Le Scienze – n.103 1977
Sono relativamente pochi gli alberi che sopportano l'ambiente urbano. L'esperienza di alcune città statunitensi dimostra però che è possibile selezionare e
migliorare le specie più adatte
Quali sono le possibilità di sopravvivenza degli alberi in un ambiente urbano? Gli artefatti umani che vanno sotto il nome di città sono apparsi da meno di 10000
anni, mentre gli alberi, che costituiscono circa il 20 per cento delle 250000 specie di attuali piante fanerogame1, sono il prodotto d'un
processo evolutivo iniziato nell'era mesozoica: gli antenati degli alberi odierni sono circa 20000 volte più antichi delle città più antiche. Poiché gli alberi sono
stati sottoposti a una pressione selettiva di più di 100 milioni di anni per adattarsi agli ambienti naturali, il fatto che qualche specie sia riuscita a occupare
una nicchia ecologica ostile come una via cittadina, ha veramente del miracoloso.
Consideriamo per un momento tutte le difficoltà che deve superare un albero piantato ai bordi di un viale cittadino: anche nel caso più favorevole ha i medesimi
svantaggi d'un albero selvatico con le radici poste sul fondo d'una gola rocciosa, poiché, come questa pianta, ha solo un'esposizione limitata alla luce solare,
essenziale per il processo di fotosintesi. Deve abituarsi a un'atmosfera ambientale (fonte d'una sostanza indispensabile, l'anidride carbonica) che un giorno può
essere stagnante, ma il giorno dopo spazzata da venti violenti. Se l'albero che cresce nella gola ha poche possibilità di rifornirsi dell'acqua di scorrimento
d'origine piovana, l'albero piantato ai bordi della via gli rassomiglia per un'altra ragione ancora: deve accontentarsi d'un rifornimento d'acqua senz'altro
inferiore al normale. Tutti questi problemi si presentano comunque anche in un ambiente naturale: esaminiamo ora alcuni fattori negativi tipici d'un ambiente urbano.
La razione di luce solare presente in una via cittadina può essere ulteriormente attenuata dallo smog; l'atmosfera ambientale può contenere alcune sostanze
tossiche per la pianta, come l'anidride solforosa prodotta dal riscaldamento domestico e dalle industrie, l'ozono prodotto per demolizione fotochimica dei gas di
scarico delle automobili contenenti vari ossidi d'azoto e altri gas inquinanti più rari, come l'acido fluoridrico prodotto da taluni processi industriali.
L'atmosfera d'una città è inoltre impregnata di polveri finissime prodotte dai camini e dalle ciminiere delle fabbriche; le particelle si attaccano alle foglie e
interferiscono con la traspirazione e la respirazione della pianta.
L'acqua a disposizione degli alberi stradali, oltre a essere scarsa, in inverno è spesso ricca di cloruro di sodio e di altri sali tossici, usati per mantenere vie
e marciapiedi liberi da neve e ghiaccio. Esiste inoltre un altro scarico di sali che continua tutto l'anno, quello lasciato dalla popolazione dei cani cittadini
che depongono i segnali territoriali proprio alla base degli alberi: la concentrazione dei sali contenuti nel terreno può superare il limite di tollerabilità d'un
albero, anche perché l'urina tende a evaporare. Infine, il piccolo quantitativo di terreno utilizzabile dalle radici d'un albero piantato sui bordi della via è
spesso veramente insufficiente, non contiene humus e inoltre è spesso così compresso che l'aria e l'acqua non riescono a penetrare negli spazi tra i granelli e a
raggiungere il sistema radicale; come se non bastasse, il terreno contiene pietrisco che impedisce una crescita normale delle radici e può essere attraversato da
tubature costruite con metalli tossici o da condotte di vapore che espongono il sistema radicale a temperature letali.
Il fatto che gli alberi di città siano riusciti a sopravvivere non è certamente la conseguenza di adattamenti evolutivi rapidi all'ambiente ostile d'una
città. Né i 200 anni che hanno visto il sorgere delle metropoli industriali, né i 100 secoli di coesistenza tra gli alberi e le città di ogni tipo, costituiscono
un periodo abbastanza lungo per permettere che le pressioni selettive scegliessero i geni necessari per far nascere nuove specie d'alberi resistenti all'ambiente
cittadino. La resistenza degli alberi nelle città è frutto dell'intervento dell'uomo, non della natura. Una dimostrazione soddisfacente di questo asserto, su cui
ci soffermeremo in questo articolo, è la successione degli alberi delle città degli Stati Uniti nordorientali negli ultimi 200 anni.
Tra gli alberi decidui2 originari delle zone rurali nordorientali vi sono molti dei primi alberi inseriti in un ambiente urbano, quando alcune cittadine americane cominciarono a fondersi per formare le prime vere città: possiamo citare come esempio alcune specie comuni sulle colline tra cui la quercia rossa (Quercus borealis), la quercia bianca (Quercus alba), la robinia comune (Robinia pseudoacacia) e il tiglio americano (o tiglio nero) (Tilia americana). Inoltre vi sono altre specie di fondovalle, come il frassino americano (Fraxinus americana), l'olmo americano (Ulmus americana), l'acero da zucchero (Acer saccharum), le due specie affini acero argenteo (Acer saccharinum) e rosso (Acer rubrum), e infine l'acero bianco o della Virginia (Acer negundo). Queste dieci specie dimostrano un'eccezionale resistenza all'ambiente rurale e suburbano: per esempio, nel villaggio di Millbrook, contea di Dutchess, stato di New York, esse costituiscono circa l'80 per cento dei 700 e più alberi decidui che crescono ai bordi delle strade; una di queste specie, e precisamente l'acero da zucchero, supera come numero di esemplari le altre nove specie messe insieme.
A Millbrook il numero di olmi americani è stato notevolmente ridotto dalla devastazione prodotta dalla malattia fungina nota come «grafiosi dell'olmo»:
oggi lungo le strade del villaggio sono rimasti meno dell'uno per cento di olmi. Questo fatto non si è verificato solo negli Stati Uniti nordorientali, ma anche
in tutte le località dove un tempo prosperavano gli olmi. Quando uno degli autori di questo articolo, cioè Elias, partecipava a un congresso all'Università
dell'Illinois, a Urbana, circa 18 anni fa, le vie della città e del campus universitario erano abbellite da questi magnifici, grandi alberi. Alcuni anni dopo
quasi tutti gli olmi erano morti e abbattuti, tanto che gli spazi aperti prodotti dall'eliminazione degli alberi avevano trasformato un ambiente umano idilliaco
in un paesaggio squallido. La medesima sgradevole trasformazione si è verificata all'inizio di questo secolo col diffondersi del «mal dell'inchiostro»,
che ha quasi cancellato dal paesaggio americano un tipico castagno frondoso e ombroso, la specie Castanea dentata, ricordato dal famoso verso del poeta
Henry Wadsworth Longfellow:
«Sotto le larghe fronde del castagno
»
Proprio come le malattie hanno quasi cancellato i castagni e gli olmi dalla lista degli alberi tipici dell'America, così parecchi altri alberi originari di questo continente, che ancora prosperano in alcune località rurali come il villaggio di Millbrook, sono stati eliminati dall'ambiente urbanizzato a causa di alcune loro caratteristiche: l'acero argenteo e l'acero bianco, per esempio, sono caratterizzati da legno tenero e fragile, che si spezza facilmente sotto il peso del ghiaccio e della neve molle. Quando un ramo di questi alberi si spezza in campagna, non vi sono conseguenze degne di nota; ma quando si rompe in città e cade, può creare ostruzioni o addirittura costituire un grave pericolo per le persone che camminano per la via. La quercia rossa e la quercia bianca, che possiedono una radice a fittone assai profonda, sopravvivono di rado a un trapianto, che purtroppo è quasi l'unico metodo con cui la città può essere rifornita d'alberi. L'acero da zucchero, un albero dall'ampia chioma che si estende lussureggiante sopra un marciapiede d'una strada di campagna, si allarga eccessivamente e perciò mal si adatta a una sistemazione su un marciapiede cittadino, che a volte non supera la larghezza di 1-2 metri. Per la medesima ragione anche la robinia comune e il tiglio americano non sono certo adatti a una via di città: non desta perciò meraviglia il fatto che, dopo anni e anni, quasi tutti gli alberi originari dell'America nordorientale abbiano lasciato il posto a tre specie d'alberi d'importazione e a una specie indigena solo per metà.
Forse la specie più comune di queste quattro è l'acero riccio (Acer platanoides), caratterizzato da rapida crescita, da resistenza ai venti violenti,
all'inquinamento dell'aria e persino a una certa quantità di Sali: è stato per parecchi anni un albero comunissimo lungo le vie di città. Per fare un esempio, circa
il 60 per cento degli alberi nella città di Poughkeepsie nello stato di New York sono aceri ricci. Tuttavia la specie presenta alcuni inconvenienti: per la sua
altezza, che a maturità raggiunge i 15-18 metri, è poco adatta a essere piantata dove le fronde si possono impigliare con fili sospesi, come linee elettriche e
telefoniche, ancora molto comuni nelle città. Inoltre il sistema radicale poco profondo di questa pianta tende a far sollevare il lastricato dei marciapiedi; a
Poughkeepsie gli aceri ricci avevano provocato il 75 per cento dei 1217 casi di deformazione dei marciapiedi: circa un albero di questa specie ogni cinque aveva un
sistema radicale che era riuscito a spostare le pietre usate per la pavimentazione.
L'albero originario degli stati nordorientali americani, ma solo per metà, è Platanus X acerifolia: si tratta d'un ibrido tra il platano americano
(Platanus occidentalis) e il platano comune (Platanus orientalis) ed è molto adatto per ornare le vie cittadine: oggi tale platano è l'albero più
diffuso lungo i viali della città di New York.
Il secondo albero d'importazione è forse il più «cittadino», poiché, nonostante sia di rado coltivato in America come albero stradale, si è
affermato in modo prepotente nei cortili poco curati, nei vicoli e negli appezzamenti non edificati. Si tratta dell'ailanto (Ailanthus altissima): d'origine
asiatica, questa specie è stata coltivata in Inghilterra soprattutto come albero da giardino e da parco fino alla metà del XVIII secolo. In Cina l'ailanto è
coltivato perché le foglie possono costituire l'alimento d'una specie di baco da seta. Nel corso d'un tentativo di importare l'allevamento del baco da seta in
America, si scelse questa specie d'insetto e nel medesimo tempo si introdusse l'ailanto: l'allevamento del baco si rivelò un fallimento, mentre l'albero, grazie
alla sua straordinaria resistenza, si è notevolmente diffuso.
Il terzo albero d'origine straniera è il ginkgo (Ginkgo biloba), che non era conosciuto fuori dall'Asia fino al XVIII secolo. Gli europei videro questa
specie per la prima volta nei giardini giapponesi e cinesi, e tale specie rimase una rarità in Europa fino al XIX secolo. Attualmente solo le piante maschili di
ginkgo sono usate nelle alberature stradali: l'albero femminile infatti non è gradito, poiché produce frutti che maturando emanano un odore sgradevole, simile a
quello del burro rancido. (In Giappone, tuttavia, questi frutti vengono consumati tostati durante le cerimonie nuziali.)
Oggi parecchie altre specie d'alberi, importati o originari, si possono trovare lungo le vie delle città americane. La varietà di specie è provocata non solo
dalle variazioni regionali di clima, ma anche dai diversi modi con cui è stato programmato il paesaggio cittadino. Alcuni esempi di queste variazioni di piani
urbanistici sono evidenti nella medesima indagine sugli alberi stradali di Poughkeepsie che ha fornito i dati relativi ai sollevamenti dei marciapiedi. In questo
studio, condotto nel 1974, si sono analizzate anche le date approssimate in cui le varie specie d'alberi sono state messe a dimora in quella città. Tra gli alberi
indigeni, si sono contati 177 aceri rossi, che costituivano circa il 2 per cento degli alberi della città. Solo circa tre dozzine di tutti gli aceri rossi,
tuttavia, risultavano piantati in anni recenti; la maggior parte degli altri erano di età compresa tra i 50 e i 60 anni, a giudicare dal diametro del tronco,
compreso tra i 52 e i 62 centimetri.
Lo studio compiuto ha dimostrato anche che più del 10 per cento degli alberi stradali di Poughkeepsie, cioè circa 900, erano aceri da zucchero. Tuttavia solo 150
erano stati piantati recentemente: la maggioranza aveva un'età compresa fra i 35 e i 50 anni, ossia un diametro di 40-50 centimetri, e quasi 300 erano stati
piantati più di 50 anni fa, poiché presentavano un diametro del tronco superiore ai 52 centimetri. La medesima diminuzione di popolarità era evidente anche per due
altri alberi tipicamente americani: il tiglio americano e l'acero argenteo; dei più di 300 alberi appartenenti a queste due specie presenti in città solamente 12
erano stati messi a dimora piuttosto recentemente.
In netto contrasto, il principale albero stradale di Poughkeepsie, cioè l'acero riccio, era rappresentato da più di 4500 esemplari. Appena un 10 per cento di
questi alberi era d'età avanzata. Circa 2700 erano stati piantati tra 25 e 50 anni fa, soprattutto per rimpiazzare gli olmi americani che stavano scomparendo nei
quartieri più vecchi della città tra il 1945 e il 1955. Altri 1300, che ora hanno un tronco del diametro compreso tra 2 e 25, sono stati piantati in tempi ancor più
recenti, per abbellire le nuove aree di sviluppo cittadino. Tra gli alberi di nuova utilizzazione a Poughkeepsie vi erano circa 1000 rappresentanti di parecchie
specie di melo selvatico (Malus), un certo numero delle quali erano importate, e più di 100 tigli selvatici (Tilia cordata), d'origine europea. Queste
nuove specie piantate in città avevano tutte meno di 25 centimetri di diametro: i meli selvatici erano del tutto assenti nella città fino a 15 anni fa.
Nel corso dell'indagine, si è scoperto che un solo albero stradale d'origine americana era aumentato di popolarità negli ultimi 50 anni: lo spino di Giuda,
Gleditschia triacanthos. A Poughkeepsie esiste un unico grande spino di Giuda e uno di dimensioni medie. Invece, negli ultimi 10 anni, sono stati piantati
120 alberi di questa specie che, come vedremo, deve l'aumento della sua popolarità a speciali circostanze.
Come ha influito l'uomo sullo sviluppo di alberi adatti all'ambiente cittadino? I vivaisti e i frutticultori, come i botanici, sanno che la tecnica di
riproduzione selettiva degli alberi, per ottenere e stabilizzare caratteristiche desiderabili, richiede tempi molto lunghi. Certo, la gamma naturale di variabilità
genetica entro una singola specie d'albero è spesso enorme: eppure, se si vuole trar profitto da questa variabilità, è necessario prima di tutto identificare le
particolari varietà entro le specie che presentano le caratteristiche desiderate. Inoltre, anche dopo che le razze selezionate sono state individuate e coltivate,
non si può essere sicuri che la progenie nata dal seme dimostri le medesime caratteristiche favorevoli dei genitori. Il processo naturale è un tedioso susseguirsi
di tentativi, rinunce e nuovi tentativi: si può prevedere, con un calcolo prudente in via approssimativa, un intervallo di 25 anni tra la produzione del primo
incrocio e la maturazione d'un ibrido collaudabile. Fortunatamente, per abbreviare il processo naturale, esiste da secoli una tecnica semplicissima, che è sempre
stata applicata e che si avvale della capacità, da parte dei membri del regno vegetale, di riprodursi per via asessuata e precisamente con la riproduzione
vegetativa.
Il programma più antico di selezione e di coltivazione su larga scala, che utilizzi una vasta gamma di generi per produrre alberi stradali, risale appena a 20
anni fa, ma alcune specie adatte per alberature stradali sono state propagate per cloni, ossia mediante riproduzione vegetativa, per parecchie generazioni. Un
esempio di specie propagata per cloni è costituita dal ginkgo. Poiché nelle città vengono piantati solo ginkgo maschi, sarebbe una perdita di tempo e di sforzi far
crescere pianticelle da semi e poi eliminare gli alberi femminili, inutilizzabili; si preferisce perciò utilizzare talee di una grande varietà di cloni di ginkgo
maschi, e le si pianta allo scopo di farle radicare: poi le barbatelle (cioè le talee che hanno messo radici), tutte maschili, vengono trapiantate. Si segue il
medesimo procedimento con Fraxinus pennsylvanica (detto in America «frassino verde») e per una ragione simile: il frutto del frassino femmina di
questa specie non emana odore sgradevole, ma intasa di detriti ingombranti le vie della città. Grazie al suo sistema radicale profondo, quest'albero è resistente
alla scarsità d'acqua e alla salinità del suolo cittadino: perciò si fanno radicare preferibilmente talee maschili di frassini per trapiantarle ai bordi delle vie.
Per propagare i cloni di alberi stradali geneticamente adatti esistono altre tecniche oltre all'uso di talee. Per esempio, la radice di una razza può essere
particolarmente resistente alle condizioni difficili del suolo cittadino: l'albero a volte però sviluppa una chioma troppo ampia o alla maturità può raggiungere
un'altezza eccessiva. Se un'altra varietà della medesima specie cresce di meno o presenta chiome di ampiezza contenuta, si possono coltivare in vivaio entrambe le
varietà; poi il vivaista taglia i fusti dei soggetti dotati di radici resistenti quasi a livello del suolo, li getta via e innesta al loro posto i fusti amputati
della varietà caratterizzata da crescita opportuna. Poiché l'operazione viene eseguita in un punto basso dell'albero, i vivaisti chiamano questo metodo di
riproduzione asessuata «innesto basso». La maggior parte delle alberature stradali viene attualmente ottenuta con questo procedimento di innesto.
Un esempio è fornito dallo spino di Giuda. Il genere indigeno Gleditschia, che porta grandi e lunghi baccelli ondulati, può crescere fino all'altezza di
30 metri; il tronco tende a incurvarsi ed è armato di lunghe spine ramificate che costituiscono una minaccia per l'incauto passante: quindi lo spino di Giuda
sembrerebbe ben poco adatto come albero da città. Tuttavia è molto resistente alla siccità e a una quantità di sali relativamente elevata. Dopo anni e anni di
tentativi, si è riusciti a ottenere un clone di spino di Giuda senza spine, con pochi baccelli e con un tronco più diritto. Tre tipi separati e selezionati di
questo clone senza spine vengono regolarmente propagati per mezzo di talee e poi innestati su radici resistenti alla siccità e ai sali, appartenenti allo spino di
giuda selvatico indigeno: questi sono gli alberi che hanno incontrato una crescente popolarità nelle alberature stradali.
Il tiglio selvatico europeo (Tilia cordata), a piccole foglie, una specie d'albero stradale importato che ha ottenuto un favore sempre crescente, è
un'altra specie propagata per clone. In natura le sue razze variano considerevolmente per le dimensioni e per la forma: la varietà più grande raggiunge spesso a
maturità l'altezza di 24-27 metri. La selezione intensiva ha prodotto cloni che associano l'altezza moderata con una buona velocità di crescita e con un profilo che
si restringe progressivamente verso l'alto. Alcune varietà scelte di questi cloni si sono dimostrate assai adatte per l'alberatura delle vie di città.
Il frassino americano, una specie indigena, fornisce un esempio di una tecnica di clonazione diversa. Esistono cloni maschili di questa specie con foglie che
divengono intensamente purpuree in autunno: la vivace colorazione rallegra la monotonia di molti ambienti cittadini. Tuttavia è difficile distinguere le piante
maschili da quelle femminili quando il frassino americano è giovane. Per essere sicuri di ottenere un adeguato numero di maschi, i vivaisti innestano gemme tagliate
da cloni maschili noti su un portainnesto di frassino americano comune.
Cloni maschili di due altri alberi, entrambi importati, si sono assicurati un posto in America come alberi stradali. Uno è il cosiddetto albero katsura,
originario del Giappone (Cercidiphyllum japonicum). Cresce rapidamente e fornisce un'ampia ombra con le piccole foglie cuoriformi, mentre lascia cadere in
autunno una quantità minore di foglie rispetto ad altri alberi stradali, dotati di foglie di maggiori dimensioni. La colorazione autunnale delle fronde di questo
albero, gialla e rossa, è veramente splendida. L'altro albero d'importazione, proveniente dalla Siberia, è Phellodendron amurense, una specie a crescita
veloce, che viene trapiantata con facilità e altrettanto facilmente si acclimata. Il principale pregio di quest'albero rispetto all'ambiente cittadino è che resiste
bene all'inquinamento atmosferico.
Perciò nel futuro immediato gli alberi scelti per le nostre vie cittadine saranno probabilmente quelli che resisteranno meglio alle condizioni difficili
dell'ambiente delle metropoli, grazie all'intervento umano anziché a quello della natura, e che potranno essere propagati per riproduzione vegetativa piuttosto che
per seme. Non dobbiamo tuttavia trascurare del tutto la capacità naturale degli alberi di reagire a una pressione selettiva dovuta all'adattamento alle condizioni
cittadine: è istruttivo a questo proposito il caso degli aceri di Montreal. Gli aceri da zucchero sono cresciuti all'interno e attorno a questa città canadese fin
dal tempo del primo insediamento. Quivi si trovano ancora, non solo in zone relativamente poco inquinate come le alture del Mount Royal, nel cuore della città, ma
anche nei vicini quartieri urbani industrializzati come East Sherbrooke, dove gli effluvi delle raffinerie di petrolio e degli scarichi delle fabbriche si combinano
con le emissioni dei veicoli a motore, rendendo l'atmosfera particolarmente tossica.
Nell'estate del 1974 Gopal K. Sharma dell'Università del Tennessee raccolse foglie completamente sviluppate dagli aceri da zucchero di Montreal della medesima
età (basandosi sulle dimensioni simili) che crescevano ad East Sherbrooke, poi in una zona un poco meno inquinata, e cioè in vicinanza dell'aeroporto internazionale
della città, poi ancora sul Mount Royal e infine in una località non inquinata, situata a una distanza di circa 40 chilometri dalla città.
Sharma lavò le foglie, ottenne impronte della superficie inferiore, dove sono localizzati gli stomi, cioè i pori che servono alla traspirazione, e esaminò tali
impronte al microscopio. Contando i pori sulla superficie degli esemplari di East Sherbrooke trovò che erano appena il 10 per cento rispetto alla località non
inquinata a 40 chilometri dalla città, il 25 per cento circa rispetto agli aceri di Mount Royal e il 40 per cento rispetto alle foglie degli alberi nei pressi
dell'aeroporto, l'area più inquinata dopo East Sherbrooke. Fatto ancor più sorprendente, la superficie fogliare era ricoperta fittamente di peli, con circa 9000
peli per centimetro quadrato di superficie, mentre tutte le foglie degli alberi delle altre tre aree erano completamente glabre.
Sharma è del parere che una variazione del numero di stomi fogliari negli aceri da zucchero secondo una proporzionalità inversa rispetto al grado di inquinamento
atmosferico locale sia chiaramente un adattamento favorevole, nel senso che minimizza l'entrata dei costituenti tossici dell'atmosfera, indipendentemente dalla
riduzione nelle attività di traspirazione e respirazione. Tuttavia la assenza d'una proporzionalità graduale riguardo all'abbondanza di peli fogliari pone dei
problemi di non facile soluzione: Sharma suppone che i peli, con la loro presenza, forniscano una copertura protettiva rispetto alla foglia nei riguardi di sostanze
inquinanti sotto forma di particelle.
La presenza di sostanze inquinanti nell'atmosfera ha il potere di stimolare in qualche modo lo sviluppo di peli protettivi in una specie che normalmente ne è
sprovvista? La struttura della foglia è influenzata da sostanze inquinanti in modo da ridurre il numero di stomi? Oppure queste caratteristiche osservate nelle
foglie sono il risultato d'una pressione selettiva, agente a livello del gene, che ha portato casualmente all'evoluzione d'una razza di aceri da zucchero meglio
adattati a sopravvivere nel difficile ambiente cittadino?
Qualunque siano le risposte a queste domande, gli aceri da zucchero di Montreal offrono un esempio assai interessante e attuale di rapporto reciproco instauratosi
tra una specie d'albero e la città in cui si trova costretto a vivere.
1 Caratterizzate dalla presenza del seme
2 Destinati a cadere