano rimasti schiacciati sotto la locomotiva. I corpi dei disgraziati erano rimasti letteralmente carbonizzati. Giungevano intanto altre squadre di operai, che subito si univano ai primi volenterosi per l'opera di sgombro delle rovine. Le squadre lavoravano agli ordini di parecchi ingegneri delle ferrovie dello Stato. Giunse pure sul posto una Commissione incaricata di compiere una inchiesta.
Continua a radunarsi nei pressi della stazione una folla sbigottita, a stento trattenuta da cordoni di carabinieri. I morti sono stati trasportati in una sala d'aspetto. Essi giacciono allineati e pietosamente ricoperti da funebri lenzuola. Frattanto il fischio di un treno avvisa il passaggio di un treno-merci, che transita sul secondo binario rimasto completamente libero. Il merci non dovrebbe fermarsi a Santa Margherita, ma il macchinista vuol dare l'ultimo fraterno saluto alle salme dei suoi compagni. Il treno si ferma pel pietoso ufficio, ripartendo poco dopo. Mentre telefoniamo un silenzio di morte incombe nella stazione di Santa Margherita. Si ode soltanto il freddo schianto dei badili e dei picconi che lavorano alla ricerca di altre vittime. Alcuni ferrovieri stanno smontando la rivestitura esterna della caldaia per poter rimettere sulle rotaie lo scheletro della locomotiva.
I nomi dei morti
Circa le cause che produssero il disastro si fanno varie ipotesi, ma la più attendibile è quella che lo attribuisce all'eccessiva velocità del convoglio, velocità che fu sorpresa dallo scambio. Infatti il treno di lusso, che, ripetiamo, filava ad oltre 50 chilometri all'ora, deviò sull'ago. Sta a provarlo il fatto che la locomotiva, rotte le catene che la agganciavano alle vetture, si rovesciò lì presso, sul lato destro. Invece i vagoni proseguirono per un tratto ancora.
Intanto ecco i nomi dei morti fino ad ora estratti:
Colatino Pignatti, capo-treno del convoglio deviato;
Emilio Pignotti, macchinista;
Marcello Conti, fuochista, tutti del deposito di Pisa;
Comm. Gustavo Padoa, di Firenze;
Signora Vallis, di circa 60 anni, spaguola - o Colombiana - non meglio identificata.
La testa della Vallis venne rinvenuta a circa 25 metri dal luogo del disastro. Furono pure rinvenute due gambe ed una mano che per ora non si sa a chi appartengano. Si crede però siano parte del corpo del disgraziato macchinista. Quanto al gr. uff. Padoa, uno dei morti, si apprende che era un industriale ben conosciuto, anche perché era fratello del comm. Padoa che fu direttore generale al ministero delle Finanze. Era amministratore della Società agricola per materiali potassici ed altri concimi, con sedi in Roma, e godeva fama di tecnico d'alto valore.
I feriti, che sono stati ricoverati all'ospedale di Santa Margherita sono:
Miss Ellen Difterente da Glasgow, guaribile in sei giorni:
Miss Davis Fletti, guaribile in 4 giorni;
Miss Williams di Glasgow, guaribile in 8 giorni;
La signora Maddalena Kerr da Roma, guaribile in 14 giorni;
Sofia Cominelli da Roma, guaribile in 6 giorn;
Signor Seinefirst da Londra, guaribile in 8 giorni;
Signora Olizia Calderon da Barcellona, guaribile in 8 giorni;
Signor Jean Relatier, guaribile in 8 giorni;
Signor A. R. Heuschel, da New York, guaribile in 14 giorni;
Signora Elisa Felli da Roma, guaribile in 9 giorni.
Altri feriti più lievi sono stati ricoverati all'ospedale di Rapallo.
Dalla Croce Verde invece sono stati trasportati a Genova, all'ospedale del Pammatone, i seguenti feriti non gravi: Attilio Benso, di anni 25, da Aosta, domiciliato a Parigi, cameriere del vagone-ristorante, con contusioni all'emitorace sinistro guaribili in 15 giorni; Roberto Levy di Lione, di anni 38, da Parigi, colà domiciliato in via Strasburgo, con escoriazioni alle gambe guaribili in 20 giorni; Raimondo Scillard, di Parigi, domiciliato in via Filippo De Girard, con contusioni al piede destro guaribili in giorni 20.


01 Bagno delle Donne (63)
Come si può notare dalla foto, sulla punta Bagno delle Donne vi era una torretta che indicava probabilmente la darsena della vicina villa Costa.
Anche in tempi recenti i nuovi proprietari della villa hanno rivendicato e dimostrato la proprietà privata della punta, ottenendo di potervi apporre la targa Proprietà Privata, anche se il luogo rimane d'uso pubblico.
La presenza attigua della spiaggia Darze [e della vallata Conca Darze], termine che sembra derivare da darsena, avvalorerebbe la tesi della presenza appunto di una darsena di pertinenza della adiacente villa.

01 Agenzia Quaquaro (62)
Pubblicità sulla rivista Il Mare del 1924, anno in cui il monumento a Mazzini era ancora nella sua posizione originaria, ovvero nell'odierno Largo Giusti.
L'Agenzia Quaquaro non si occupava solo di oggetti d'arte, ma anche di affari immobiliari.
Proprio qualche anno prima di questa pubblicità aveva fatto da intermediaria tra Alfredo Chierichetti e il principe Centurione per la vendita non solo della villa ma di ampi terreni che andavano dall'ex terreno dei frati, dove Chierichetti costruì l'albergo Laurin, ai terreni di via Bellosguardo dove sempre Chierichetti fece un'ampia lottizzazione a ville.
I terreni dove sorse l'hotel Mediterraneo, il palazzo Rosso e fino all'attuale piazza Mazzini.
Quaquaro ottenne, come mediazione per l'affare, il terreno dove costruì la casa di famiglia in via Solimano.
Ho conosciuto molto bene i tre fratelli Quaquaro: Peppino (1926-2007), Angiolino (1928-2021) e Gian [Galeazzo] (1931-2021) che, nonostante la differenza di età mi hanno onorato della loro amicizia.
Tre persone indimenticabili per signorilità e attaccamento a Santa Margherita che hanno saputo tenere ben alto il loro prestigioso e antico cognome. Ricordi e aneddoti ne ho moltissimi per aver condiviso con loro momenti indimenticabili.

01 Chalet Cristoforo Colombo (61)
Lo Chalet Ristorante Colombo in una foto particolare che fa capire esattamente dove si trovasse. La ringhiera indica infatti la foce del torrente Magistrato che, come si vede, è adiacente alla struttura che veniva impiegata anche come stabilimento balneare.
Lo chalet costruito e gestito dalla famiglia Quaquaro, verrà acquistato dal Comune e fatta demolire nel 1912 per dare ampiezza alla nuova piazza.
[Tratto da "La Gazzetta di Santa" del 6 luglio 2020]
Aprile 1899: il sig. Sebastian Melmoth prende alloggio alla locanda "Cristoforo Colombo" di Santa Margherita. E' solo, proviene da Genova e una delle prime cose che fa è scrivere all'amico Robert Ross chiedendogli di raggiungerlo. Quel signore è Oscar Wilde che viaggia in incognito dopo le disavventure che ha subito; ha assunto quello pseudonimo dal titolo di un romanzo scritto nel 1820 dal suo prozio Charles Robert Maturin, "Melmoth the Wanderer" (Melmoth il vagabondo)…
Poi penserò a qualche piccolo posto nei dintorni". Pochi giorni dopo scrive da Santa Margherita, con l'intestazione Pension Hotel Suisse "… Qualunque cosa io faccia è sbagliata: perché la mia vita non è impostata bene. A Parigi sto male, qui sono annoiato, l'ultima sensazione è la peggiore". Sempre da Santa Margherita insiste poco dopo "C'è qualche possibilità che tu mi raggiunga qui? Ora rimpiango di non essere venuto a Parigi, vicino a te. Qui sono solo e malato." Non contento, spedisce quattro cartoline a Ross (tutte impostate a Santa Margherita nello stesso giorno, il 7 aprile 1899): nella prima scrive "Il mio nuovo indirizzo è Ristorante Cristoforo Colombo; ti invio alcune vedute per invogliarti". La seconda cartolina di Rapallo "E' solo un miglio da Santa Margherita, lungo la costa: è veramente deliziosa". Un'altra è dedicata a San Fruttuoso "Non ci sono ancora stato, ma ho deciso di entrare nel chiostro, il posto giusto per me". Infine Portofino "E' un posto incantevole, raggiunto solo da muli e barche".

01 I lavatoi di S. Bernardo (60)
Da bambino la fine della scuola e l'inizio dell'estate coincidevano con l'acquisto degli zoccoli che mi consentivano di abbandonare le scarpe e, indossati, mi facevano sentire libero, e liberi noi ragazzini lo eravamo davvero. Liberi di percorrere tutte le strade di Santa Margherita perché i pericoli erano quasi inesistenti.
Le auto in circolazione erano poche, ma soprattutto vigeva un controllo diffuso. Ci conoscevamo tutti e se combinavi qualche marachella potevi essere certo che i tuoi genitori ne sarebbero stati già al corrente prima del tuo ritorno a casa.
Gli zoccoli, magnifiche calzature che consumandosi segnavano il trascorrere delle vacanze: arrivando a settembre con un sottilissimo strato di legno che ci avvertiva che l'estate stava per finire e il ritorno a scuola era ormai prossimo.
I nostri giochi spaziavano per tutto il territorio cittadino, ma il luogo magico era il collegio diroccato delle Camicie Nere, per giocare e vivere avventure calcando luoghi sporchi e polverosi, ma pieni di fascino. Prima di tornare a casa però, rendendoci conto di come ci eravamo conciati, era obbligatoria una visita ai lavatoi, dove con l'acqua e qualche "lecca" di sapone abbandonata ci toglievamo dalle gambe e dai piedi i segni delle nostre scorribande, per riassumere sembianze umane e per evitare sgridate e qualche scappellotto dalla mamma.
(Foto di Laura Gianelli; la ragazza che sta lavando è sua mamma a 17-18 anni)
[Roberto Benvenuto]
Un aneddoto che raccontava mia mamma: si recavano ai lavatoi con "conche" piene di indumenti da lavare ed era un centro di convegno dove si raccontavano i "ceti" del paese. Un giorno una donna del rione mise a bagno una quantità di vestiti versando una confezione di detersivo (allora in voga "Omo"), si mise a parlare con una e con l'altra non rendendosi conto che il tempo passava. Finalmente tirò su dall'acqua insaponata la roba e si accorse che alcuni indumenti erano sgualciti dal troppo detersivo. La reazione fu: "Quello belin d'ommu u ma sguarou a roba!!!" Risate a crepapelle.

01 La Madonna della Rosa (59)
Il culto della Madonna della Rosa si perde nella notte dei tempi e già nella chiesa demolita nel 1658 era presente un altare a Lei dedicato, con una statua antichissima, tra le più vetuste della Liguria. La tradizione fa risalire la statua all'anno mille, quando un capitano la trasportò qui col suo bastimento e non riuscì più a portarsela via per gli innumerevoli prodigi che tale simulacro aveva elargito ai sammargheritesi e per l'immediata devozione che essi provarono per tale immagine.
La statua, di evidenti origini orientali, regge una rosa nella mano destra e il bambino nella mano sinistra: sembra che il nostro capitano l'avesse sottratta alla furia degli iconoclasti.
Venne dedicata a Lei anche una confraternita, la prima sorta a Santa Margherita, ma ciò nonostante col passare dei secoli la devozione verso di Lei si affievolì.
Riprese impulso quando il 4 maggio del 1672, durante la demolizione della Cappella a Lei dedicata nella vecchia chiesa, si ritrovò, murata dietro l'altare, un'idria di limpidissima acqua taumaturga.
Si fecero subito tutte le ricerche per verificare da dove potesse venire tale acqua, senza risultato. L'acqua emanava un buon profumo e aveva un ottimo sapore e quel che conta di più dispensò prodigi e miracoli agli abitanti del borgo e a quelli dei paesi vicini richiamati da tale avvenimento.
Naturalmente da quel momento ogni 4 maggio si celebrò l'evento con l'accensione di quattro candele e una messa cantata, ma nulla di più, anche se la statua della Madonna della Rosa venne collocata sull'altare del Rosario della nuova chiesa, dove i sammargheritesi continuarono a rivolgerLe le loro preghiere e le loro suppliche e a porre numerosi ex voto.
Ma non finisce qui: la vera rinascita del culto alla Madonna avvenne quando fu nominato arciprete Geronimo Benedetto Costa che così racconta:
«volgea il dì 4 di Maggio dell'anno 1752, giorno appunto della solita, ma troppo trascurata festa di N. Signora della Rosa, quando nella mattina accadde in questo luogo di S. Margherita una spaventevole burrasca, con diluvio d'acqua e di grandine straordinariamente grossa, di cui non s'era mai vista l'eguale.
Mi trovava io allora in Genova, colà trasferitomi il giorno innanzi per l'esecuzione della Bolla di Papa Benedetto XIV, con cui mi si conferiva il governo della parrocchia. Avvertito del fatto, dissi tosto che il giorno in cui s'era stati colpiti dal duro flagello indicava chiaramente essere questo un avviso del cielo pel poco conto che si era fatto fino a quell'ora della sacra effigie di N. Signora; che appena fossi in parrocchia avrei fatto di tutto per accrescerne il culto».
E così fece; cominciò con trasportare la statua dalla nicchia dentro la cappella del Santo Rosario, all'altar maggiore, il che avvenne il 25 febbraio 1756. Quindi si passò alla traslazione della festa dal 4 maggio alla quinta domenica dopo Pasqua; questa fu concessa da papa Clemente XIV con decreto del 22 agosto 1774, insieme col privilegio della Messa esteso a tutto il clero delle cinque parrocchie circonvicine.
Diventando di fatto la maggior festa del paese.

01 Le palme in Ghiaia (58)
Siamo agli inizi del 900, quando vennero messe a dimora le prime palme sul lungomare di Ghiaia.
Come si vede di piccole dimensioni e attorniate da una palizzata per proteggerle dal vento. Furono sacrificate negli anni della seconda guerra mondiale per costruire il muro antisbarco.
Negli anni '60 si pensò finalmente di ripiantarne un certo numero, anch'esse di piccole dimensioni e anch'esse protette contro le intemperie da una recinzione, questa volta in ferro.
Negli anni duemila si proseguì con esemplari di dimensioni maggiori, nella parte più a levante della passeggiata che ne era ancora sprovvista, ma non si riuscì a completare l'intera via per la presenza nel sottosuolo delle fondamenta del vecchio muro antisbarco, che sarebbe stato troppo oneroso rimuovere.
Oggi alle palme ci pensa purtroppo il punteruolo rosso.

01 Il vecchio Ospedale (57)
L'ospedale di via Roma ebbe origine nel 1829 con due donazioni: una del sig. Giuseppe Debernardi, che lasciò per questo scopo la villa, la chiesa e parte dei terreni che un tempo costituivano il convento dei padri Agostiniani, l'altra del sig Agostino Remaggi che lasciò un appartamento che fruttava una rendita annua di 292 lire.
Il Consiglio comunale, prendendo atto delle donazioni e considerando l'insufficienza di tale rendita, promosse una commissione per raccogliere ulteriori offerte. Poco dopo Michele Gimelli, che già aveva fondato un conservatorio per l'istruzione delle fanciulle di Santa Margherita e della parrocchia di San Michele, dispose nel proprio testamento una rendita annua di L. 3.000 in favore dell'Ospedale.
Il Comune fece predisporre dall'arch. G.B. Prato un progetto di ristrutturazione e costruzione che prevedeva la spesa di oltre 14.000 lire a fronte delle sole 5.000 raccolte. Si ricorse al buon Michele Gimelli, che poi diventerà anche sindaco, perché concedesse quanto promesso già da subito e non alla sua morte.
Gimelli acconsentì a condizione che il Comune facesse richiesta che la frazione di San Michele, dove era nato, venisse accorpata al comune di Santa Margherita. Si fece subito domanda in tal senso, ricercando anche appoggi altolocati. Tutto sembrava andare per il verso giusto, ma non si erano fatti i conti con i rapallini.
I parrocchiani di San Michele organizzarono una protesta sotto la casa del loro parroco al grido "vogliamo restare di Rapallo, vogliamo restare di Rapallo". Si scoprì poi che la rivolta era stata organizzata dallo stesso parroco, nel timore di perdere le proprie prerogative.
Il buon Gimelli prese atto e acconsentì a sborsare da subito quanto promesso. Il Comune da parte sua, visto che la cifra necessaria non era stata ancora raggiunta, destinò al costruendo ospedale un credito di 4.600 lire che vantava dal comune di Rapallo per fondi anticipati per la costruzione della strada Rapallo-Santa Margherita. In questo modo si poterono completare i lavori di adattamento del vecchio convento che era in buona parte diroccato.
Il 14 dicembre 1835 si pose la prima pietra della Cappella interna dell'Ospedale, con una grande festa e la partecipazione dei canonici e di tutte le autorità cittadine. Il Sindaco pose sotto la pietra un cippo di marmo con una teca di cristallo contenente una moneta da 5 lire d'argento con l'effige del re Carlo Alberto regnante, le reliquie di Santa Chiara e di San Giusto e il verbale della cerimonia.
Il 1° agosto 1841, festa della Madonna della Lettera, si inaugurò finalmente e solennemente l'Ospedale con grande concorso di pubblico, orgoglioso che un paese così piccolo potesse permettersi una struttura di quel tipo.
Alla sera, purtroppo, durante la processione della Madonna della Lettera, la statua in legno della Vergine si staccò dalla cassa colpendo due portatori che rimasero feriti. La processione e la festa terminarono lì.

Il complesso, di proprietà delle Opere Pie, è stato dato in diritto di superficie per 90 anni a un privato per la realizzazione di un hotel. Sono poi intervenuti altri obiettivi che hanno impantanato il prosieguo della pratica.

01 Festa dell'Unità (56)
Siamo in via Roccatagliata, nello slargo davanti al Collegio delle camicie nere che era stato danneggiato dai bombardamenti. All'epoca, siamo negli anni 50, ospitava parecchie famiglie che la guerra appena finita aveva lasciato senza casa.
In questo spazio si svolsero le prime Feste dell'Unità: la foto si riferisce proprio a una di queste, mentre è in corso una gincana con una Lambretta nuova fiammante.
Le feste raccoglievano i comunisti della zona, che naturalmente venivano guardati con diffidenza da chi contrastava la loro fede politica e si teneva ben alla larga: è noto infatti che a quel tempo i comunisti mangiavano ancora i bambini…
[Roberto Benvenuto]
Sono nato nella casa di fronte al primo piano lato destro (Via Buonincontri 2): avevo circa 5 anni e al piano terreno c'era la "Trattoria Noemi". In basso a destra la falegnameria del sig. Fede. Dietro si intravede l'attuale caserma dei Carabinieri, allora centro del Partito Comunista e nel giardino "L'Aranceto", il dancing di allora!
[Renato Dirodi] Nei fondi della casetta a sinistra c'era il calzolaio Antonio che poi emigrò in Svizzera. Era un fervente cattolico e a noi bambini che entravamo per curiosare faceva sempre recitare delle preghiere, poi magari ci regalava qualche pezzetto di cuoio o di pelle di scarto.
Alla domenica il piazzale ospitava le corriere dei gitanti, ma pochi usufruivano della trattoria Noemi, i più si portavano la colazione da casa e venivano spregiativamente definiti: "turisti da pane e pere". Al massimo compravano una resta di noccioline da Picciurin che in inverno, quando non c'erano i pullman, si riciclava vendendo pistacchi al campo sportivo. Ricordo tutto perfettamente, anche il falegname che catturava la nostra attenzione quando metteva in moto, con gran rumore, la sega circolare.

01 La caserma dei Carabinieri (55)
Villa Figurelli, situata nella attuale via Cervetti Vignolo, divenne nel ventennio "Casa del fascio".
Nel dopoguerra si trasformò in "Casa del popolo", con annessa balera dal nome: "l'Aranceto".
Infine nel 1954 divenne caserma dei Carabinieri, trasferita da via Giuncheto (dove oggi si trova il bar "Al Clubino", in piazza G. Mazzini).

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