Genova – settembre 1940
Dopo il perfezionamento raggiunto dai Romani ed imposto a tutti i paesi mediterranei, l'arte navale rimase per lunghi secoli immutata.
Con le prime incursioni ed invasioni dei popoli nordici verso l'VIII secolo, le spiagge del vasto impero romano videro apparire navigli di nuova forma e struttura
che, governati abilmente da selvaggi guerrieri del mare, portarono ovunque devastazione e rovina. Ancora nel tardo medio evo, le genti del litorale esclamavano:
«A furore Normanorum libera nos, Domine!».
Le loro navi, non molto diverse dalle galere romane e molto simili, nella grossa linea, agli attuali battelli da pesca norvegesi, avevano però acquistato una
impronta particolare suggerita dalle condizioni dell'ambiente d'origine e dalle necessità della marineria scandinava. Costruite con solido legname delle grandi
foreste nordiche, avevano alti bordi e le estremità rialzate, sulle quali poggiavano due casseri, un albero solo con una vela di cuoio, policroma e quadrata,
che si poteva ridurre secondo il vento; un solo rango di remi il cui numero variava secondo la stazza della nave: 18 remi sullo «snekkar» o serpente, 32
sul «drakkar» o dragone; vale a dire che, pressappoco, avevano una lunghezza rispettiva da 25 a 40 metri.
Da un antico pannello del 1066, conservato a Bayeux (Calvados - Francia) si vede una flottiglia di questi pirati intenti ad ammainare le vele; gli scudi di
guerra son disposti sui bordi a difesa dei rematori, sulla prua della nave è scolpito un mitico mostro marino che domina «il vento schiavo e la tempesta
propizia», come ricordano le loro antiche leggende.
I capi marinari, normanni o vichinghi, fin oltre il XII secolo, secondo l'usanza, si facevano tumulare sulla loro nave per non abbandonarla nemmeno dopo la
morte; alcuni di questi battelli tumulari sono stati ricuperati in assai buon stato e si conservano oggi nel museo di Oslo.
Nel Mediterraneo, la marineria era rimasta nelle condizioni assai floride lasciate dall'impero di Bisanzio, condizioni che tosto diminuirono col diminuire
dell'influenza politica di questi, fino al momento in cui vari paesi italici ripresero e svilupparono le tradizioni marinare ereditate da Roma.
I «dromoni» lanciafuoco, da battaglia e da traffico, e i panfili, particolarmente studiati dai bizantini agli effetti della velocità, vennero
costruiti negli operosi cantieri della repubblica di Venezia, e già riprodotti in mosaici nel IX secolo.
La galea, la cui origine, secondo il Volino, proviene dalla parola greco-bizantina galeya, che significa pesce-spada, era un legno sottile a remi e vela
ausiliare e con ponte su tutta la lunghezza.
Altrove, in Francia, in Olanda ed in Bretagna, nulla si crea di nuovo se non modificando le linee sostanziali dei battelli portati dai Normanni nelle loro
emigrazioni.
Le prime Crociate imposero nuove esigenze alla costruzione navale, consigliate in parte per ragioni di guerra e per il trasporto di masse.
L'iconografia di queste navi delle Crociate è stata rilevata da disegni contenuti negli Annali di Caffaro e ricostruita da valenti studiosi e riprodotta in più
opere d'artisti.
Con le acazie, le cocche e le usciere, apparvero forme nuove. Quest'ultime costruite per il carico di materiali e cavalli, con due speciali aperture
poppiere che permettevano un facile sbarco, furono molto usate durante le Crociate.
Nel XIII secolo, San Luigi, re di Francia, nella sua prima spedizione organizzò una flotta dì circa 1500 di queste navi col concorso delle repubbliche italiane
e per maggior parte di Genova.
Un documento francese dell'epoca della 4a Crociata illustra numerose di queste navi affiancate sul Bosforo davanti a Costantinopoli:
piuttosto corte e panciute (tipo grosso), con una forma caratteristica a U, i cui estremi di poppa e prua sostenevano castelli della stessa altezza, drizzavano un
solo albero a vela latina. Ma questo tipo di nave ebbe svariate applicazioni egualmente fortunate, come quello a due alberi spostati sulla ruota di prua, più
slanciato, più veloce (tipo sottile) e più adatto al combattimento navale; misurava circa 43 metri di lunghezza di cui 36 in linea d'acqua, 11,50 di altezza dalla
chiglia ai castelli a due piani, con una lunghezza massima di m 13,50, ciò che consentiva forte capacità di carico e una ottima tenuta di mare.
Si entra nell'epoca fìorentissima delle grandi repubbliche marinare che per molti secoli diedero lustro e gloria alla navigazione italica nel mondo.
Sono Amalfi, Pisa, Venezia e Genova, che, seguendo le alterne vicende per la supremazia dei traffici e la conquista di lontane colonie, dominavano in tutto il
Mediterraneo. E' l'epoca felice in cui la navigazione, affermatasi come potenza in atto nel suo progressivo evolversi, trova le sue migliori applicazioni; è l'epoca
gloriosa dei veri uomini del mare e che trovano sul mare la ragion di vita, avventurandosi verso l'ignoto, alla ricerca di nuove vie e di nuove terre.
La Santa Maria di Colombo, ricostruita in modello dal celebre capitano De Albertis, oggi conservata nel Civico Museo Navale di Genova, aveva una
lunghezza di circa 39 metri, con quasi 8 metri di larghezza e un dislocamento di 233 tonnellate, e tre alberi di cui gli esterni con vela latina e il centrale, più
solido, con vela quadrata.
E' fuor di dubbio che Colombo preferì compiere la sua «meravigliosa avventura» con tre caravelle - Santa Maria, Pinta e Niñia - di
modeste proporzioni, rifiutando le grosse «caracche» che già esistevano a quel tempo, perché la leggerezza delle prime consentiva una maggiore velocità
e facilità di movimenti che avrebbero potuto essere altrimenti compromesse da legni di maggior tonnellaggio, specie sulle coste sconosciute del nuovo mondo.
Nel XIV secolo, specialmente usata per la battaglia navale, si sviluppò la galea che nella linea, lunga e snella, ricorda la «triera» ateniese. Questa
costruzione ebbe due tipi chiamati terzarolo e scaloccio, perché differenziavano nel sistema remiero. Il primo, ch'ebbe minor vita, comportava un complesso a
remi multipli che a volte raggiunse cinque ranghi, come è stato accertato per una galea costruita a Venezia dal maestro Fausto nel 1529.
Il sistema a scaloccio, diminuendo il numero dei remi su un rango unico (26 a dritta, 25 a sinistra, più il posto per la cucina) utilizzava meglio la potenza,
sicché la ciurma, distribuita a quintine per ogni remo, lungo oltre 15 metri, era di 255 uomini, ai quali se ne aggiungevano altrettanti fra marinai liberi e uomini
d'arme.
La velocità di queste galee, con l'impiego razionale nella distribuzione nei turni di voga, superava raramente i dieci km orari. Al principio del XVI secolo,
quando la galea ordinaria fu considerata inefficace a guerreggiare in battaglia coi galeoni (grossi legni d'alto bordo e grande velatura, che erano entrati in
linea, dotati di pesanti artiglierie), il Bressano, uno fra i migliori architetti navali del suo tempo, ideò a Venezia un derivato misto della galea che fu chiamato
galeazza.
Questa, più alta di murata, specie per il castello poppiero, più solida, con tre alberi a vela latina, era armata da 30 a 40 pezzi di varia artiglieria e
dislocava circa 1600 tonnellate, con un equipaggio di forse mille uomini. Dopo la vittoria di Lepanto nel 1571, illustrata dal Tiziano, le galeazze, assunte a
gloria per merito dei grandi ammiragli Don Giovanni d'Austria e Andrea D'Oria, vennero largamente adottate dalle marine di Francia e di Spagna; anzi, Luigi XIV ne
ordinò una come nave reale che volle decorata dalla mano di Pierre Puget.
La caracca fu specialmente una grande nave da carico dai capaci fianchi e di limitata velocità. I galeoni che conservavano la velocità delle galee ed
aggiungevano la capacità delle caracche, per i lunghi traffici, portavano un complesso velico quadrato e latino, su tre o quattro alberi, ed ebbero grande sviluppo
fra il XVI e il XVII secolo, quando cioè la navigazione, ormai sperimentata nel sistema a propulsione velica, abbandonò definitivamente il naviglio a tipo misto.
Fra i più noti della marina militare furono quelli della Regina Elisabetta d'Inghilterra che spesso entrarono in battaglia con la flotta spagnuola, mentre altri
d'oltre 1500 tonnellate venivano impiegati per i lunghi traffici, quale la via delle Indie.
Il vascello da battaglia costituisce, quindi, nella storia marinara, la migliore applicazione dell'arte navale, e risolve, nella sua felice espressione, i
problemi lungamente studiati. Apparso nella prima metà del '600, fu costruito prima coi tipi di vario tonnellaggio di una lunghezza da 50 a 70 metri, mentre, in
seguito, subì una classificazione determinata dal numero dei pezzi di artiglieria che si aprivano sui fianchi.
Sul finire del XVIII secolo si ebbero così 5 o 6 ranghi di vascelli. Quello di primo rango era armato da circa 120 cannoni, quello di secondo 110, il terzo 80,
ecc. ecc.; proporzioni che diminuivano in rapporto al tonnellaggio e alle caratteristiche navali che ormai la tecnica e la scienza avevano stabilite. La linea subì
qualche trasformazione specie nella parte superiore, che venne attrezzata ed alleggerita dei pesanti ed ornati castelli; la velatura si estese al massimo, si
frazionò e si perfezionò nei sistemi; la parte poppiera, prima larga e piatta, si affilò, la murata si fece dritta e più liscia, permettendo quindi maggior
autonomia al timone.
I brigantini e le corvette costituirono la flotta minore durante questo periodo. Gli sciabecchi erano leggeri e veloci legni, a due tre alberi a vela
latina, largamente usati dai pirati barbareschi nelle loro scorrerie nel Mediterraneo, durate quasi tre secoli e tristemente ricordate. Una bella tela conservata a
Genova nel Museo Navale illustra un combattimento fra la flotta del Capitano Castellino e numerosi sciabecchi algerini nel 1763; questi disparvero definitivamente
dopo l'occupazione d'Algeri (1830). Il brick, armato di pochi cannoni, anch'esso di modeste proporzioni, fu adottato dalla marina per servizio di guardacoste.
La fregata, sebbene più ridotta del vascello, riuniva però delle eccellenti qualità nautiche che la resero apprezzata fino al secolo scorso. I cantieri
italiani furono specialmente famosi nella costruzione di questo tipo, favorito, per la maggior velocità, nella battaglia navale in quanto poteva facilmente,
limitando il fronte d'offesa, prendere posizione nella linea di fila, secondo l'ordine di combattimento a squadre.
E' noto che Napoleone, occupando Venezia, fosse preoccupato di impossessarsi della flotta di fregate venete, che gli servirono poi per la spedizione in Egitto,
Un cantiere genovese varò nel 1812 per conto della Francia la fregata «Galatea» che fu per molto tempo considerata un prototipo di perfezione
tecnico-navale.
Con l'avvento della macchina a vapore, applicata alle navi come mezzo di propulsione, e mal accetta fin dall'inizio dalla gente di mare minacciata nella sua
esistenza, l'arte marinara ha subito una profonda rivoluzione.
Oggi, mentre sarebbe utile - anche ai fini dell'economia nazionale - intensificare almeno il piccolo cabotaggio velico, pensiamo forse con un po' di nostalgia
alle navi dalle vele al vento