A Compagna – 1932
Con il giorno ili Natale i Genovesi nei tempi antichissimi cominciavano l'anno, e in segno di giubilo adornavano le loro abitazioni con grandi rami d'alloro.
I Romani aveano pure tale uso, come ricorda Plinio, che fin dai tempi dell'impero per rendere omaggio all'Imperatore ed ai Proconsoli piantavano grossi rami
d'alloro alle porte dei loro palazzi. Si può quindi argomentare, che da allora sia originata l'offerta del confuoco, il quale non era se non un tronco d'albero di
lauro, che veniva ogni anno recato al Podestà, al Doge ed al capitano del popolo. Il tronco veniva poscia bruciato e gli spenti tizzoni se li procuravano con
avidità i cittadini, conservandoli come cosa sacra, per salvaguardarsi da eventuali mali. Era tale la bramosia di procurarsi un po' di quel legno bruciato, che ogni
volta succedevano inconvenienti: per cui il Comune di Genova per evitare mali maggiori, ordinava che al Cintraco [rappresentante del popolo] spettasse il
legno combusto del «confeugo» e lo distribuisse lui tra i cittadini.
Di recare in città l'albero, spettava al rappresentante della Valle del Bisagno, che con l'appellativa di Abate, volgarmente detto Abboû, secondo
la legge del 1307 era stato eletto dal Governo Genovese coll'incarico di amministrare gli interessi dei popolani abitanti nella Valle.
Il primo Abate fu Jacopo di Gropallo, e fu appunto all'epoca della sua elezione (1307), che venne rinnovata l'usanza della presentazione del
«confeugo» nella forma solenne e conservatasi poi per secoli, così descritta dall'Accinelli nella sua Liguria Sacra:
«Alla vigilia di Natale, giunto il corteo sull'antico ponte di Sant'Agata, che sovrasta il torrente Bisagno, dove sono confitte due pietre di discreta
grossezza l'una per contro l'altra, l'Abate dell'anno precedente saliva sulla pietra verso nord, mentre il nuovo ascendeva sull'altra posta a meriggio; quindi il
primo presentava al secondo lo stendardo di San Giorgio, accompagnando con parole in lode della fedeltà sempre dimostrata dagli abitanti del Bisagno verso lo Stato
della Repubblica Genovese e raccomandava al successore di serbar fede nella patria e tenere in onore la sua bandiera.
Fatto il dovuto ringraziamento e preso in consegua lo stendardo, il nuovo Abate partivasi dal ponte ed incamminavasi verso la città, avendo alla sua sinistra il
Sindaco del rispettivo villaggio, il quale era un notaro.
Precedeva a guisa ili carro, il tronco del lauro trionfale ornato di rami e fiori tirato da buoi.
Seguivano i capi famiglia e magnati, tra questi alcuni tenevano in mano una bandiera bianca con croce rossa, poco più grande di tre palmi con l'asta di cinque
palmi. Cammin facendo, traversando Via S. Vincenzo, Porta d'Arco, Ponticello, Vico Dritto, Porta S. Andrea e la discesa del Prione, eseguivano con detta bandiera
diversi giuochi, facendola sventolare e girandosela attorno alla testa, al corpo e perfino fra una gamba e l'altra quindi la gittavano per aria e l'afferravano con
destrezza all'estremità dell'asta.
Passando da Porta d'Arco i militi, della Repubblica faceano scorta d'onore, così pure praticavano le soldatesche di stanza al Palazzo Ducale.
Giunto il corteo nell'atrio del Palazzo, sostava, il «confeugo» veniva con solennità deposto nel mezzo, le trombe squillavano, le bandiere si
agitavano, e l'Abate accompagnato dai magnati della Valle, saliva all'appartamento dogale. Si presentava con riverenza al Doge e dopo averlo salutato con il
proverbiale - Ben trovoû Messê ro Duxe - al quale il Doge rispondeva - Bon vegnuo Messê l'Abboû - augurava al capo dello Stato
le buone feste a nome della Valle e lo pregava di gradire il «confeugo» recato come simbolo del Natale e dal quale la patria potea trarre lieti
pronostici per l'avvenire.
Al rappresentante del popolo ed alla comitiva che lo accompagnava il Doge offriva una somma in contanti, vini e confetti.
All'ora dell'Ave Maria il Doge con due governatori, seguito da magistrati, da ufficiali, dalla nobiltà, scendeva sulla piazza dove al cospetto di una
moltitudine festante aspergeva di vino il tronco e vi appiccava fuoco benedicendolo in nome di Dio e dei Santi protettori della Repubblica.
Quindi il Doge ed il seguito risalivano in palazzo dove nella gran sala tutta splendente dì ceri, venivano serviti rinfreschi, confetti, aranci, annaffiati di
vini squisiti».
Questa cerimonia ebbe durata sino all'anno 1796, e l'ultimo Abate che si recò a palazzo Ducale fu Antonio Bazzorro della Parrocchia di S. Martino di Struppa.
La Serenissima volgeva allora al suo tramonto, poiché stante la rivoluzione del 22 Maggio 1797 più non si parlò di eleggere l'Abate del Bisagno, ed in
conseguenza ebbe termine l'offerta del «confeugo». Il popolo di Genova ne fu costernato, tanto era invalsa la costumanza in ogni ceto, alla quale era
attaccato per tradizione secolare, per superstizione e godimento festaiolo.
Dopo 130 anni la grande Associazione «A Compagna» pensò di far rivivere, nel modo più consono ai tempi nostri, l'uso dell'offerta del confuoco al
suo primo Podestà, come segno gentile di augurio e di lieti eventi.
In questo modo mentre viene ripristinata l'usanza dei nostri avi, si effettua un simpatico contatto fra il popolo e il suo Podestà, il quale da buon genovese
gradisce tale cerimonia e la fa assurgere ad un vero e proprio rito.