Il Mare – 26 marzo 1955
Ricordi di ieri – Pensieri di oggi
Il giorno 28 corr. ricorre il primo [nel 2023 è il 69°] della morte del prof. Attilio Regolo Scarsella.
Nella certezza che Santa Margherita Ligure saprà ricordare degnamente questo suo grande figlio, desideriamo onorare ancora una volta il sommo educatore,
attraverso il pensiero di uno dei suoi allievi prediletti (n.d.r.)
Attilio Regolo Scarsella: a chi più di me lo ha amato lo ha conosciuto e da lui ha appreso, venia che penna sì modesta venga ad intingersi nel ricordo per
rievocarlo!
Il dolore immediato per tanta dipartita ci aveva prostrati nel silenzio; ora la moltitudine dei sentimenti ch'essa ha in noi sollevati si ricompone e sentiamo
di dovere dar loro uno sfogo.
Ma come saper parlare di lui, noi riconoscenti sempre della sua autorità?
Di lui che con pazienza conservava annotati acciocché non v'incorressimo, innumerevoli errori che altri con troppa risolutezza avevano dati alla stampa?
Per i più, la sua figura era ed è rimasta quella del «Direttore», di quell'uomo tenace e seriamente severo ch'essi sui banchi della Scuola
Commerciale avevano ben conosciuto: una tenacia che gli permise di aprire in S. Margherita una Scuola tra le più stimate del tempo: una severità che fece dei suoi
allievi uomini colti, laboriosi, onorati. Quando io lo avvicinai, lui, per una dolorosa caduta, per l'età avanzata e per l'amarezza procuratagli da certe pubbliche
disposizioni nei riguardi di quella che considerava pur sempre la sua scuola, già s'era reso solitario e impareggiabile ministro di quel tempio di libri, d'opere
d'arte e di cimeli che fu la sua casa in S. Siro. La sua opera di educatore esemplare continuava tuttavia indefessa: dalle ore nove del mattino sino al buio della
sera, i giovani s'avvicendavano al suo tavolo per imparare e far tesoro della sua ordinata e illuminata sapienza: a tutti la porgeva, con bonomia, con pazienza, con
amore.
Dai più esigenti studenti d'università ai ragazzi della «Medie», coloro che hanno avuto tal bene, non potranno mai più dimenticarlo!
Di che cosa non sapeva? Di Italiano, di Latino, di Greco, di Francese, di Tedesco, di Inglese, di Spagnuolo perfettamente conosceva grammatica e sintassi e la
letteratura; e di Storia, di Filosofia, di Arte, di Diritto, di Scienze naturali esponeva le versioni più chiare che Maestro possa dare.
Allorché gli chiesi del perché mai avesse voluto por mano a un'opera di più ambiziosi propositi e di maggior rinomanza di quelle compiute, lui cui non mancava
certamente l'ingegno e la scienza, sorridendo mi fece argutamente notare con Giovenale, che già «tenet insanabile multos scribendi cacoethes».
Andrea Piola, uno dei suoi più cari e degni discepoli, testé Ordinario di diritto Ecclesiastico nella Università di Genova, discorrendo della importanza
dell'insegnamento da lui ricevuto e di quanto valore sarebbe l'averne redatto il contenuto, commentò: «è un vero signore della cultura!». Alla mia
inestinguibile memoria dell'Uomo, sian permesse queste ricordanze quale atto modesto di devozione a chi per tanti fu lo Duca, lo Signore, lo Maestro!.
Non o udii lamentarsi che delle leggerezze di coloro ch'erano responsabili della vita di molti: delle sue pene, delle sue sofferenze non faceva verbo con
chicchessia. Mezz'ora avanti della morte, scese dal letto per avvertire senza rumore del suo malore la donna che lo assisteva, temendo di disturbare chiamandola, il
sonno dei vicini.
Dieci anni or sono, andato a visitarlo nella Clinica «Bertani» (provvisoriamente in Rapallo) dov'era ricoverato per un intervento chirurgico, lo
trovai assai abbattuto e col respiro affannoso; accennò a voler parlarmi: era solo e attendevo avesse a chiedermi qualcosa per trarne sollievo; con voce senza tono,
mi disse: «Se ci metto una pezza, tra gli altri il primo a riprendere le mie lezioni, sarai tu!». Ricordo che mentre la commozione mi serrava la gola,
quasi lo abbracciai, senza poter profferir protesta a tal sua preoccupazione. Tornando a passo lesto a S. Margherita, non potevo trattenere le lacrime: di quale
esempio ero stato testimone e qual perdita già allora avremmo subita! Per grazia di Dio si ristabilì in forze e ancora lo avemmo caro per anni.
Quando in un nuvoloso mattino del periodo bellico cadde la prima bomba su S. Margherita, si stava seduti nel suo studio; sul suo viso non intravvidi spavento:
solo vi si leggeva il dolore pel dilaniarsi della terra che nessuno come lui ha tanto amata. Mi fece pregare con sé.
In occasione delle ultime pubbliche elezioni lo accompagnai alla vicina Sezione: fu quella l'ultima volta ch'egli scesi in istrada. Sul cammino incontrammo un
gruppo di attivisti scalmanati; richiamato dal loro concitato discorrere, si fermò e a me che gli stavo accanto disse: «Ah la libertà! Qual grande dono! Ma
ricordati, nulla è più funesto d'una grande idea nelle teste piccole!».
Lo scopo della sua biblioteca fummo tutti noi, l'adoprò a nostro vantaggio e di tutto fece per insegnarcene il contenuto: vediamo di non dimenticarci di onorare
degnamente questo ultimo Cavaliere del più bell'Ordine scomparso: quello della Sapienza unita alla Modestia!
Ma di questo suo senso della modestia, taluni alla sua morte furono cattivi interpreti allorché pensarono ad essa coerente l'indire modeste le onoranze funebri
e la pubblica commemorazione. Ricordiamo che se per sé aveva di suo pugno scritto in greco, accanto alla porta della sua abitazione, invito a non disturbarlo, era
comunque pronto a plaudire ogni qualvolta era fatto qualcosa affinché il popolo venisse richiamato a meditare sui valori dello spirito.
Quando mi pose in mano un libro che recentemente l'autore, il più celebre dei suoi allievi, V. G. Rossi gli aveva donato, non fu perché io notassi la
significativa dedica che il Rossi vi aveva apposto: «A chi sempre volò sulle Vostr'ali», ma perché pur io partecipassi alla soddisfazione che grande
egli provava nel constatare l'operosità coronata dal successo di chi da lui non poco aveva appreso.
E ancora, trovandomi a leggere a lui dinanzi, il canto quarto dell'Inferno dantesco, mi soffermai maravigliato sul contenuto del verso 93: «fannomi onore,
e di ciò fanno bene»: sotto il «fanno bene» vedo ancor oggi sul mio libro il segno della sua matita; e non soltanto così volle sottolinearlo, ma
tante volte mi ripeté 'sto verso fino a convincermi trattarsi non della doverosità di applaudire ad un uomo, bensì della doverosità di applaudire in lui all'arte
sua.
Termino, citando i due passi finali dei suoi «Annali di S. Margherita Ligure» e della pur sua raccolta di «Iscrizioni».
«E qui finisce la storia di S. Margherita Ligure. Non dico questa scritta da me in forma di annali; e nemmeno quella che, come successione di fatti, ha
continuato a svolgersi dopo la guerra, e continuerà finché uomini ci saranno in questo triangolo di terra che tiene il vertice sopra S. Lorenzo e, dei due angoli
opposti, l'uno in Pagana e l'altro a Paraggi. Intendo la storia di quella che fu la S. Margherita dei Margheritesi, per la quale accade ora quello che, si licet
exemplis in parvo grandibus uti, accadde per Roma quando, con la dissoluzione dell'Impero e le invasioni dei Barbari, ebbe fine la storia di Roma antica e cominciò
quella di Roma medioevale. Il cambiamento per S. Margherita si era primamente manifestato nella seconda metà del secolo scorso, allorché da una parte, per il
continuo incremento dell'emigrazione, un numero sempre maggiore di Margheritesi lasciava la patria, e molti di loro finiva che si stabilivano in America; dall'altra
i lavori della ferrovia, prima, e, poi dopo, quelli del doppio binario richiamavano molti operai che, a lavori finiti, restavano qui occupati in altri lavori e
accasati. Pure questi nuovi elementi la popolazione indigena aveva potuto incorporarli e dar loro i proprii caratteri; e sopratutto aveva conservato in sue mani il
governo della cosa pubblica. Ma a cominciare dalla grande guerra non è più così. Mentre che quella dura, la nostra gioventù è al fronte, e qui nell'ospedale della
Croce Rossa stanno in cura nostri fratelli di tutte le altre regioni, e un intero quartiere della città è occupato da profughi friulani, e il Corso Umberto è invaso
da reclute di altri paesi, che si preparano. Finita la guerra, è tutto cambiato. La straordinaria facilità dei mezzi di comunicazione, avvicinando Santa Margherita
a venticinque minuti da Genova, ne fa un borgo elegante di questa, e la qualità di stazione climatica, che prima, nel concerto della sua vita, era una nota
accessoria, ne diventa il motivo dominante. Da indi innanzi è un'invasione di gente che no sono del nostro golfo, e moltissimi non sono liguri, e qualcuno nemmeno
italiano. Sono scrittori e artisti qui venuti per godere le ispiratrici bellezze del sito; industriali, banchieri, arricchiti di guerra, che, ossequienti alla moda,
vogliono la villa in riviera; vecchi impiegati in pensione, ufficiali dell'esercito in congedo, professionisti ritirati dagli affari, che cercano un comodo e
piacevole riposo; albergatori, negozianti grossi e piccini, accorsi a sfruttare i doni del paesaggio e del clima; e poi la turba dei lavoratori avventizi: e infine
il manipolo degli avventurieri d'ogni specie in caccia d'affari purchessia. Con costoro non più soltanto la massa del popolo s'è alterata, ma si trasforma la
classe dirigente. Una nuova storia di Santa Margherita comincia. La storia di essa, in quanto sede di quel gruppo di Liguri Tigullii che, in età preistorica, era
venuto primo ad abitare queste terre, e da esse aveva tratto le sue note caratteristiche, e ad esse aveva dato col lavoro ostinato e paziente l'impronta del suo
genio, la storia di Santa Margherita intesa in questo senso finisce qui».
Nell'ultima pagina delle sue «Iscrizioni», sceglie per la sua epigrafe, brevi versi di Shelley:
e conclude:
«Questa è per me; così come sta. Bastino al nome le nude iniziali; alla lode un verso non intelligibile ai più. Tanto, sian pure e nome e lode scolpiti
nel marmo, a nulla giovano quando le opere sono scritte nella rena».
Ma noi che sappiamo che non cose, bensì legione di giovani hai amato, a te, caro e indimenticabile Maestro, diciamo: le tue opere non sono scritte nella rena:
esse sono e resteranno scritte nel cuore umano, in quello di tutti noi.
"La Gazzetta" ha già pubblicato il ricordo di Arturo Mencacci (4 giugno 2007), di Andrea Piola (5 novembre 2012), di Alberto Broglia (28 marzo 2014) e di Ambro
Devoto (12 novembre 2017).
Al link che segue sono disponibili i suoi
«Annali».