Durante i miei dodici mesi di permanenza a Genova
Questo libro è una serie di riflessioni sfumate - semplici ombre nell'acqua - di luoghi verso i quali
l'immaginazione della maggior parte delle persone è attratta in misura maggiore o minore, sui quali la mia aveva fantasticato per anni, e che hanno un certo
interesse per tutti. La maggior parte delle descrizioni sono state scritte sul posto e spedite a casa, di tanto in tanto, in lettere private.
Mio buon amico, era una bella domenica mattina di mezza estate, nel 1844, quando - non allarmarti; non quando si sarebbero potuti osservare due viaggiatori farsi
lentamente strada su quel terreno pittoresco e accidentato che in genere affronta il primo capitolo di un romanzo medioevale – ma
quando si vede una carrozza da viaggio inglese di notevoli dimensioni, fresca dalle sale ombrose del Pantechnicon vicino a Belgrave-square, Londra, uscire dal
cancello dell'Hotel Meurice in Rue Rivoli a Parigi.
A Roma passando da Pisa e Siena
Per me non c'è niente, in Italia, più bello della litoranea tra Genova e Spezia. Da un lato: a volte molto in basso, a volte quasi a livello della strada,
spesso costeggiato da rocce di forme disparate, c'è il mare azzurro aperto, con qua e là una pittoresche feluche che scivolano lentamente; dall'altra parte vi sono
alte colline, burroni cosparsi di casette bianche, macchie di oscuri boschi di ulivi, chiese campestri con i loro esili campanili, case di campagna allegramente
dipinte.
Su ogni sponda e collinetta lungo la strada il cactus e l'aloe selvatici fioriscono in esuberante profusione e si vedono lungo la strada i giardini dei villaggi
pieni di luce, che arrossiscono d'estate con grappoli di Belladonna, e profumano in autunno e inverno con arance dorate e limoni.
Alcuni borghi sono abitati quasi esclusivamente da pescatori ed è piacevole vedere le loro grandi barche issate sulla spiaggia che fanno piccole chiazze d'ombra
dove riposano; dove donne e bambini siedono a giocare e guardano il mare, mentre i pescatori riparano le reti sulla riva.
C'è un paese, Camogli, col suo porticciolo sul mare; centinaia di piedi sotto la strada, dove vivono famiglie di marinai che, da tempo immemorabile, possiedono
navi per cabotaggio e commerciano con la Spagna e altrove.
Visto dalla strada in alto è come un minuscolo plastico che risplende al sole, sul bordo dell'acqua increspata.
Scesi all'interno del paese percorrendo tortuose mulattiere, è la perfetta miniatura di un primitivo borgo marinaro: il posto più salato, più aspro e più
piratesco che sia mai stato visto. Grandi anelli di ferro arrugginito e catene di ormeggio, argani e frammenti di vecchi alberi e pennoni ingombrano la strada;
teloni delle barche contro il maltempo e abiti da marinaio svolazzano nel piccolo porto o sono stesi ad asciugare sulle pietre soleggiate; sul parapetto del rozzo
molo dormono alcuni tipi dall'aspetto incerto, con le gambe penzoloni oltre il muro, come se terra e acqua fossero tutt'uno per loro, e se cadessero dentro
galleggerebbero via, sonnecchiando comodamente tra i pesci; la chiesa è luminosa, con trofei marini e offerte votive, in memoria dello scampato pericolo della
tempesta e del naufragio.
Si accede alle abitazioni più distanti dal porto attraverso basse arcate cieche, per gradini sbilenchi, come se con l'oscurità e la difficoltà d'accesso fossero
stive di navi, o scomode cabine sott'acqua; e dappertutto c'è odore di pesce, di alghe e di vecchi cordami.
La litoranea dalla quale si scorge in basso Camogli è famosa, nella bella stagione, specialmente in alcune zone nei pressi di Genova, per le lucciole.
Camminando lì in una notte buia ho visto un firmamento scintillante di questi bellissimi insetti, tanto che le stelle lontane erano pallide rispetto al bagliore e
allo scintillio che usciva da ogni bosco di ulivi e dal fianco della collina, e pervadeva l'aria intera.
Però non fu in tale stagione che percorremmo questa strada diretti a Roma. La metà di gennaio era appena passata e c'era un tempo molto cupo e molto umido.
Attraversando il bel passo del Bracco incontrammo una tale tempesta di nebbia e pioggia, che viaggiammo in una nuvola per tutto il tragitto. Potrebbe non essere
esistito il Mediterraneo, per quello che vedemmo, tranne quando un'improvvisa folata di vento, diradando la nebbia per un momento, ha mostrato il mare agitato
molto in basso che sferzava le rocce lontane e sputava furiosamente la sua schiuma. La pioggia era incessante, tutti i ruscelli e i torrenti erano gonfi. In vita
mia non ho mai sentito un simile ruggito e fragore assordanti dell'acqua.