"Heroines of Genoa and the Rivieras" di Edgcumbe Staley, 1911
Traduzione libera del Capitolo VII
Capitolo VII
La Riviera – Racconto della Riviera di Levante
La Liguria Orientale differisce in molti aspetti importanti dalla sua sorella Riviera [Occidentale, di ponente]; è terra di poeti, preti e artigiani; le
sue bellezze naturali sono uniche. "Non c'è niente in Italia", scriveva Charles Dickens, "più bello della litoranea da Genova alla Spezia". Il racconto della
Riviera di Levante inizia ora in modo solenne con l'immagine decorata di S. Sebastiano portata in alto su spalle robuste, ora con passi cadenzati al ritmo piacevole
dei sonetti del Petrarca danzando nelle vigne.
"Mi meraviglio", scriveva l'amante di Laura1, "della serie di ammalianti bellezze di Genova. Nessun litorale è più bello. Il semplice
culto di Cerere nel suo dominio è assorbito nei riti mistici di Bacco. Il grande Falerno2 impallidisce il suo fiore e trattiene il suo
bouquet accanto al nettare più rubicondo di Monterosso e Coarniglia. Il frutto di Pallade baciato da Dio, dall'increspata baia sibarita di Luni, supera in dolcezza
e soddisfazione la potenza leggendaria e l'incanto del Pireo."
L'armonioso braccio sinistro di Genova è disteso lungo la costa rocciosa e afferra con dita sensibili punti importanti di bellezza naturale e di romanticismo
storico. Tra la punta del mignolo, intinta nel torrente Bisagno, e l'apertura del pollice sul golfo della Spezia - tutta l'estensione della sua impareggiabile mano
- si estende un panorama che fa appello a tutti i sensi.
ci troviamo nel bel mezzo di un paradiso di uliveti e limoneti. Borghi dall'aspetto caratteristico, arroccati su ogni altura, e casine - piccole
case bianche - fanno capolino civettuole attraverso i loro naturali veli di verde. Queste ultime sono le modeste dimore di operosi tessitori di sete e velluti, dove
molti antichi telai fabbricano ancora ottimi materiali. Ogni piccola dimora ha le sue viti, le sue zucche, i suoi fichi, le sue erbe, i suoi ortaggi, i suoi fiori e
le sue api. I contadini sono agiati e felici, perché non sono mai oziosi.
Il litorale della Riviera di Levante è del tutto diverso da quello della Riviera di Ponente. Su quest'ultima le montagne non sono state così invasive, né
il mare ha lasciato depositi così vasti di ghiaia. Come una bella donna, fatta solo per l'amore e l'adulazione, si stende il grazioso litorale, il seno dolcemente
ansimante della Corniche: mentre sua sorella, simile a una volpe, non cerca complimenti, ma presenta un rozzo litorale con l'audacia di una virago e l'astuzia di
una sirena. Ha lasciato ben poco spazio per uomini e animali, e in alcuni punti nemmeno quello, di conseguenza dobbiamo salire su precipizi frastagliati e morene
terminali, per poi guardare dall'alto in basso Nervi, Recco e gli altri paesi - ognuno una prigione allettante - dove non possiamo sgranchirci le gambe.
Camogli, vista dall'alto, è come un giocattolo modello ai margini di un oceano fatato, cotto e abbronzato dal sole. Scendendo con attenzione, passo dopo passo
lungo la tortuosa mulattiera, il paesino, finalmente raggiunto, è ancora in miniatura, un luogo primitivo – il più salmastro, rude e ingannevole che si possa
immaginare.
Gli uomini e le donne sono più o meno mostri marini; i primi per lo più sonnecchiano comodamente tra i pesci e le reti - le seconde si affaticano con grandi
recipienti d'acqua sulla testa e bambini infagottati sulla schiena, lavori a maglia tra le mani - le loro lingue - due per quella di un uomo! Eppure Camogli ha
avuto, forse ha ancora, i suoi ricordi - il nome è abbastanza suggestivo - "Casa Moglie" "La casa delle donne [mogli]"!
In un tempo lontano selvaggi uragani occidentali hanno sferzato con furia le onde del profondo mare blu e le hanno scagliate con tonfo fragoroso su quelle dure
rocce. Guai alla nave, grande o piccola, fuori dal porto e alla deriva prima della burrasca, con scarse possibilità di fuga per l'uomo o per chi si trova in quel
vicolo cieco, dietro la scellerata Punta della Chiappa, "Punta della Trappola"! La leggendaria grotta marina delle sirene vampire era sicuramente qui.
Perché questa romantica dimora di lupi di mare porti il nome "Camogli" è incerto; ma è certo che è una testimonianza di gesta nobili di donne nobili; i mariti
erano avventurieri ma le loro mogli erano soccorritrici. La fama del loro coraggio brillò di recente, nel 1855. La nave da guerra "Crœsus", diretta in Crimea
da Genova dove aveva imbarcato i rifornimenti, prese fuoco nei pressi di Camogli. I pescatori, avventurieri o no, si avviarono subito con le loro veloci
imbarcazioni in aiuto di coloro che erano a bordo della nave predestinata, cercando senza dubbio più un guadagno che una riconoscimento. Spinte dal fuoco la maggior
parte delle truppe trovò la tomba nel mare: i soccorritori erano impreparati per una simile catastrofe. Due donne coraggiose - le Grace
Darling3 di questi giorni - remarono con energia e volontà e, a loro merito, Maria e Caterina Avenga4, Fame ha
attribuito il salvataggio di venti soldati britannici. Ahimè! durante l'ultimo viaggio di andata e ritorno la barca si capovolse e la generosa Maria, la maggiore
delle due, affondò per non riemergere più.
Decine di corpi mutilati, insieme a quello di una donna coraggiosa, gettati dalla tempesta degli abissi sui ciottoli della spiaggia furono devotamente ricoperti
e portati al cimitero dell'abbazia per la sepoltura. Vi è sepolta anche Caterina Avenga; la sua tomba non è un monumento sfarzoso, ma una semplice lapide e un
tumulo erboso. Lei e sua madre dormono il sonno dei giusti, vegliate da Santa Maria delle Sette Stelle, mentre il relitto del "Crœsus" rimane sotto le
onde crudeli avvolto da alghe e crostacei.
Il promontorio peninsulare di Portofino, con la sua flora rigogliosa, è una "Petite Afrique", come dice la nomenclatura naturalistica. Il nome stesso, e
i nomi dei luoghi che vi si trovano, sono tutti indicativi di rigoglio e fascino. Sulla punta estrema delle rupi ricoperte di verzura sono i resti del Castello di
Pagi - "Castello della Soddisfazione"; San Fruttuoso - "Il Fruttuoso" o "Il Profittevole"; Cervara - "Il luogo dei cervi"; Silvanea - ''Rifugio agreste", sono tutti
significativi dei doni della Natura e dell'apprezzamento dell'uomo per essa. Anche il nome di molti elementi naturali sono pieni di poesia, fascino e grazia:
madra selva - caprifoglio; scarpette della Madonna - orchidee; fior del Paradiso - pervinca; pesce angelo - merluzzo; Regina del
mare - orata.Portofino è inoltre una Terrasanta in miniatura. Ogni sporgenza è dedicata alla soave Madonna con molti affettuosi attributi e ogni borgata è
intitolata a un santo - i
santi più frequenti: Sebastiano, l'Apollo cristiano; Caterina, la fanciulla studiosa; Margaret, la ragazza pescatrice; Nicola, dei marinai; Giorgio, campione di
virtù, e così via. Nel territorio di Portofino sono presenti più comunità e congregazioni religiose che in qualsiasi altra simile piccola zona, o almeno ciò che ne
rimane. Anche l'osservanza religiosa e le cerimonie conservano devozione ed effetto primitivi. Trovatori, Crociati, Flagellanti, imperatori, re, papi, statisti,
poeti e artisti hanno lasciato il segno a Portofino. E' stato, da tempo immemorabile, il campo di battaglia di forze opposte, la sede dell'apprendimento e il fulcro
del progresso umano. Questi vari influssi hanno lasciato segni indelebili sul territorio e sui suoi abitanti. Gli uomini sono valorosi nel combattimento, devoti
nella religione: le donne intraprendenti nei doveri domestici e fedeli.
San Giorgio ha la sua cappella vicino alla Punta, dove riposano le sue reliquie. Fu costruito dai pescatori di corallo nel 1154 ed è teatro ogni anno
della sua festa, della quale fa parte una delle processioni più belle e pittoresche che si possano vedere in tutta Italia. I Confratelli dell'Oratorio di
San Giorgio, il cui motto è "Modestia e Ubbidienza", controllano l'affluenza dei partecipanti. Da ogni paese e cascina escono fanciulle vestite di
azzurro, con il velo della Prima Comunione di lino bianco; giovani spose con gonne rosse e camicette bianche ricamate, con vivaci pezzotti in testa, e
signore anziane in severi abiti neri e collane di corallo rosso. Suore che cantano, nei diversi abiti conventuali, e schiere di fanciulli - si chiamano
"Luigiani", appartenenti alla "Congregazione di San Luigi di Gonzaga" – alzano le loro dolci voci in dialetto per inneggiare al Campione del loro
sesso. Gli adulti degli Oratori rivali - i Bianchi e i Neri - innalzano immensi crocifissi ed emblemi di santi. Alcuni di loro portano sulle spalle
sacri reliquiari d'argento, molto simili a quelli delle "Cassacce" di Genova. Sfilano alla meglio dentro e fuori dagli anfratti del sentiero roccioso,
attraverso vicoli tortuosi e su tratti di spiaggia sassosi aspra - un piccolo pellegrinaggio, come avevano fatto i loro antenati a imitazione delle grandi Crociate.
La festa si conclude al calar della notte con uno spettacolo di fuochi d'artificio e spari di cannone dalla sommità di San Martino - qualcosa simile alle
fiamme e ai fumi che eruttano dal feroce drago ucciso dal valoroso San Giorgio!
Per la festa di San Giorgio e anche d'estate cavallette, grilli e locuste si radunano a Portofino più che in altri luoghi, e in nessun posto il loro coro
stridulo è così rumoroso, tanto che soffoca la voce umana e tutti gli altri suoni della natura. I bambini adorano le cicale e costruiscono gabbiette di
giunco e salice in cui tenerle. Dicono che i loro movimenti rumorosi significano per le persone:
"Mietete il grano, andare al mulino,
Farete un panino,
Per me conservatene un pezzettino!5"
San Fruttuoso ha un primato sia storico, sia romantico. E' un agglomerato di case d'altri tempi - affrescate dall'arte dell'uomo e addolcite dalla mano del Tempo -
intorno a un piccolo santuario monastico, nella più pittoresca e nascosta insenatura, molto in fondo a quella catena rocciosa di precipizi spazzati dal vento e alle
caverne spazzate dal mare. D'inverno è accessibile solo via mare; in estate c'è un sentiero vertiginoso abbastanza sicuro per un piede umano agile. Il monastero
risale, si dice, all'anno 259, quando tre santi marinai - Fruttuoso, Augurio ed Eulogio - provenienti dalla lontana Spagna, approdarono su uno scoglio scosceso che
era stato indicato dalla Madonna. Il loro primo compito fu quello di uccidere un drago micidiale che si stendeva viscido in tutta quella splendida regione,
divorando ogni giorno una o due fanciulle, proprio come faceva suo fratello rettile nella lontana Cappadocia.
Un'orrenda tempesta - che soffocava col suo clamore i paurosi gemiti del mostro – spense il suo fiato e, dov'era la sua tana, gli atterriti ma coraggiosi
guerrieri cristiani scoprirono una sorgente d'acqua purissima; ma a difenderla c'erano tre grandi leoni ringhianti! Queste bestie, fortunatamente per i cacciatori,
li avvicinarono e si accovacciarono ai loro piedi, ciascuna custodita da una bella damigella, abbigliata nella più dignitosa e più semplice delle toilette, con
trecce le trecce splendenti dei capelli ramati. Che ne sia stato dei leoni, delle fanciulle e dei santi nessuno può dirlo: così spesso le leggende affascinanti si
interrompono quando più incantano!
Nel X secolo, forse nel 988, la grande imperatrice Adelaide, vedova di Ottone III, fece visita a San Fruttuoso e, insieme a una ricca donazione di terre e beni,
creò un fondo per la dote delle virtuose donzelle della penisola - probabilmente in devota memoria delle fanciulle a guardia dei leoni.
Apparve poi, un secolo dopo, un altro benefattore, il primo della sua famiglia ad arricchire San Fruttuoso, Martino Doria, suo abate e fondatore della Chiesa di
San Matteo a Genova. Nel XIII secolo la Chiesa di San Fruttuoso divenne luogo di sepoltura di quella orgogliosa casata nobiliare. Silenziose, portate in galee nere,
con fiaccole accese, sono venute le salme di Guglielmo, Niccolò, Ansaldo, Babilano, Egidio e molti altri nobili cittadini e ammiragli del mare genovesi. Andrea "il
Grande" costruì la Torre Doria per la difesa dai corsari e per la dignità dei suoi successori. Gli edifici sacri sono oggi poco più che rovine e gli scarsi abitanti
somigliano poco ai santi ed eroi, ma gli spiriti di un nobile passato covano ancora sopra i tetti bruni e tra le bianche punte dei castagni.
Il folklore e le pittoresche usanze di Portofino e dei suoi misteriosi confini sono pieni di interesse, come è prevedibile. Nel piccolo borgo di Portofino
viveva, anni e anni fa, una fanciulla i cui genitori non riuscivano ad aiutare; nessun corteggiatore chiedeva quella ragazza. Un giorno passò da quelle parti un
venditore ambulante di Rapallo, non molto attraente, ma onesto, non troppo esigente nei suoi amori. Il signor Giovanni gli offrì sua figlia, insieme a una bella
borsa di denari se Pietro la sposava subito. Per fortuna, o meglio per disgrazia, il compiacente sposo accettò l'offerta e lui e Margherita si sposarono. Molto
presto il marito scoprì di aver fatto un pessimo patto, poiché sua moglie trascurava la casa e veniva meno a tutti i doveri domestici e la rimproverò con veemenza.
Margherita prese a cuore gli aspri rimproveri, pianse e pregò. In quel momento sentì un pizzicore magico sulla punta delle dita e, in qualche modo, la pasta
gialla di mais o la farinata del suo povero menu quotidiano schizzò improvvisamente e si attorcigliò nelle sue mani che, quando cercò di rimuoverla, si coprirono
con una rete di delicato pizzo dorato! Non si sa quale fu l'incantesimo e quanto rimase meravigliata Margherita - forse continuò a lungo, finché Pietro fu costretto
a ritirare la sua cattiva opinione, mentre le sue tasche si riempivano dei profitti di quella miracolosa industria!
Si conferma che i contadini sono fatalisti. Se una ragazza fa un matrimonio infelice esclamano: "Era il suo destino!". Una sposa sapiente deve fare con
le proprie mani una camicia bianca per il suo uomo, per i suoi fratelli e per i suoi zii, e due per suo padre; questo è considerato come protezione da ferite, morsi
e punture. Se una lucciola si posa sulla mano di un uomo o di una ragazza fidanzata, viene presa come un sicuro segno di buona fortuna. Chiamano quel luccicante
piccolo insetto "ciæbella" - "adorabile portattrice di luce" - e i bambini cantano una bella canzone in rima:
"Ciæbella!
Vegne a basso:
Te daiò;
Un po' de siasso6!"
Tra i detti pittoreschi diffusi nella penisola di Portofino c'è quello relativo al gatto; se il micio siede soddisfatto a ronfare accanto al focolare, gli
abitanti commentano con soddisfazione: "fa le fusa!" "sta inviando un segnale", e cercano un colpo di fortuna per il domani. La Domenica delle Palme i
contadini portano in chiesa le uova dei bachi da seta ad ascoltare la "Passione"; questo per garantire bruchi sani e bozzoli grassi. Il Giovedì Santo, quando
tutte le campane risuonano ognuna per conto suo, i bambini si precipitano giù per le ripide gole fino alla costa infossata e si spruzzano l'un l'altro con l'acqua
di mare - segno che "l'acqua lava via tutti i mali". "Il Signore lo benedica" si dice la prima volta che si vede un neonato; viene ripetuto anche dai
visitatori di una casa nuova e, cosa più strana di tutte, le ragazze se lo ripetono quando si pettinano i capelli, la prima attività del mattino; si ignora che il
bambino può morire, la casa può crollare, la testa può diventare calva. La vista di un'immagine miracolosa, o di un quadro, o della recitazione di qualche storia
meravigliosa, suscita l'osservazione: "Io ci credo: ma poi chissà se è vero!" - "Ci credo, ma chi può dire se è vero!"
Poco distante da Portofino, raggiungibile con una comoda strada, è il celebre Monastero di San Gerolamo della Cervara. Fu fondato nel 1361 da Ottone Lanfranco,
un sacerdote genovese, con la condizione che fosse pagato un tributo annuo di tre libbre dalla migliore cera bianca al Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo, e
lo stesso importo all'Arcivescovo. Fu il grande amico del Petrarca, l'arcivescovo Settimo7, a imporre questo tributo ai religiosi di San
Gerolamo della Cervara. Spesso egli cercava la pace di quel bel chiostro e, probabilmente accompagnato dal suo compagno-poeta, entrava nello spirito della vera
solitudine. In "Africa" Petrarca esprime questo sentimento - la "pace della costa ligure":
"Ho sempre cercato una vita di solitudine,
Questo conosce queste rive, e ogni prato e bosco,
Per fuggire da quegli spiriti sordi e ciechi, via,
Chi, dalla purezza del Cielo, si è smarrito."
Santa Margherita, nella sua baia a forma di conchiglia, è il luogo più bello di tutta la Riviera di Levante e la sua gente è tra le più operose. Gli uomini sono
belli, ben fatti e molto forti; le donne sono belle e vigorose; i bambini, con i capelli e la pelle biondi, sono fate umane, veloci come gazzelle, allegri come
grilli. Tutti sono impegnati, anche i bambini appena svezzati. I pescatori di corallo forniscono modelli per le merlettaie; la produzione di formaggi e maccheroni
offre opportunità di lavoro per entambi i sessi e opportunità anche per il principe Cupido, il suo arco e le sue frecce!
Rapallo esiste da più di diciannove secoli, quando i selvaggi abitanti delle colline scesero per la prima volta e costruirono le loro capanne lungo la grande
Via Aurelia e furono alle prese con i legionari romani. Il paese, quando era cristiano, divenne feudo della Tiara Pontificia e rimase fedele alle tradizioni
guelfe. Le crociate spinsero Rapallo verso Genova; la sua gente assistette alla sconfitta di Pisa, al largo dell'isola ligure della Meloria, quando i suoi figli –
dicono cinquanta – lasciarono i loro cari e le mogli col cuore spezzato a piangere la loro morte prematura. Faide familiari insanguinarono poi le strade di Rapallo;
Fieschi, Grimaldi e i loro alleati combatterono fino all'ultimo Doria, Spinola, della Torre e Marchioni. I corsari si fecero beffe e massacrarono i Rapellesi: il
temuto Dragut - con cui la principessa Peretta Doria fece amicizia - saccheggiò il luogo nel 1549, oltraggiò le donne e rapì gli uomini come schiavi. Furono
compiute molte gesta eroiche. Bartolomeo Maggiocco, un giovane di diciassette anni, vedendo la carneficina e la brutalità lasciò la casa del padre e si precipitò
tra le file dei selvaggi armati, fino alla dimora della sua amata. Afferrò per mano la ragazza svenuta, la trascinò e la portò oltre la zona di pericolo, ricevendo,
mentre fuggiva, non uno ma molti colpi. Ahimè! anche la fanciulla fu colpita, mortalmente, ma Bartolommeo la portò in braccio fino alla vetta di Montallegro dove
morì. Bartolomeo scomparve: il corpo della ragazza ricevette sepoltura cristiana, ma quello del giovane potrebbe essere ovunque. La storia degli "Amori di
Bartolomeo e Angela" è raccontata su una lastra di marmo all'esterno del Santuario della Madonna.
Chiunque visiti Rapallo sale tra ricchi uliveti e sotto ombrosi lecci, sopra rocce friabili ed eriche profumate, fino al famoso santuario del quadro miracoloso
della Madonna del Monte. Il panorama, il più bello delle due riviere, è sufficiente a ripagare l'impresa anche se non si ama il romanticismo. Era il 2 luglio 1557
quando un povero ma onesto contadino, coltivatore della terra del paese di San Giacomo di Canevale, a otto miglia in linea d'aria da Rapallo, proprio al di là del
Monte Rosa, stanco della sua fatica, si addormentò in un angolo nascosto. Era la sua siesta pomeridiana e aveva recitato il suo "Angelus". Chiamato
improvvisamente per nome, Giovanni Chichizola ebbe una visione gloriosa della Madonna che così gli si rivolse: "Non temere, colei che tu vedi è la Madre di Cristo,
vai subito a Rapallo e mostra a tutti questa mia immagine, che do te, e ordina loro di prendersene cura, qui". Stupefatto, con timore e meraviglia, il povero uomo
pio era paralizzato, ma gridò ad alta voce per chiedere aiuto e i pastori corsero in suo aiuto. Videro Giovanni in ginocchio che piangeva davanti a un bel quadro e
al suo fianco un ruscelletto d'acqua cristallina, che nessuno aveva mai visto prima! Jacopo Fiesco era abate di Rapallo, da lui i contadini accorrevano e
raccontavano le loro storie. Con il suo crocifisso, il suo incensiere, il suo evangelista, uomini e donne a dozzine, salirono l'aspro fianco della montagna - tutti
cantando lungo il percorso. La storia di Giovanni ricevette attenzione e, con riverenza, la Sacra Immagine nella sua cornice d'oro fu avvolta in un velo di seta e
tutti bevvero la dolce acqua, mentre lasciavano cadere i loro rosari. Quella notte la Madonna fu custodita nella Canonica, in preparazione alla Messa di
santificazione all'indomani. Alle sei del mattino8 il buon sacerdote cercò invano il tesoro celeste - non si trovava da nessuna parte; ma,
mentre si stupiva, scendevano di corsa dalla strada ragazze e ragazzi che, con i loro parenti più anziani, avevano scalato la ripida salita per abbeverarsi al
miracoloso ruscello.
I ragazzi gridavano istericamente: "La Madonna è presso il ruscello!" Di sicuro, con quale mezzo nessuno lo sapeva, la preziosa icona era ancora una volta sul
luogo roccioso originale. Si svolse un'altra solenne processione per salvare il meraviglioso quadro, che fu portato a Rapallo con estatica devozione e posto
sull'altare maggiore della Parrocchiale di Santa Margherita di Pescino e ivi venerato. Scese la notte e spuntò il mattino, ma non si vide più alcuna immagine della
Madonna; era di nuovo nel suo posto preferito in cima al Monte Rosa! La volontà della Santa Madre non fu più messa in discussione e uomini, donne e bambini si
misero al lavoro con forza e volontà sulla vetta della montagna. Fu costruita la splendida chiesa che oggi costituisce un gradito faro per i pescatori in mare
aperto. Tra le sue sacre mura si legge, con l'aiuto di centinaia e centinaia di ex voto, la storia di quattrocento anni di Rapallo e del territorio circostante. A
luglio si tiene la festa della Madonna di Montallegro: è un pellegrinaggio famoso in tutte le parti della Riviera e dalla Toscana. Mentre gli anziani
assistono alla messa e recitano le litanie, i bambini cantano, come fanno a Natale:
"Voglia al caro genitore,
Conservar di vita il fiore
E alla Mamma, in sua bontà,
Sino e tarda e lunga età."
L'immagine "La Madonna di Montallegro" è appesa in ogni casolare intorno a Rapallo: davanti ad essa devote fanciulle mettono ogni giorno fiori freschi e non le
passano mai vicino senza un inchino e un segno di croce. In alto, sul soffitto del santuario montano, è un bel quadro dell'artista ligure Francesco Boero di
Rapallo, raffigurante angeli che trasportano sulle loro ali la Madonna sdraiata al suo santuario più amato. La sorgente miracolosa sgorga ora dall'altare maggiore e
la stessa immagine sacra è al sicuro nel tabernacolo. Inni e salmi semplici e cordiali salgono incessantemente dalle gole dei devoti adoratori e mescolano il loro
ritornello agli alleluia degli angeli dei cieli. Il manto azzurro stellato di Maria, "Regina del Cielo", avvolge il suo bel trono terreno sopra Rapallo - degna
Corte di sì dolce Sovrana - il più bel panorama di tutta la Liguria.
Rapallo e il suo contado erano famosi per l'eccellenza delle loro scuole elementari già nel XIII secolo. Medicina, chirurgia e filosofia erano scienze
coltivate dagli studenti più avanzati. I medici provenivano principalmente dai dintorni di San Fruttuoso e Camogli e un numero considerevole di esperti erano donne,
tanto che le "Medichesse di Rapallo" divennero famose nelle Corti e nelle Università straniere. "La Divina da Zoagli" era il titolo conferito nel XV
secolo ad una donna notevole - Donna Teodora Chichizola, probabilmente antenata del semplice Giovanni della Madonna di Montallegro. Nacque a Borzoli, a un miglio da
Zoagli, e conseguì il dottorato a Bologna, premiata anche a Padova. Suo maestro fu il Maestro Bartolomeo Della Torre di Rapallo, famoso scrittore di chirurgia e
ostetricia. La fama de "La Divina" giunse a Genova e fu chiamata ad assistere Battista Montaldo, figlio del Doge, che era febbriciante ed era stato ferito a Lodi
nel 1413. La cura ebbe successo e, oltre a un buon compenso, Sua Serenità concesse l'esenzione per la brava dottoressa e per i suoi discendenti dalle tasse
pubbliche. Il racconto non è mai lontano dagli studi seri e la storia, forse apocrifa, prosegue affermando che - come molti altri pazienti riconoscenti - il
convalescente Battista fece della sua sapiente e affascinante medichessa la maestra della sua casa!
La scienza della medicina, nel primo Rinascimento, comprendeva i misteriosi culti dell'alchimia e dell'astrologia. Interessata a entrambi, a Rapallo era Serena,
sorella del Maestro Giovanni Agostino Molfino: ottenne l'onorificenza di "Dottoressa" dalle autorità comunali. Nel 1438 la "Dr" Serena fu mandata a chiamare
a Genova per curare il Doge Antonio Campofregoso. Ottenne un grande successo e tornò a Rapallo con l'aggiunta del titolo di "Vaticinatrice" -
"Indovina". Sembra, dagli annali di famiglia del Doge, che la dottoressa esaminò le sue mani ed espresse il suo oroscopo, oltre a somministrare potenti
medicine con un beverone di rosmarino - "combinato con farmaci rari per la sua scienza".
Il Maestro Battista Darigo, suo istruttore, era fratello di maestro Giovanni, medico di corte di papa Giulio II, ed entrambi erano nativi di Rapallo. Rapallo
conserva ancora la sua fama medica, con il suo clima mite e la sua mancanza di polvere, e moltissimi alla ricerca di una cura per la propria salute vi accorrono a
beneficio della mente e del corpo. Molto probabilmente l'acqua limpida e frizzante della zona ha molto a che fare con la sua reputazione medica. "Tengo con me
due grandi medici - la dieta e l'Acqua" - è vero di Rapallo e dei dintorni.
Chiavari è la "Chiave" del Levante Ligure, il "fulcro" della Riviera di Levante, per tutto ciò che ha di caratteristico nell'ampio semicerchio della sua graziosa
pianura. Le aspre montagne sono distanti dalla riva e il mare avido non ha divorato la costa, così che c'è spazio per crescere. I chiavaresi sono gente molto
indaffarata e conservano la reputazione dei loro antenati di epoca barbarica romana, buoni soldati, abili marinai e svelti artigiani. Il sibilo dell'infaticabile
navetta di seta, il rumore martellante dei rivetti delle navi, il rumore musicale delle bobine di pizzo e il morbido fruscio dei trucioli di legno che si arricciano
dei produttori di sedie sono tutti mescolati nell'aria limpida e luminosa. Nelle strade si mescolano educatamente pigiatori macchiati di rosso della pregiata uva,
cavatori bianchi per la sabbia, saponieri inodori unti e portuali abbronzati dal mare, che chiacchierano fuori e attraverso i molti archi e portali finemente
scolpiti della città.
Forse Chiavari è più nota come scuola dei ragazzi dell'organetto; come la produzione delle sedie di Chiavari - mobili in legno leggero di ulivo e fico
noti per la robustezza e durevolezza; e come la casa dei genitori e della famiglia di Garibaldi il "Liberatore". Se in una qualsiasi città britannica ti capita di
chiedere a un suonatore di organetto italiano - e ce ne sono ancora centinaia - da dove viene, "Da Chiavari, Signore" è la risposta certa. Il culto indigeno
della fabbricazione delle sedie è praticato non solo per la comodità del corpo umano, ma anche per la pittoresca coltura della vite. I pergolati, naturalmente, sono
ovunque, con i loro bei grappoli di viticci verdi, foglie colorate e grappoli maturi d'oro e d'uva viola; ma i viticoltori di Chiavari e dintorni coltivano le loro
viti su sgabelli di legno di altezza variabile. L'effetto è probabilmente strano ma il risultato è eccellente.
Giuseppe Garibaldi è nato a Nizza, ma i suoi genitori erano immigrati: la loro casa era a Chiavari. I Garibaldi rivendicano come loro primo avo Garibaldo, duca
di Baviera nel 584. Nel 1060 Paolo di Garibaldi era Capitano del Comune di Chiavari, ma nel 1528 il nome fu iscritto nel "Libro d'Oro" di Genova, e vi
rimase fino al 1792, quando l'ultimo genovese della famiglia fu Giuseppe, prozio del patriota.Il ramo a cui apparteneva l'eroico nipote si stabilì nella vecchia
casa di famiglia nel XVII secolo, ma si spostò quando messer Angelo Garibaldi portò tutta la sua famiglia da Chiavari a Nizza. Con lui se ne andarono il primogenito
Domenico Antonio e la moglie Rosa Raimondi, genitori del "Liberatore". Giuseppe fece di Chiavari la sua dimora dopo che Nizza fu trasferita alla Francia e vi
ricorse per riposarsi.
I padroni delle osterie di Chiavari hanno avuto una reputazione un po' appannata non certo per l'eccellenza, né per i loro menù, ma per l'avidità per il
contenuto delle borse dei loro ospiti. Si narra che il pittore genovese Luca Cambiaso, mentre era intento a dipingere ''Il Giudizio Universale'' nella Chiesa della
Madonna delle Grazie, fu minacciato di reclusione dalla padrona di casa per non aver pagato quanto le doveva. Con le buone o con le cattive alla fine soddisfece le
sue pretese, ma poi, prima di andarsene, la dipinse nel "Giudizio" nelle grinfie del diavolo - e da allora è stata lì perché tutti gli uomini la vedessero e la
disprezzassero!
Il fiume Entella separa Chiavari da Lavagna - l'Entella di cui parla Dante nel suo "Purgatorio":
"
questo rio
Intra Siestri e Chiavari s'adima
Una fiumana bella
"
Attraverso il ponte passava il malinconico esule fiorentino, ospite dei Fieschi e dei Malaspina, fissando forse con i suoi occhi stanchi l'ampio golfo per avere
una vista della bella costa Toscana. I marchesi Malaspina e i conti di Lavagna erano rivali, senza dubbio: i primi erano i luogotenenti dell'Imperatore, i secondi
erano casa e Papa.
Almeno il nome di una gentildonna della casa Malaspina è stato tramanato con onore: Bianca Malaspina, moglie di Ambrogio Spinola - "Giovane bellissima
fra le belle Bellissima e, oltre la bellezza, un vero e chiaro specchio d'onestà e di prudenza". "La famiglia dei Malaspina, tuttavia, a causa della bellezza delle
sue figlie e dell'opulenza delle loro doti, fu indebolita dai matrimoni delle eredi ad alieni. La Casa Reale d'Austria, per esempio, portò via molte spose
adorabili con la loro ricchezza, così che i Malaspina si impoverirono.
Quasi tutte le chiese e i monasteri tra Rapallo e Sestri di Levante furono costruite e finanziate dai Fieschi e, allo stesso tempo, abilmente utilizzate dai
potenti Fieschi. Le rovine del castello atavico della famiglia esistono ancora sulle colline di Lavagna, quasi nascoste sotto le grandi foglie verdi e i gigantesche
rami di aloe. La basilica di San Salvatore era la Valhalla9 della famosa Casa; generazioni di pii signori e donne devote giacciono nelle
sue volte. I loro palazzi un tempo splendidi, intorno alla piazza, non sono più testimoni di nozze - umane o divine - ma sono diventati tuguri squallidi per i
contadini malandati. La Contessa Marinetta Fiesca di San Fronte10, l'ultima sopravvissuta di una linea illustre, non mantiene altro che
una parte del giardino dove una volta era il chiostro dei monaci. L'ultimo Conte di Lavagna, Adriano Fiesco, morì nel 1858.
La bella strada da Chiavari a Spezia ci fa attraversare il letto del torrente Entella e ci conduce lungo la strada principale di Lavagna, poi la stretta
spiaggia rocciosa, come se si aspettasse di rivelare, ad ogni angolo, Venere di Liguria11, che sorge nuda e fresca dalla schiuma del mare
verde e gialla. Alla fine scorgiamo Sestri di Levante, amata da John Ruskin, e pensiamo che ci godremo un pranzo veloce, una fumata e una breve siesta
all'Osteria Ghio, dove il vino è buono e dove forse possiamo raccogliere un po' di pettegolezzi; ma no, c'è a malapena il tempo di cambiare la squadra di
cinque cavalli sfiniti, poi la strada ci inghiotte ancora.
1 Gentildonna provenzale amata da Francesco Petrarca
2 Il vino che Bacco donò a Caserta
3 Grace Horsley Darling (1815-1842), inglese, figlia di un guardiano del faro, partecipò nel 1838 al salvataggio dei sopravvissuti del piroscafo
Forfarshire.
4 Maria e Caterina Avegno. Vedi l'articolo "L'incendio del Crœsus" su La Gazzetta di Santa del 2018.
5 "Reap the corn, thrash the corn, / Go to the mill and grind it, / Make a little loaf then, / And keep for me a small bit."
6 Staccio
7 Guido Scetten
8 La prima ora canonica
9 Oltretomba degli eroi nell'antica mitologia germanica
10 Marinetta Fieschi Negri di Sanfront, che sposò il conte Alessandro Thellung di Courtelary
11 Portovenere