Testata Gazzetta
    Pezzi di storia

Strofette e altro

Tre sono le strofe attribuibili ai sammargheritesi, e sono legate ai contrasti tra vicini. ceramica
«Rapallin suttaéra gatti
Sutta e porte di surdatti:
I surdatti i sun scappaê,
I Rapallin ghe sun arrestaê
»
Strofetta cantata dai monelli per strada (rif. "Annali" di A.R. Scarsella - Anno 1550)
Il termine gatti indica la famiglia dei Fieschi. La filastrocca era curiosamente ancora in voga, tra i ragazzi di Santa Margherita, negli anni fra le due guerre. (rif. "I Fieschi tra Papato e Impero - Atti del Convegno - Lavagna, 18 dicembre 1994" - Intervento di Susanna Canepa)
Si riferisce ai contrasti tra Santa Margherita e Rapallo, acuiti dalla pretesa dei rapallesi di avere contributi per la costruzione del loro castello, diventato urgente dopo il sacco di Rapallo da parte dei pirati il 4 luglio 1549. In quell'occasione i soldati di Rapallo si erano dati alla fuga, mentre alcuni sammargheritesi erano andati in aiuto della popolazione.

«Viva i Giacomini, viva i Rapallini, nello sterco i Margaritini»
E' anche successo che i Giacomini (gli abitanti di Corte, sotto la protezione di San Giacomo) facessero comunella con gli abitanti di Rapallo contro "quelli" di Santa Margherita (Ghiaia) (rif. "Annali" di A.R. Scarsella - Anno 1819)

«Emmo fæto unn-a battaglia,
l'emmo fæta lì in sci-a Gêa.
I corteixi co-a bandêa
l'emmo missi a prionn-e.
»
Abbiamo fatto una battaglia, / l'abbiamo fatta in Ghiaia. / Quelli di Corte con la bandiera / li abbiamo presi a sassate.
Sono storici e ripetuti i contrasti tra i due rioni (un tempo paesi distinti) di Corte e di Ghiaia.

Non c'è una tipicità sammargheritese per filastrocche e proverbi, tuttavia la memoria dei più anziani ricorda alcune strofe e frasi tratte dal repertorio ligure.
Per le filastrocche rif. "Filastrocche genovesi e liguri" - Beatrice Solinas Donghi - Sagep 1974; per i proverbi rif. "I proverbi dei genovesi" - Nelio e Ivana Ferrando - Sagep 1977.

A rionda di cuculli
A l'é a rionda di cuculli
che tò moæ a l'ha rotto i tondi
a l'ha rotto i recammæ
çinque sôdi ghe son costæ!

A l'é a rionda di cuculli
i çetroin sensa peigolli
a borsetta recammâ,
scignoria sciô speziâ.

A l'é a rionda de zenâ
che comensa o carlevâ;
carlevâ o l'é zà passôu
l'ommo do sacco o se l'ha piggiôu.

E' il girotondo delle frittelle / tua madre ha rotto i piatti / ha rotto quelli ricamati / cinque soldi le son costati! / E' il girotondo delle frittelle / le arance senza picciolo / la borsetta ricamata, / riverisco signor speziale. / E' il girotondo di gennaio / che comincia il carnevale; / carnevale è già passato / l'uomo del sacco se l'è pigliato.
I cuculli sono frittelline di farina di ceci che, messi a friggere, girano in tondo nell'olio bollente. Oltre all'immagine del girotondo suggeriscono l'idea di una merenda in compagnia, magari di una festicciola; infatti risulta che siamo di carnevale. Le strofe precisano l'atmosfera carnevalesca, fatta di abbondanza (le arance senza picciolo, cioè senza scarto), di scompiglio e di allegro spreco (la rottura dei piatti «ricamati», che vorrà dire decorati, piatti comunque più costosi degli altri di casa, dato che se ne precisa il prezzo con gusto esterrefatto). Dopo di che anche una borsa o una catinella risulterà inevitabilmente ricamata. Lo speziale sarà stato introdotto per pura esigenza di rima, però può averlo favorito il suo status di professionista abbiente e il fatto che nel suo negozio si vendessero le pastiglie dolci, molto tempo prima dell'invenzione delle caramelle.
Il filo logico delle filastrocche è quasi sempre di questo tipo, un succedersi di associazioni puramente intuitive.
Caratteristico anche il brusco finale che tronca tutto sul più bello, carnevale e girotondo, cioè finzione fantastica e realtà attuale del gioco.

Ciêuve bagnêuve
Ciêuve bagnêuve
e gallinn-e fan e êuve
o gatto o se e mangia;
faiemo 'na cabann-a
de ciongio, de bronzo,
de ciumme de colombo.

L'Angeo o pescava
a Madonna a se bagnava:
- Perché ti te bagni?
- Pe fâ fermâ quest'æegua.

Ægua e vento
doman saiâ bon tempo:
in casa do Segnô
ghe luxiâ ben o sô.

Piove bagnove / le galline fanno le uova / il gatto se le mangia; / faremo una capanna / di piombo, di bronzo, / di piume di colombo. / L'Angelo pescava / la Madonna si bagnava: / - Perché ti bagni? / - Per far cessare quest'acqua. / Acqua e vento / domani sarà bel tempo: / in casa del Signore / brillerà bene il sole.
E' un'altra filastrocca per girotondo, benché potesse esser recitata anche come «conta», oppure indipendentemente da qualsiasi gioco.
La chiusa ribadisce la prevalente ispirazione religiosa.
Ci sarebbe di che supporre che si trattasse in origine di una formula magico-religiosa da usarsi contro le piogge intempestive o troppo persistenti.

Çinque çinquanta
Çinque, çinquanta
tutto o mondo o canta:
canta o gallo
risponde a gallinn-a
Madama Teresinn-a
a spunta dä fenestra co
'na xatta de menestra,
a se sporze da-o barcon
co 'na ramma de çetron.

Cinque, cinquanta / tutto il mondo canta: / canta il gallo / risponde la gallina / Madama Teresina / appare alla finestra / con un piatto di minestra, / si affaccia alla finestra / con un ramo di arancio.
Serviva per estrarre le sorti del gioco, cioè come conta, e nello stesso tempo come accompagnamento al girotondo.

O Bambin coscì piccin
O Bambin coscì piccin
co-a sò testa a rissolin
co-a sò casa bella netta
che ghe stava Lisabetta;
Lisabetta a fiava
a Madonna a recammava
San Giuseppe o fa o bancâ
e o Bambin o fa a nanâ.

Il Bambino così piccino / con la sua testa a ricciolini / con la sua casa bella netta / che ci stava Lisabetta; / Lisabetta filava / la Madonna ricamava / San Giuseppe fa il falegname / e il bambino fa la nanna.
E' una via di mezzo tra una sacra conversazione (dove Lisabetta sarà stata in origine santa Elisabetta, presente, come madre del san Giovannino, in moltissime «sacre famiglie») e un interno famigliare di nitido gusto fiammingo.

Popon de pessa
Fa a nanà, popon de pessa,
che tò moæ a l'é andæta a messa
tò poæ o l'é andæto a Paiscion
pe portâ ;te o læ ;te bon.
Fa' la nanna, pupo di stracci, / che tua madre è andata a messa / tuo padre è andato ad Apparizione / per portarti il latte buono.

Apparizione è un paesino, ora parte del Comune di Genova, che si arrampica sulle pendici del monte Fasce, sopra Borgoratti.
La ninna nanna si suppone cantata in assenza dei genitori, della madre in particolare; e rispecchia una situazione che doveva essere molto usuale nelle famiglie contadine, e popolane in genere, nelle quali un bambino piccolo restava sovente affidato a una nonna o zia o sorellina maggiore, mentre la mamma era fuori a lavorare, o comunque altrimenti occupata. Ma a proposito di quella sorellina: non dimentichiamo che il popon è definito de pessa e perciò doveva essere, in origine, la bambola di stracci delle bambine povere.
Una ninna nanna per giocare, dunque? Anche, ma non soltanto, perché il medesimo termine può servire da affettuoso dispregiativo-vezzeggiativo per un pupo in carne ed ossa; e perché c'è un nocciolo di contenuto serio in quel consolare il bambino di un'assenza che forse lo strazia, fornendogliene tutte le ragioni. Non sarà per caso che fra di esse, nove volte su dieci, ha un posto preminente la ricerca del cibo, cioè la ragione più seria e ineluttabile di tutte.

A fôa do Bestento
A l'é a fôa do Bestento
ch'a dûa lungo tempo;
ti vêu che t'a conte?
E se ti vêu che t'a conte t'a contiô.

De scì no se dixe
perché a l'é a fôa do Bestento
ch'a dûa lunga tempo;
ti vêu che t'a conte?
E se ti vêu che t'a conte t'a contiô.

De no no se dixe
perché a l'é a fôa do Bestento
ch'a dûa lungo tempo …

Come traduzione, anche se non è esattamente uguale, può andar bene la versione toscana riportata dal Nieri:
Sapevo la novella del Bistenco / che dura molto tempo: / te l'ho a conta', te la conto o te la conterò? / «Contamela». / Non si dice: Contamela / perché è la novella del Bistenco / che dura molto tempo …
Esistono filastrocche di tipo narrativo, che pur conservando l'inverosimiglianza e l'illogicità tipiche del genere fanno del loro meglio per raccontare una specie di storia. Di questa però è più giusto dire che fa del suo meglio per non raccontarla. Notare la tecnica: si propone una favola dal titolo misterioso e perciò allettante e subito dopo si blocca l'assenso (o il dissenso, o qualsiasi reazione) dell'ascoltatore, giustificando il divieto per mezzo del titolo stesso. E' un eterno ricominciare da capo, prolungabile a volontà; e il risultato finale è che quella favola non verrà raccontata mai.

A fôa da gatta môa
A l'é a fôa da gatta môa
ch'a sâtava in sciâ tôa,
d'in sciâ tôa in sciô barî:
scemmo quello ch'o me l'a fæta dî.

E' la favola della gatta nera / che saltava sulla tavola, / dalla tavola al barile: / scemo quello che me l'ha fatta dire.
Altro scherzetto basato sull'annuncio di una favola che poi non si racconta; questa si interrompe per troncamento, con un equivalente orale del classico «scemo chi legge».

A bella de Torriggia
A l'é a bella de Torriggia,
tutti a veûan, nisciun a piggia,
ma quando poi a s'é maiâ
tutti oreivan aveila sposâ.

E' la bella di Torriglia, / tutti la vogliono, nessuno la piglia, / ma quando poi si è maritata / tutti vorrebbero averla sposata.
Si tratta evidentemente della bellezza del paese, che tutti corteggiano alla lontana, non fosse che per impegno di vanità; senza mai farsi avanti con proposte serie, perché scoraggiati dalla troppa concorrenza, o tenuti in rispetto dalla fama di lei, o infine perché un'intenzione seria non l'abbiano in realtà avuta mai. Alla fine la situazione si sblocca e la bella si sposa, molto probabilmente con un nuovo venuto, il classico outsider che vince la corsa. Ai pretendenti di prima rimane il senso d'esser stati defraudati di qualcosa e il rammarico di non aver arrischiato in tempo la proposta che poteva conquistarla, visto che anche lei in fin dei conti si è dimostrata conquistabile.
Esiste anche un proverbio corrispondente:
"A bella de Torriggia con çento galanti a l'é morta figgia"
La bella di Torriglia con cento innamorati è morta fanciulla (nubile). Torriglia è una ridente località dell'Appennino a circa mezz'ora di macchina da Genova, a 769 metri di altitudine. La bella di Torriglia doveva essere particolarmente sfortunata in amore se la sua sorte di morir zitella viene confermata da un altro proverbio:
"A bella de Torriggia: tutti a vêuan, nisciûn a piggia"
… tutti la vogliono, nessuno la prende. A prima vista potrebbe sembrare che i due proverbi siano andati dietro alla rima (Torriggia, figgia, piggia), ma una volta tanto non è così. Ci fu realmente una bella di Torriglia: si chiamava Rosa Garaventa ed ebbe anche una consacrazione giornalistica. Sulla «Farfalla», foglio umoristico-letterario dell'epoca, comparve un suo ritratto: nelle mani aveva un mazzolino di fiori e la didascalia diceva: «Regina di Torriglia accende i cuor / si chiama Rosa e un fior essa è tra i fior». Morì nel 1868.

"A San Giöxeppe se ti pêu, impi a poëla de frisciêu"
A San Giuseppe (19 marzo) se puoi, riempi la padella di frittelle.

"Chi no cianze no tetta"
Chi non piange non poppa.

Tra i modi di dire:
"Andâ a-a sestrinn-a", andare alla sestrese, ognuno per sé, uno di qua e l'altro di là. E' legato alla geografia di Sestri Levante, che si affaccia su due mari. Per questo si dice anche "Avéi due facce comme i sestreixi", aver due facce come i sestresi.
"Andâ a-a bagarda", andare in malora. "Bagarda" (alla peggio, malamente) è spesso sostituita da "bagascia" (cialtrona).
"Andâ a gigin", andare a spasso, detto spesso ai bambini piccoli.

Un termine molto usato, anche perchè legato allo scirocco, il vento che è causa di violente mareggiate, è "bollezumme": maretta, agitazione, subbuglio, ribollimento, inquietudine. E' un mare mosso prodotto appunto dallo scirocco.
"Chi l'é padron do mâ, l'é padron da tæra", chi domina il mare domina anche la terra.

Per finire, possiamo aggiungere alcune espressioni usate frequentemente:
"I ratti cü e lagrime ai œggi" I topi con le lacrime agli occhi (niente di niente)
"Facciafasa" Faccia falsa (voltafaccia)
"Ghe semmu mimì e cocò" Siamo Mimì e Cocò (Siamo in pochi)

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