Giornale storico e letterario della Liguria – III 1902
L'astro di Francesco I stava per tramontare. Carlo di Lanoy, il sagace viceré di Napoli, scrivendo il 5 dicembre 1524 a Carlo V, prediceva di già che gli affari
del re di Francia avrebbero mal fine. L'astuto consigliere non si era ingannato, e la rotta di Pavia, seguita il 24 febbraio 1525, ove in men d'un'ora e mezza ben
8000 francesi perirono tra uccisi ed annegati, pose il suggello di verità al fatidico asserto. Il re ferito nel volto e nella mano cadde a terra e in quell'istante
il viceré Lanoy con molta riverenza lo ricevette prigione in nome dell'imperatore. Fu l'istesso dì che egli dal campo imperiale scrisse a Luisa di Savoia, sua
madre, la lettera resa celebre dalla tradizione, che le diede questa forma nel suo laconismo sublime: tutto è perduto fuorché l'onore, però disabbellita dal
verace suo testo, in cui si legge soggiunto e la vita che è salva. Altro particolare degno di nota; la sera o l'indomani della sconfitta il re «arracha
de son doigt une bague, seule chose qui lui restat, et la donnant secretement à un gentilhome qu'on lui permit d'envoyer à sa mère, il lui dit: Porte ceci au
Sultan».
Il 27 febbraio le pesanti saracinesche del castello di Pizzighet[t]one in riva all'Adda si abbassavano per accogliere il figlio di Carlo d'Orleans, e vi
stette sino al 18 maggio, guardato a vista è vero, ma libero, giocando anche alla balletta con la corda, non senza aver espresso il desiderio di una festa
de donne.
Sin dal 12 maggio correa voce che Francesco I sarebbe condotto a Napoli per mare, imbarcandolo a Genova, cosa che forse non piaceva alla Serenissima di Genova,
giacché non se ne rallegrò punto il doge Antoniotto Adorno, quando lo stesso giorno consegnò un memoriale all'ambasciatore, che doveva recarsi al cospetto di Carlo
V per ottenere il permesso di caricare grano in Spagna, facoltà già concessa ai Genovesi, e poi fatta sospendere dal Segretario Covos.
La voce dell'imbarco in Genova prese piena consistenza, quando da Crema si scriveva alla veneta Signoria colla data del 18 maggio «come in quella mattina
il Viceré era levato da Pizigaton con il Cristianissimo re accompagnato da la soa guardia deputata et va verso Zenoa
va prima ad alozar a San Zane, poi a
Vogera
». Francesco I si rallegrò internamente della sua partenza per Genova, poiché, come ben osserva il Mignet, «avait cru pouvoir recouvrer sa
liberté
L'armee navale de la France était plus forte que celle de l'Espagne. Les navires réunis d'Andrée Doria, du baron de Saint-Blancard, du frère
hospitalier Bernardin, montés par quelques troupe résolues, pouvaient attaquer les navires ennemis et l'enlever a ses gardiens. Dès le 17 mai, Francois
Ier etait parvenu à donner secrètement des informations a la régente et lui avait écrit qu'on n'aurait à combattre que quatorze galères et dix-huit cents
arquebusier espagnols. Il avait ajouté avec une confiance un peu téméraire qu'il n'y avait qu'à user de diligence, car si elle est faite, disait - il à sa mère,
j'ai espérance que bientôt vous pourrez voir votre très humble et très obeissant fils».
Mentre che Francesco I, nella lusinga della sua liberazione, lasciava il castello di Pizzighetone, 2500 Lanzichenecchi erano andati ad alloggiare a Tortona. Col
fiammingo Carlo di Lanoy, viceré di Napoli, erano 8 bandiere di fanteria, 300 cavalleggeri e 200 uomini d'arme. Il 19 maggio Giacomo de Cappo scriveva da Milano
alla Serenissima di Venezia: «heri partì il Signor Viceré con il Re et hozi si è partito il signor ducha di Barbon per andarlo ad incontrar a Voghera e
parlato col Viceré tornerà qua. Era prima ordinato condur il Re a Pavia; ma sua Maestà ha pregato non lo conducano lì et ha ottenuto. Si dice non imbarcheranno il
re a Genoa, ma a un certo porto che è alli confini de signori fiorentini». E il 21 maggio di bel nuovo da Milano scrivevasi a Venezia «come hanno il
Viceré con il re Cristianissimo esser a Novi et non esser passati più oltra per la indisposizione del re Cristianissimo contratta nel viaggio».
L'indisposizione del re non fu soltanto la causa della fermata a Novi; gli Spagnoli aveano condotti tanti bagagli da dover fare una sosta necessaria, e i soldati
preposti alla guardia del re si erano ammutinati, reclamando la paga; ciò scriveva l'oratore di Milano il 23 maggio, aggiungendo che il re e la truppa si sarebbero
imbarcati sull'armata in luogo poco distante da Genova, giacché Francesco I avea pregato il viceré Lanoy «non volesse menarlo in Genova, perché lì bastava
assai che di lui triumphasse in Napoli». La marcia continuava e il giorno 23 maggio il re giungeva a Borgo de Fornari, il vetusto feudo degli Spinola. E da
Milano il giorno 27 partiva il seguente ragguaglio: «Come era de lì venuto uno homo di descrition assai, qual partì da Genoa a di 23 e andò alogiar la sera
mia lontan di Genoa, a uno loco che si chiama il Borgo, dove la sera li vene ad allogiar il Cristianissimo con il signor Viceré. Dice che le quattro bandiere di
spagnoli che sono a la vardia di esso Christianissimo, alozorono parte in le fosse, et parte sopra le mure; le gente d'arme et cavali lizieri ne la terra ditta et
una parte in uno loco alquanto avanti ditto Busala. Dice ancora che la matina per tempo che fu Mercore, a di 24, dovendo cavalcare il Cristianissimo, si mosse in
uno cortivo, di dove davanti havea a passar, et con li tamburini vene in ordinanza le quatro bandiere di spagnoli. Di poi con le trombe venero le genti d'arme, di
poi il Cristianissimo sopra una muleta e da drieto li venia do gentilhomini spagnoli disarmati, et di po ad un pezo venia il signor Viceré con il capitanio Arcoa
et li cavali lizieri; li continui andavano a le bande a largo del Cristianissimo. Dice che quando passò il Cristianissimo, lui li fece gran reverentia e che S. M.
il vardò più volte et ancor quando l'era passato. Costui è cittadin vicentino, homo da bene et mercadante; el qual etiam volse vederlo montar a cavalo, dicendo
volea veder si Soa Maestà havia speroni e cussi era, non però avea arma alchuna; indosso uno saio di veludo negro a la foza soa et un capello di ormexin negro in
testa. Dovea la matina andar in Genoa a disnar, dove era aparechiato di alozarlo in el Castelieto, ch'è in mezo la terra, et quelle caxe lì vicine erano sta' fatte
preparar per allogiar la vardia. Et havevano fatto provision per giorni 5. L'armata era in porto ben in ordine, galìe 14 et brigantini, et qualche nave grossa».
Il Casoni, dopo averci detto che il re Francesco, condotto essendo dal Lanoy in Genova, una gran moltitudine di persone concorse a vederlo, ma non poco offeso
ei rimase, accorgendosi che molti dell'infima plebe suscitati per avventura dagli Adorni, irridevano vilmente alla sua disgrazia, sicché più non volle mostrarsi in
pubblico, conceputone lieve sdegno contro Genova, cade in errore soggiungendo che il re prese alloggio nel pubblico palazzo, che il doge Antoniotto Adorno dovette
colle vicine case abbandonare al viceré e alle guardie spagnole destinate alla custodia della regia persona.
Infatti un altro ragguaglio, inviato il giorno 27 da Milano diceva: «come è aviso di Mercore 24 del mexe, da Genoa, che il Signor viceré era alogiato in
el Casteletto, ch'è in mezo la terra con il re Cristianissimo, et voce ne è che zuobia a dì 25 fo il dì de la sensa, se imbarcaseno; non però è nova certa. Questo
aviso è in Mons. di Barbon, el qual fra tre zorni se partirà per andar a Turin dove si fa una bella giostra la octava di le Pentecoste». Il console di Napoli
a sua volta lo stesso giorno scriveva: «come de lì si preparava uno ponte sul molo per il smontar del re Cristianissimo», mentre dall'altra parte
lettere speciali da Genova in data 28 maggio annunziavano che il giorno 29 era fissato per l'imbarco, e che già sull'armata erano stati posti i rinfrescamenti.
Nel frattempo fervevano i preparativi per la liberazione del re. Infatti «um partie de la flotte française devait se rendre le 31 mai dans les eaux
de Gênes, où la joindraient successivement les autres navires qu'on armait. Le maréchal de Montmorency, échangé un mois auparavant avec don Ugo de Moncada
après avoir vu la régent a Lyon, avait rejoint le roi à Gênes, presque à la veille de son embarquement. Il était investi du comandement général des armées de
mer, et sans doute il apprit au roi que tout s'apprêtait pour sa délivrance. Mais Francois Ier renonça lui-même à une entreprise non
moins certaine que périlleuse».
La veneta Signoria, ricevuti i debiti rapporti intorno agli avvenimenti, scriveva a Carlo Contarini, oratore in Ispruch «come erano lettere di Zenoa di 28
del giunger lì del re Cristianissimo con il signor Viceré ed il capitanio Archon et doveano imbarcarlo a dì 29; tamen ancora non havevano posto le victualie ne le
galee. Etiam haveano inteso che a la volta di Napoli era 30 fuste di mori et dubitavano etiam de Andrea Doria capitano dell'armata francese et erano preparate per
condure il Re galee 15 et fuste 10 et molti bregantini. Haveano deliberato che sopra la galea che conducea il Re andasse lo Arcon con 52 archibusieri et 50 de la
famiglia del Viceré».
A Genova, da poco tempo libera dalla peste, era giunto Sigismondo da Napoli, ambasciatore di Venezia, il quale il 28 maggio così scriveva al provveditore
generale della Serenissima di Venezia: «Mercore da matina a dì 24 il Viceré con il re Cristianissimo partirono da un castello che si chiama Burgo lontano 15
milia da Genova et ivi arrivorno a hora del disnare et lo menomo in Castelo, et li fano gran guardie dì e notte. Et dubitando del popolo di Genoa, li fanno la
guardia in tre piazze, una bandiera per loco de dì et de notte, ed hieri furon do volte cum le arme in mano con quelli de la terra per conto de lo alogiare, tutti a
descrition volendolo, et per questo stanno in gran fastidio. El Viceré ebbe mandati via heri mattina assai cavali lezieri per sgravar la terra, et hoggi manderà via
alcuna compagnia de fanti. L'Arcone è in Castelo con il Re, et lui andarà in una galera con el Re cum 50 continui et 50 archibusieri et pochi servitori, et andrà in
la galea, che fu di Don Ferrante di Cadorna. El Viceré andrà in quella del Gobbo o in quella di San Zorzi. Et in tutte sono 15 galee et 5 brigantini, et do galee
anche hanno reconzà quale erano guaste et le menerano via, et doi fuste piccole, quale mandano innanti per scorta et al presente sono in alto mar, se cossa alcuna
spiasseno, perché hanno un poco suspecto, benché vadano a terra, et a la volta de Pisa et Civitavecchia et Roma, et ho inteso che smonterano subito vedando armata
alcuna che si scopra in mare, perché menano poca gente. Dice, anderà fra 5 dì se haranno bon vento. Hieri sera venero 5 pezi di artelaria del Castello et ne posero
2 in quela galera del Re et 2 sopra quela dove andarà il Viceré, et una in quela dove va el signor P. A., di la quale è capo lui. Del partir dicono sarà Lunì a dì
29 che è dimane; ma credo anderà fin 2 più in là, perché ancora non hanno fornito le galee di victuaria quando li fa di mestiero. Sonovi cerca 3 o 4 legni grossi
quali dicono non anderanno via. Qui è fama che in Hispania mori haver preso 2 legni grossi, uno il galeone del Papa et anche si dice che 30 galere grosse di mori
stanno ad uno passo in mare per pigliare il Re, quando passa et anche si parla di Andrea Doria».
A Roma si bisbigliava che il Lautrech con 6000 fanti veniva verso la Provenza per montar sull'armata di Andrea Doria e veleggiare verso Genova per mettere in
salvo il re, onde si dilazionava la partenza. Questa remora inaspettata facea sì che i Genovesi, capitaneati dagli Adorno, non potevano più sopportare l'armata,
onde la scintilla nascosta poteva secondare gran fiamma. Il Lanoy in Genova non godeva simpatia alcuna, tanto più che si conoscevano le sue astuzie e i suoi
tentativi, incominciati l'indomani della rotta di Pavia, di dar cioè Novi ad Antonio de Leyva. La voce divulgata ad arte che il re sarebbe stato condotto a Napoli
andava assumendo credito maggiore in ogni città, sebbene a Milano già il 31 maggio si sapea da notizie non ufficiali, che il Viceré temporeggiava per
condurre Francesco I alla volta di Spagna, in attesa di 10 galee francesi, che dovevano fare onorevole scorta.
La partenza non si fece aspettare, e la flottiglia sferrò dal porto di Genova la notte del 30 maggio. Il re in mezzo ad una calca di popolo era stato
accompagnato alle galee da Bernardino della Barba, nunzio pontificio, e il 2 giugno l'oratore di Milano scriveva alla veneta Signoria «come erano lettere di I
da Zenoa a quell'Ill.mo Ducha qual avisaria la notte el Cristianissimo re insieme con il signor Viceré esser montati su l'armata et haver fatto miglia 20 a
Portofino, dove è il pasazo di andar a Napoli et in Spagna; et che quando S. M. si parti di Casteleto per montar su l'armata fu visto andar con ciera mesta
et che il dì avanti Mons. Memoransì havea riportato da parte di l'Imperatore et di madama la Regente che non si facesse altra novità di guerra senza suo ordine,
sicché il mover delle arme sarano suspese; la qual cosa il Cristianissimo re ha laudato, et detto Memoransì è stà rimandà a la detta Madama con dirli S. M.
Cristianissima lì è stà grato di questo. Item il doxe di Zenoa scrive di mali portementi fati de lì per spagnoli et disonesti modi tenuti e ringratia Idio siano
levati che se stavano più sarìa de lì seguito alcun inconveniente».
Anche da Brescia il procuratore generale scriveva a Venezia «relation de uno che è stato a Zenoa quando il re Cristianissimo montò in galìa qual fo a dì
30 del mexe passato a hore
et stete in galìa du hore
fin
a partirsi e che per la puza di la sentina et per la calca di le zente vene quasi
ambascia adeo era lì taze con aqua ruosa et axedo et il Re si tocava la man et li polsi et stava molto malinconico».
Più ampia e particolareggiata relazione della partenza per Portofino fa il ricordato Sigismondo da Napoli. Il 4 giugno scriveva da Genova: «Come il
Mercore a l'ultimo del mexe di Maggio proximo preterito a circa hore 14, li Signori Cesarei imbarcorno il Cristianissimo re et stetteno fino alle 20 ad partirsi; et
dopo levati si tirorono da circa 15 miglia a remi et poi diedeno le vele, et per il camino al quale haveano voltate le prore tutti indicavano dovesse detta armata
andare verso il regno di Napoli. L'armata era de galee 15, due fuste de 18 banchi et cinque brigantini, 6 delle quali erano de Napoli, 4 da Genoa et 5 di Sicilia et
due altre erano restate nell'arsenà a Genoa, che non le haveano potuto mettere ad perfettione in tempo. Haveano mandato inanti (a Portofino) le fuste et li
brighentini per far le scoperte et vedete, et le due galee, ne le qual era la Maestà Cristianissima et signor Viceré andavano serrate in mezzo delle altre 10 et
tre le andavano per circa duo miglia drieto. Le due galee predette del Cristianissimo et del signor Viceré haveano le tende di veluto et raso de colori rosso,
bianco et giallo, livrea che porta il signor Viceré, et sopra le sei da Napoli haveano spiegati stendardi et bandiere dorate tutte cum l'arma imperiale. Sono
montati sopra detta armata tutti li continui del signor Viceré et alcuni capitanei de fanti cum 7 insegne, tamen il numero de li fanti non passava ultra 800. Sopra
quella del Cristianissimo vi è montato il capitano Alarcone cum una insegna. Et nel star feceno alle ripe, dopo imbarcati dalle 14 alle 20 hore, sua Cristianissima
Maestà di continuo stava tutta affannata et andava in sudore tra il gran caldo et il numero delle persone che era sopra la galea et tra il fetore della sentina, per
il che si era slazzato davanti et si bagnava la mano ed il volto hora cum aceto ora cum l'acqua rosata che li era stà portata in due tacce d'argento. Et benché si
attrovasse S. M. in tal maniera si sforzava dimostrar buona ciera ad ognuno. Il giorno stesso che detta armata si levò, si partì etiam il resto della fantaria
spagnola che era venuta ad accompagnarli la qual potea essere in 12 insegne da circa 1000 fanti
Delli insolenti portamenti hanno fatto tutte questa gente
cesaree in Genoa et le spese che hanno voluto non dico altramente, possendo esser ben comprese da cadauno che ha pratica delli modi usano in ogni loco. Ma ho veduto
gran viltà nel populo di Genoa per le gran superchiarie che si ha lassato fare».
Ho detto della voce, fatta spargere ad arte, che il re sarebbe andato a Napoli, e dei sospetti che si avevano a Milano che il re sarebbe stato condotto in
Spagna, il che impensieriva il Duca di Borbone, il quale da Milano scriveva al Lanoy facendo le debite proteste. Il Viceré astuto da Portofino rispondeva:
«che vedendo tal sua inclinazione a non asentir che 'l vadi in Spagna, era contento rivocar quella deliberation di andarvi et lo condurà ad ogni modo a
Napoli». Il giorno tre giugno re Francesco I fu visitato dal cardinale Ercole Gonzaga di Mantova in Portofino «dove era il Re su l'armada et aspectava 6
galee di Franza per andare insieme».
L'8 giugno alle ore 21 l'oratore di Milano scriveva alla veneta Signoria: «Come era lettere di Genoa de dì 6 da uno agente del signor Viceré nominato
Lopes el qual scrive a questo Ill.mo duca di Milan come el detto signor Viceré se retrova ancor a Portofin aspectando 6 galee da Marseia del Cristianissimo Re per
poter andar più sicuro perché hanno pure avisi che fuste 29 di mori sono verso la Cicilia. Scrive etiam che hanno ad andar ad ogni modo a Napoli; sicché in questa
varietà sono li avvisi». E lo stesso giorno alle ore 22 scriveva: «come erano lettere de lo Ill.mo duce di Genova in questo Ill.mo di heri, che li dà
aviso come giunse a Portofino al signor Viceré sei galere del re Cristianissimo; esso signor Viceré se mise a camin con l'armata verso Genoa et arrivò a Sampiero in
Arena, ch'e mia tre lontan di Genoa, et tien che per diman non si possi partir perché subito il signor Viceré ivi gionto expedì suo homo a Voltagio, che è loco
apresso l'Apennino, mia 20 lontano de Genoa per far venire due compagnie di spagnoli che vi sono, per armar con loro le dette galìe francesi. Fama ivi correa che
vadino in Spagna, dicendo che post scripta esso Duce è fatto certo di questa andata».
E il 9 giugno scrivevasi da Parma alla veneta Signoria: «el Viceré ha mosso il Cristianissimo da Portofin et conducto a Santo Petro Arena loco proximo a
Genova dove sono con effecto gionte sei galee de quelle erano a Marsilia, et in quel luogo se armano di spagnoli. Esso Viceré ha mandato a pigliare tre compagnie
per tal effetto; il nome delle quali non scio et securamente in questo modo esso Viceré condurà S. M. in Spagna. Questa via si è trovata a satisfactione del
Cristianissimo per più voluntieri essere conducto a Cesare che a Napoli, dove pensa più facilmente assetare il suo caso che altrove».
Il 9 giugno l'armata passava sovra Savona, e il 28 dello stesso mese il doge Antoniotto Adorno scriveva a Francesco de Tausignano, residente a Milano: «E'
arrivata una fregata di quelle andarono cum l'armata cesarea cum la quale habbiamo lettere del signor Viceré et dal locotenente delle nostre galere per le quale
siamo certificati che arrivorono a Pallamon alli 16 del presente di dove partivano alli 17 la sera per andar a Barzellona et dalla ditta città andariano al porto di
Salò, dove aspectariano ordine dall'Imperatore dell'imbarcare del re di Franza. L'armata costegiò la Provenza per fin alle Giare di Marsiglia poi le lassorono a la
volta di Capo di Croce et presero terra a Cadaquez. In tutti li lochi della Provenza furon ben visti et accareziati. A Marsiglia il signor Viceré mise in terra il
Malvigino suo maiordomo il quale mandò a l'Imperatore in diligenza».
Uno storico diligente al 1525 così racconta la partenza da Portofino: «Stava ognuno ansiosamente attendendo che cosa fossero per disporre gli Imperiali
vincitori del Re di Francia. Quando essendosi primieramente sparsa voce che doveva essere condotto a Napoli, per essere ivi
custodito nel Castelnuovo, tutto ad un tratto cambiata risoluzione fu onoratamente menato in Spagna da D. Carlo di Lanoia, che avendolo prima con le galere di
Spagna trasportato da Genova a Portofino nella riviera di Levante, aspettò ivi altre galere e vascelli italiani, ai quali di comune concerto per maggior decoro
nella persona reale, si aggiunsero sei galere di Francia tutte coperte a bruno per la fresca morte della regina madama Claudia, moglie del re Francesco, quali tutte
furono riempite di soldati spagnuoli scelti dalle migliori compagnie
Dunque con sedici galere di Spagna e sei di Francia imbarcossi il re li 17 di giugno a
Savona, dove era stato condotto da Portofino, entrò di passaggio nel porto di Villafranca ed ivi vennero a condolersi seco gli officiali del duca ed i sindaci della
citta di Nizza, che a nome pubblico gli presentarono un bel regalo di diversi rinfrescamenti
». A Villafranca giunse il 10 giugno, di dove il Lanoy
scriveva di condurre il prigioniero in Spagna. Il giorno 17 annunzia il suo arrivo a Palamo e l'espressioni della lettera dimostrano che l'idea di questo viaggio
era nata nel solo Viceré.
Una tradizione non mai interrotta ci racconta che Francesco I fu prigioniero alla Cervara.
La Cervara! Strana evoluzione dei tempi c delle cose! I Certosini, che han preso testé possesso della Cervara, non han fatto che tradurre in atto un antico
desiderio. Infatti una delle prime pergamene dell'Archivio di Stato ci dà contezza che il 14 agosto del 1340 Guglielmo e Lanfranco De Amicis da Portofino vendono al
priore della Certosa di Rivarolo una terra, posta in territorio
Cervarie, confinante colle terre di Pietro Marchese, e che il loro padre aveva acquistato il 3 febbraio 1275 dai coniugi Sibillina ed Enrico de Cervaria. Nel
1346 venivano poste nelle Compcre del Comune L. 300, i cui frutti venissero percepiti dai Certosini di Rivarolo quandocumque hedificaretur et costrueretur aliud
monasterium dicti ordinis in loco ubi dicitur Cervaria de Portuphino.
La pia disposizione del donatore non venne eseguita, giacché ai Certosini di Rivarolo fu impossibile innalzare il nuovo cenobio alla Cervara, onde il 18 marzo
del 1360 il Capitolo generale dei Certosini di Firenze concedeva al priore della Certosa di Rivarolo di vendere i beni della Cervara, erogando l'introito in
possessionem magis utilem. I beni furono acquistati il 5 giugno del 1361 dal sacerdote Lanfranco di Ottone, cappellano di S. Stefano e della cattedrale di
Genova. Egli fu il benemerito fondatore, cui il 17 agosto 1361 l'arcivescovo Guido Scetten (che il Petrarca chiamava mio Guido) dal palazzo di San Silvestro
dava licenza di edificare un monastero, coll'obbligo di offrire annualmente tre libbre di cera ai canonici di S. Lorenzo, e altrettante all'arcivescovo di Genova
pro tempore. Il 26 agosto dello stesso anno il pavese Lanfranco Sacco, abate di S. Siro e poi arcivescovo di Genova, poneva la prima pietra del novello
monastero, nel quale il 10 ottobre faceva professione il primo benedettino cassinense, e il 18 ottobre cantava la prima messa l'arcivescovo Scetten. Chiesa e
monastero furono del tutto compiuti il 12 agosto del 1364, e il 20 novembre del 1367 veniva in essa sepolto l'arcivescovo Scetten, l'intimo amico del cantore di
Laura.
La storia del monastero, tessuta dal P. Spinola, è la più bella che immaginar si possa e che non potrebbe desiderarsi migliore, giacché l'autore si addimostra
seguace del metodo muratoriano, corroborando ogni cosa con i documenti. In detta opera poi sono riferiti i versi, composti nel 1376, allorché il pontefice Gregorio
XI, reduce da Avignone e da Genova, avviandosi a Roma, celebrò la festa d'Ognisanti alla Cervara, accompagnato dai cardinali Bartolomeo de Prignano (poi papa Urbano
VI) e Pietro de Luna (antipapa Benedetto XII). Hanno pure posto onorevole le lettere, che S. Caterina da Siena indirizzò al priore e monaci della Cervara, e i cento
distici, che nel 1501 l'Anonimo poeta cervariense compose intorno ai fatti più cospicui del monastero.
Quel rifugio solitario di monaci là dove il silenzio è interrotto dalle salmodie e dall'onde, che s'infrangono nei massi di pudinga terziaria, levò tale grido
da oltrepassare non solo la chiostra dei monti, che pare lo minaccino, e l'immensità del mare, che al suo sguardo si stende, ma da pervadere altresì l'uno e l'altro
capo d'Italia.
Ha fondamento di prove la leggenda della prigionia di Francesco I alla Cervara?
Una piccola stanza è additata tuttora come il soggiorno del regio prigioniero e vi si leggono i versi:
Scrive Francesco Accinelli che il re di Francia fu portato in Portofino alla Cervara probabilmente per aspettare che venissero le sei galere guarnite di milizia e
d'uffiziali spagnoli che il consiglio di Francia aveva accordato pel trasporto del re in Spagna.
Frate Diego Maria Argiroffo, che scriveva nel 1794, dice che Francesco I «fu condotto a Genova di quivi a Portofino alla Cervara, indi in Madrid».
Il Padre Spinola, che scriveva nel 1796 afferma che Francesco I «condotto alla Cervara è tradizione che fosse posto in una stanza fondata sopra alti
scogli quasi perpendicolari col mare situata in un angolo dell'orto del monastero sotto le finestre de' religiosi. Questa stanza che ancora oggidì sussiste si
chiama comunemente la prigione di Francesco I. Sopra di essa evvi un terrazzo o loggia scoperta, credono alcuni che da questo luogo si ascendesse dal mare al
monistero ne' tempi antichi, ma non si vede alcun vestigio che lo comprovi. Avea il Re per suo consigliero ed elemosiniere D. Agostino Grimaldi figlio di Lamberto
de' principi di Monaco, abate dell'antico e celebre monastero di S. Onorato di Lerino dell'ordine di S. Benedetto, vescovo di Grasse in Provenza. Egli forse se pure
si trovò presente a queste sfortune del suo sovrano esortò il Lanoya a portare il re alla Cervara. Il motivo di portare questo monarca più tosto in quella stanza
che in quella della foresteria nel monastero è del tutto verosimile che sia stata la causa della peste che faceva gran danni nel genovesato
Siedé il Re anche
in Portofino essendo ivi costante la tradizione che sia stato in casa dei signori Costa».
Il Canale racconta che nel viaggio poteva Andrea D'Oria assalirlo e che una maggiore dimora in Genova poteva eccitare a rivoluzione il popolo inimicissimo degli
Spagnoli, di guisa che deliberossi di recare Francesco a Napoli, e, imbarcatolo, il Viceré lo trasse nel luogo di Portofino «dove alcuni giorni si riposò nel
monastero di San Gerolamo della Cervara».
E' degno pur di nota che la badia della Cervara era governata da un suddito del Lanoy, dal priore frate Andrea da Napoli.
Il Canale aggiunge che da cronache di detto monastero risulta che un frà Placido della famiglia dei Fregoso, monaco della Cervara, commosso a tanta calamità,
lusingò il re della sua liberazione, appiccando corrispondenza di lettere con Paolo Bulgaro de Franchi in Genova, che prometteva di avvertirne Andrea D'Oria, il
quale avrebbe di cheto colle sue galee navigato a Portofino e tentato di levarlo sopra di quelle e salvarlo. Raccomandava soltanto che Francesco, prendendo qualche
onesta cagione, si trattenesse alcuni giorni colà, giacché queste cose per essere diligentemente eseguite abbisognavano di un po' di tempo.
Noi non abbiamo difficoltà a credere che durante gli otto giorni di sosta in Portofino (1-8 giugno) re Francesco dalla flottiglia, ove lo vedemmo il giorno 3
ricevere la visita del cardinale Ercole Gonzaga, sia disceso per alcuni giorni alla Cervara, tanto più che le notizie, che correvano circa la venuta dei Mori
(l'anello regalato al sultano avea ottenuto buon esito) e lo scorazzare di Andrea D'Oria, i quali tutti volevano torre il re prigioniero dalle mani degli Spagnoli,
impensierivano talmente che era più consono per ragioni di sicurezza da Portofino allogare il prigioniero in dimora più appartata, mentre all'imboccatura del seno
portofinese stava a scolta la flottiglia agli ordini del Viceré.
Arrogi poi che nel castello di Portofino, «le muraglie erano diroccate e il luogo dalla banda di terra assai aperto» tanto che nel 1526 all'armata
dei collegati, allestita per rimettere Genova sotto la clientela del re di Francia, riuscì facile impadronirsi di Portofino, ove «per l'importanza di quel
seno» Andrea D'Oria, ammiraglio della flottiglia, pose di presidio Filippino Fiesco con 500 fanti, ordinando che si fortificasse di trincee e bastioni con
terra e fascine.
Andrea D'Oria adunque dovea essere necessariamente il primo spauracchio del Lanoy, durante la sua dimora a Portofino, giacché «résolut de le délivrer dans
la trajet que la flotte impériale, portant son royal captif, ferait par mer en se rendent à Barcelone. Posté au îles d'Hyères, il avait l'intention de les
quitter, de se mêler aux navires espagnols à la faveur de la nuit, de fondre sur la galère amirale et d'en arracher l'illustre prisonnier. Outre que Sigonius
nons mentionne le fait, nous trouvons la trace du projet qu'avait formé André Doria dans les Commentaire de Montluc. Quand le roi, dit-il, fut prins prisounier à la
bataille de Pavie, et que lon le menoit par mer en Espaigne, André Dorie s'en alla au-devant des gallères, qui le portoient, pour le combattre, et leur oster le
roy. Ce qu'il eust faict, et eust mis tout en hasart; mais le roy l'envoya prier de ne le faire point; car, s'il le faisoit, il estoit mort. Et deja lon lui avoit
annoncé de le faire mourir, si André Doria se présentoit pour le combattre».
Che poi si macchinasse continuamente di liberare il prigioniero risulta pure dai Documents relatifs aux projets d'évasion de François I, prisonnier à
Madrid. Al Lanov riuscì facile condurre il prigioniero da Portofino a Madrid giacché per accomodar ogni cosa gli avea fatto balenare l'idea di sposare Eleonora,
sorella di Carlo V, e già promessa al traditore connestabile di Borbone.
L'idea di trasportare il re da Portofino in Spagna non fu comunicata ufficialmente a nessuno, per i timori sovraccennati. Anche Teseo Alfani nelle sue
Memorie Perugine scrive «si dice certo che il re di Francia quale era stato prigione tre mesi in circa in Pizzichettone, è stato menato prigione per
mare a Napoli». Soltanto l'oratore di Roma scriveva alla veneta Signoria, in data 10 giugno 1525, che il pontefice gli avea detto che il re veniva condotto
non a Napoli, ma in Spagna, «et questo sia secretissimo», e lo stesso giorno l'orator di Milano scriveva che l'andata del re Cristianissimo non procede
da Carlo V, ma bensì di volere del Viceré.
Il viceré avea chiesto scusa al pontefice e ai principi per non aver comunicata la notizia; si trovò anche la scusa che a Napoli era mala saxon di aere.
L'idea poi di traspostare il re prigioniero in Spagna anziché a Napoli nacque certamente al Lanoy, mentre trovavasi a Portofino, tanto è vero che il Robertson ci fa
sapere che il re venne condotto alla volta di Genova sotto pretesto di trasportarlo a Napoli, ma ben tosto fu dato ordine di far vela verso la Spagna.
Avea ragione Margherita di Brabante, la soave sorella di Francesco I, a scrivere:
Naturalmente poi se Francesco I stette alcuni giorni alla Cervara, non vi godette quella libertà, che gli fu concessa nel castello di Pizzighettone, «ubi
libertate excepta summa diligentia custodiebatur in ceteris omnibus regio more honorique afficiebatur», giacché i tempi erano mutati.
Di recente un rapallese, riferendo i quattro versi dell'epigrafe, accennanti la prigionia di Francesco I alla Cervara, si domanda:
«Innanzi tutto: la Cervara è veramente monumento storico? Vediamolo. La leggenda - e dico leggenda perché lo storico non precisa - vuole che il vinto di
Pavia, dopo l'infausta giornata del 25 febbraio 1525, prigioniero di Carlo V di Spagna, sostasse alla Cervara, mentre si dirigeva alla captività del castello di
Madrid
Per conto mio, io metto in dubbio l'asserto di questa epigrafe. Francesco I prima di tutto era Re di Francia e, quantunque prigioniero avea diritto a
ben altro trattamento; né i tempi, né le persone potevano avere punti di contatto con la barbarie, con Alboino o con Attila. Per cui, se Francesco I avrà sostato
alla Cervara, si avrà avuto miglior trattamento di questa stanzetta che mi ha tutta l'aria d'una vera colombaia».
Con buona pace dell'egregio scrittore, il quale desiderava pure che un'autorità in materia gli affermasse il «valore storico» della Cervara, e noi
l'abbiam fatto, senza reputarci autorità, dobbiamo dire che la «colombaia», chiamiamola pure in tal modo, che accolse il re prigioniero, era una reggia
sontuosa in confronto di quella, che dopo la Cervara l'accolse a Madrid. Quest'ultima «c'était une chambre dans une tour des fortifications. Petite, horrible
cage, avec une seule porte, une seule fenêtre à double grille de fer, scellée au mur des quatre cô:tés. La fenêtre etant haute du côté de la
chambre, il faut monter pour voir le paysage, l'aride bord du Mançanarez; sous la fenêtre un abîme de cent pieds, au fond duquel deux bataillons
faisaient la garde jour et nuit».
Francesco I, eterno cuntactor, fu paziente e fine nella sua prigionia della Cervara, come ben l'attestano i versi della sorella Margherita, la quale
scriveva:
Della venuta di Francesco I a Portofino e alla Cervara tace, né sappiamo allegare una giusta scusa, l'annalista Mons. Agostino Giustiniani, il quale testimone di
veduta, avrebbe dovuto regalarci copiosi particolari, mentre invece si limita a dire che «il Re fu fatto prigioniero e menato nel castello di Picighitone e
detenuto in quello insino al mese di maggio che fu menato in Genova prigione e da Genova in Spagna».
Nella corrispondenza di Spagna, che conservasi al nostro Archivio di Stato, trovansi soltanto alcune lettere dell'ambasciatore Martino Centurione, una scritta
da Madrid il 23 marzo, e due del 7 maggio e 7 ottobre, scritte da Toledo, e non danno cenno alcuno di Francesco I e della sua prigionia.
Dalla ricca miniera di documenti del predetto Archivio ricaviamo soltanto che il 29 giugno del 1525 il doge Antoniotto Adorno e i Senatori della genovese
Signoria consegnavano all'ambasciatore eletto a presentarsi al cospetto di Carlo V un memoriale, portante la proposta di acrescere la flotta spagnola con navi
genovesi, a patto però di ottenere in compenso dalla Spagna salme 40000 di grano di Sicilia, e nello stesso tempo facevano la debita rimostranza per i danni
cagionati dall'insolenza dei soldati spagnoli, quando Francesco I da Genova si era imbarcato per Portofino, danni ed insolenza, di cui diffusamente discorre il
Canale. Il 21 luglio Carlo V da Toledo con lettera cortese scritta al doge Antoniotto Adorno deplorava è vero l'insolenza spagnola, ma in quei ducati 80000, rimessi
dal re a Genova per lettera di cambio, per pagare l'esercito suo, non era ancor compreso il risarcimento dei danni passati, e solo si ebbero 3300 scudi in tante
tratte di grano di Sicilia, i quali dal governo imperiale si estorsero poscia al console genovese, quando Genova ricadde sotto il dominio francese.
Prima d'ammainare le vele volgo ancora un pensiero a Portofino e alla Cervara, e non posso che deplorare che nello svolgersi delle lotte tra Francesco I e Carlo
V gli storici genovesi non abbiano tenuto quasi mai conto di questi due lembi del golfo tigullio, che formano ora la meta di escursione di tanti forestieri.
La prigionia di Francesco I a Portofino e alla Cervara fece meglio conoscere le due località presso i francesi, e furono negli anni successivi il teatro di
importanti avvenimenti.