Il Sole 24 Ore – 1995 "Atlante storico dell'economia"
Premessa
La navigazione in mare aperto era stata raggiunta, le sponde dell'Atlantico e del Pacifico non riservavano più segreti: si trattava ora di un problema di
spartizione. A chi sarebbero andati i vantaggi di una navigazione che aveva aperto nuovi mondi? Ormai il mondo pieno della cristianità occidentale si era messo in
cammino; spinto dalle nuove tecniche aveva favorito una evoluzione economica senza pari. I mercantili a vela si erano perfezionati proprio in vista dello slancio
commerciale. Ora si trattava di non perdere i privilegi acquisiti e lottare in una gara di velocità perché il flusso di merci raggiungesse i porti rispettivi prima
delle Compagnie concorrenti.
Le navi permettono di colonizzare, esplorare, commerciare, ma anche di darsi alla pirateria e di trasportare eserciti invasori. Con le navi si combatterono
battaglie che hanno modificato il corso della storia; ma al tempo stesso si uniscono i popoli e si abbreviano le distanze. E' l'epoca dei clipper, ultimi nati della
navigazione a vela, capolavori di stabilità e di leggerezza, ma è anche l'epoca del vapore.
Il vapore si impone sulla terra più rapidamente che sul mare, semplicemente perché i tempi non erano maturi. Le navi a vela svolgevano un eccellente lavoro a
costi accettabili e così il vapore bussa più volte alle porte del mare.
Quando la società urta contro il tetto del possibile è pronta alla domanda di novità per camminare verso il futuro e affida alla tecnica la soluzione dei suoi
problemi.
Con l'autorizzazione della società la forza del vapore, già utilizzata nei cantieri, ora si impone come protagonista del trasporto via mare. Il vapore riduce le
distanze che assumono la forma di una scala di tariffe. Il sestante e il solcometro rendono più sicura la rotta. Il ferro e l'acciaio sostituiscono il legno; il
telegrafo facilita le comunicazioni.
Nel XIX secolo scienza e tecnica si alleano per creare i capolavori delle navi moderne. In fase di progettazione si possono sperimentare modelli di scafo
applicando i principi della fisica a galleggiabilità, stabilità e solidità: le tre condizioni base di una buona navigazione. Ma non è tutto; il genio dell'uomo in
questo secolo porta le navi sott'acqua vincendo del tutto le istintive paure che lo avevano tenuto sottocosta fin dall'inizio della navigazione. Con i sottomarini
non solo il mare aperto, ma anche il fondo del mare si apre all'esplorazione dell'uomo.
Le rotte diventano più sicure
La navigazione marittima al tempo di cui stiamo scrivendo si suddivideva in tre parti, che combinate tra loro permettevano alla nave di arrivare da un porto
all'altro.
Prima di tutto vi era la navigazione costiera, quella che gli uomini praticarono per lungo tempo per timore di allontanarsi dalle coste; poi vi era la
navigazione stimata, quella che consentiva di tracciare una rotta sulla carta nautica e in seguito di calcolare la lunghezza del percorso; in assenza di onde e
correnti la navigazione stimata sarebbe stata sufficiente al marinaio, ma più una nave procedeva secondo la navigazione stimata, più il margine di errore nel
calcolo della rotta aumentava. I calcoli dunque andavano verificati in continuazione e la verifica era fornita dal terzo sistema di navigazione, quello astronomico,
secondo il quale la posizione della nave veniva determinata riferendosi alla posizione della luna, del sole o delle stelle. E' questa ultima navigazione quella che
progredisce rapidamente dopo il XVI secolo. L'astrolabio e l'ago magnetico, come abbiamo visto, avevano già fornito un aiuto prezioso ai naviganti che comunque
continuavano a basarsi anche sui segnali inconfondibili che il mare offriva.
Esperti nel leggere il cielo, i marinai sapevano che l'addensarsi di nuvole indicava la presenza vicina di un'isola e che il profumo dei fiori o l'aroma di
legno bruciato portato dal vento erano segnali inconfondibili di terra anche se non era ancora a portata di vista. Su questa base essenziale, mista di empirismo e
di scienza, i marinai fondavano la loro navigazione, ma si rendevano conto che avevano sempre più bisogno della scienza, quella stessa che in Italia era venuta
loro in aiuto dotandoli della bussola e delle tavole di martelogio. Su questa linea, di esplorazione dei cieli e di applicazione di regole di fisica e matematica,
continuò lo studio dei matematici per facilitare la navigazione.
Abbandonata la pura osservazione delle stelle, che aveva guidato i viaggi temerari di Ulisse e dei suoi epigoni, il marinaio che affronta rotte sempre più
lunghe e impegnative ha bisogno di strumenti adatti che gli evitino il più possibile errori di calcolo.
Un primo strumento, per la verità nato dall'esperienza di ingegnosi marinai e non dallo studio a tavolino, è stato il solcometro, strumento per misurare la velocità
delle navi. Il suo funzionamento era semplice: a un pezzo di legno della forma di una fetta di torta si attaccava una sagola di corda con dei nodi a intervalli
regolari. Il solcometro veniva lanciato fuori bordo e al tempo stesso un marinaio capovolgeva una clessidra di 30 secondi di durata. Il numero dei nodi che
scorrevano tra le dita del marinaio nel tempo della clessidra, veniva tradotto in numero di miglia marine che la nave percorreva in un'ora. Da allora datò l'uso del
termine nodo per indicare il miglio marino.
La clessidra era un altro strumento utilissimo per determinare la longitudine: si adoperavano clessidre della durata di mezz'ora, ma indubbiamente il margine di
errore era molto alto, tanto che nel 1714 il Parlamento inglese offrì un premio di 30 milioni di lire a chi avesse trovato un metodo per calcolare la longitudine
con un margine di errore di 30 miglia ogni sei settimane di navigazione. John Harrison, nel 1735 presentò il suo cronometro al Parlamento. Questo orologio,
costruito con diversi metalli per compensare le variazioni di temperatura, pesava 36,5 chili. Venne provato in mare con grande successo: perse quattro minuti in tre
settimane. Il comitato premiò Harrison con 800.000 lire e lo incoraggiò a continuare i suoi studi. Nel 1761 Harrison installò a bordo del Deptford il suo cronometro
perfezionato che conteneva un margine di errore di 5 secondi dopo 6 settimane di traversata. Al suo ritorno in Inghilterra, dopo mesi di navigazione, aveva
accumulato un ritardo di 1 minuto e 54 secondi.
Il cronometro era importantissimo perché prendendo il meridiano di Greenwich come punto di partenza, sapendo con esattezza a quante ore di distanza la nave si
trova da Greenwich si può calcolare l'esatta longitudine rapportandola ai 360° di rotazione completa della Terra in 24 ore.
All'appello per una più esatta determinazione della rotta mancava solo il sestante, sviluppatosi dal quadrante di Hadley nel 1757. In breve divenne lo strumento
universale del navigante: ideato per misurare l'altitudine del sole, il sestante con il suo sistema di specchi e lenti unito alla scala graduata, sostituì la
bussola quale tipico strumento per determinare gli angoli orizzontali.
La cartografia e l'oceano
Le carte nautiche e oceaniche acquistano precisione
L'impiego del sestante contribuì all'accuratezza e alla precisione dei rilevamenti di James Cook durante i suoi tre viaggi nel Pacifico, tra il 1768 e il 1780.
I rilevamenti di Cook costituiscono una delle più grandi imprese idrografiche del secolo. Infatti fino alla fine del XVIII secolo le carte nautiche erano basate
sulla bussola, orientate al Nord magnetico, graduate raramente in latitudine e non in longitudine, disegnate sulla tradizionale rete di linee tracciate dal
mappamondo di Mercatore.
Il rilevamento idrografico veniva trascurato nell'istruzione dei marinai e solo pochi sapevano servirsi degli strumenti, bussola, sestante e cronometro, che la
scienza aveva messo a disposizione. Le carte di Cook, che disegnò le coste della Nuova Zelanda per un totale di 3.860 chilometri, erano graduate in latitudine e
longitudine, avevano segnati i meridiani reali e non quelli magnetici, e la variazione veniva annotata ogni volta che fosse osservata. Il rilevamento era ottenuto
con l'aiuto di raggi che intersecavano la rotta partendo da punti di riferimento a terra. Questo metodo avvicinava le carte alla moderna cartografia, ma mancava a
Cook un elemento importante, la possibilità di rilevare con precisione la profondità dell'Oceano.
Gli studi di oceanografia erano rallentati dalla mancanza di strumenti adatti. I navigatori avevano osservato l'esistenza delle correnti di superficie, senza
poterne rilevare la velocità e il loro rapporto con i venti. L'uso del cronometro portò a una buona precisione nell'annotare la direzione e la velocità delle
correnti, mentre l'uso del termometro di Fahrenheit di Benjamin Franklin servì a stabilire i limiti della Corrente del Golfo. Siamo agli inizi del XIX secolo quando
una spedizione comincia a scandagliare il fondo marino, ripetendo l'esperimento del capitano C. Philips, che nel 1773, con un piombo di 68 chili legato a un
lunghissimo cavo riportò da 1.250 metri di profondità «della creta azzurra morbida e fine».
Il tenente M. Maury1, della marina degli Stati Uniti d'America, ideò un cavo da scandaglio formato da un comune filo leggero con una
palla di cannone di 14,5 chili di peso. Con questo scandaglio arrivò a 9.150 metri di profondità e le sue carte nautiche, pubblicate nel 1853 riportano più di cento
scandagli oltre i 3.650 metri. Maury compilò anche una «Carta dei Venti e delle Correnti» caratterizzata da colori e segni convenzionali. Le carte
nautiche nel loro complesso miravano a far compiere alle navi le rotte più brevi per l'esattezza dei rilevamenti e l'indicazione delle correnti e della profondità
marina.
1 Matthew Fontaine Maury (1806 – 1873)