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Scafi a propulsione umana
di Alec N. Brooks, Allan V. Abbott e David Gordon Wilson

Le Scienze - 1 febbraio 1987

Nella ricerca di velocità sempre più elevate, gli scafi tradizionali, spinti da rematori, hanno dovuto cedere il passo a imbarcazioni di concezione non convenzionale, quale quella progettata e costruita dagli autori

confronto Le imbarcazioni tradizionali da regata e quella non convenzionale progettata dagli autori, il Flying Fish II, sono tra i più veloci scafi a propulsione umana. L'imbarcazione a bordo della quale sta remando il quattro volte olimpionico John Van Blom è stata costruita dallo svizzero Alfred Stämpfli. Flying Fish II, con a bordo uno degli autori (Abbott), è spinto da un'elica mossa a pedali ed è sostenuto da due ali idrodinamiche, o ali sommerse. I galleggianti durante la planata sono fuori dall'acqua poiché sono stati ideati solo per sostenere lo scafo alle basse velocità.

Prima d'ora gli snelli scafi da regata, o canoe da competizione, divenute familiari grazie ai Giochi olimpici, alle gare sul Tamigi e ad altre regate svoltesi in tutto il mondo erano i più veloci scafi a propulsione umana. I più veloci di questi, spinti da un equipaggio di otto vogatori, raggiungono velocità di 12 nodi su un percorso standard di 2000 metri. (Un nodo equivale a circa mezzo metro al secondo.)
Oggi, gli scafi a propulsione umana che non sono vincolati dai regolamenti ufficiali di queste gare sono in grado di superare queste velocità. I progettisti di scafi non convenzionali stanno scartando i remi a favore di eliche ad alto rendimento; non solo, stanno anche facendo a meno delle carene, esplorando nuove vie per ridurre la resistenza all'avanzamento, ossia la resistenza idrodinamica, che l'acqua esercita sullo scafo in movimento.
In verità, due di noi (Brooks e Abbott) hanno sviluppato per la conquista di un record uno scafo a propulsione umana: il Flying Fish II, che si guida come una bicicletta. Fornito di una coppia di ali idrodinamiche, o ali sommerse, e di un'elica ad alto rendimento, questo scafo permette a un unico pilota di completare un percorso di 2000 metri in modo sensibilmente più veloce di quanto faccia un singolo rematore su uno scafo da competizione e ha raggiunto la velocità massima di 13 nodi su percorsi brevi.

A prescindere dal particolare progetto - che sia un rudimentale oggetto galleggiante che avanza grazie a spinte subacquee, una zattera di legno spinta da pali, un tronco scavato mosso da pagaie o un piccolo scafo munito di remi convenzionali - ogni scafo deve contendere con quattro forze di base: peso, spinta idrostatica, spinta propulsiva e resistenza idrodinamica (senza considerare in questa sede la resistenza aerodinamica). Peso e spinta idrostatica sono le forze più facili da comprendere. Il peso è semplicemente la forza gravitazionale che tira verso il basso lo scafo e i suoi occupanti. La spinta idrostatica è la forza che agisce verso l'alto, controbilanciando il peso. Fino a che un'imbarcazione non viene sottoposta ad alcuna accelerazione verticale, la spinta idrostatica è uguale in modulo al peso.
Per la maggior parte degli scafi, la spinta idrostatica è dovuta alla spinta di galleggiamento, ossia allo spostamento dell'acqua provocato dalla carena dello scafo. La spinta idrostatica corrisponde in modulo al peso del volume dell'acqua spostata e questo vale anche in assenza di movimento. Inoltre, molti scafi da alta velocità traggono vantaggio dal sostentamento dinamico che è prodotto dal movimento dello scafo nell'acqua. Un esempio comune di sostentamento dinamico è dato dalla planata: quando il fondo della carena devia in continuazione l'acqua verso il basso si produce un sostentamento come forza di reazione. Una imbarcazione che fruisca di un elevato sostentamento dinamico durante la planata si muove con la maggior parte dello scafo fuori dall'acqua e richiede una minore spinta di galleggiamento. Fino a poco tempo fa i progettisti di scafi a propulsione umana non erano in grado di ottenere un sostentamento dinamico dei loro scafi.
La spinta propulsiva è la forza (prodotta dall'azione dell'uomo nel caso degli scafi a propulsione umana) che muove lo scafo. La resistenza idrodinamica è la forza che per definizione agisce in direzione opposta all'avanzamento dello scafo. Se una imbarcazione, raggiunta una certa velocità, si muove di moto costante, la spinta propulsiva è uguale in modulo alla resistenza idrodinamica. In sostanza, a velocità costante la spinta idrostatica bilancia il peso e la spinta propulsiva bilancia la resistenza.
Per trasformare efficientemente una data energia umana d'ingresso in velocità è necessario innanzitutto ridurre al minimo la resistenza idrodinamica. Un sistema ovvio è quello di ridurre il peso dell'imbarcazione. Quando questa comincia a muoversi la sua fonte di spinta idrostatica (cioè il volume della carena) quasi sempre comporta una penalizzazione in resistenza idrodinamica. Riducendo al minimo il peso dell'imbarcazione, si riduce la spinta idrodinamica richiesta e quindi la resistenza idrodinamica connessa alla spinta idrostatica è inferiore. Partendo dal presupposto che i membri dell'equipaggio non siano in sovrappeso, la riduzione di peso deve riguardare innanzitutto lo scafo.
Sforzi in questo senso hanno prodotto scafi da competizione che pesano quanto una piccola frazione del peso del rematore, con un rapporto paragonabile a quello fra una moderna bicicletta da corsa e il ciclista. Nel passato gli scafi erano di solito costruiti in legno di cedro, abete e mogano ed erano resi più leggeri assottigliando lo spessore delle loro carene. (Infatti il termine «shell» - guscio – derivava proprio dal fatto che una leggera pressione del dito poteva facilmente provocare un buco nel legno della carena.) Negli anni cinquanta vennero sperimentati alcuni scafi che avevano una sottile carena di vetroresina rinforzata e dalla fine degli anni sessanta vennero introdotte imbarcazioni realizzate in materiali compositi che entrarono in aperta concorrenza, negli ambienti agonistici, con gli scafi di legno, fino ad allora predominanti. Oggi uno scafo di legno è una rarità. Sofisticati materiali compositi, consistenti in una matrice di resina unita a fibre polimeriche o a grafite, hanno significativamente abbassato il peso della più leggera imbarcazione monoposto al di sotto dei 10 chilogrammi.

Dal momento che il peso di uno scafo da competizione poteva così considerarsi ridotto al minimo, l'attenzione del progettista ha dovuto rivolgersi altrove per ridurre la resistenza idrodinamica. Gli scafi hanno ciò che viene comunemente indicato come carena dislocante: tutta la loro spinta di sostentamento è prodotta dalla spinta di galleggiamento della carena. Le carene dislocanti hanno come unica proprietà quella che la loro resistenza idrodinamica tende a zero con il tendere a zero della loro velocità rispetto all'acqua. Di conseguenza a velocità molto basse gli scafi a carena dislocante incontrano una resistenza idrodinamica molto bassa e sono fra i più efficienti di tutti gli scafi. Le imbarcazioni da competizione, comunque, non sono fatte per le basse velocità.
A mano a mano che la velocità di uno scafo aumenta, cresce in modo evidente anche la sua resistenza idrodinamica a causa, almeno in parte, della formazione di onde prodotte dalla prua e dalla poppa. L'energia necessaria per produrre queste onde si manifesta come resistenza d'onda. Al crescere della velocità la resistenza d'onda cresce rapidamente, ma in modo irregolare poiché l'onda di prua può interagire con quella di poppa positivamente (quando le onde sono in fase e si rinforzano reciprocamente) o negativamente (quando le onde sono fuori fase e tendono ad annullarsi l'una con l'altra). A una velocità nota come velocità di carena, la prua è sulla cresta e la poppa è nell'avvallamento di un'unica onda; nel suo passaggio attraverso l'acqua, la carena ha letteralmente formato una collina d'acqua attraverso la quale deve essere spinta l'imbarcazione. A questo punto è necessario un grande dispendio di energia per aumentare la velocità del mezzo, ma la «macchina» uomo non può sopperire allo sforzo richiesto sicché la velocità di carena si comporta come se fosse il limite effettivo della velocità di uno scafo con carena dislocante spinto da propulsione umana.
La velocità di carena di un'imbarcazione è proporzionale alla radice quadrata della sua lunghezza alla linea di galleggiamento. Imbarcazioni a propulsione umana che abbiano lunghe carene dislocanti sono quindi meno penalizzate dalla resistenza d'onda di quanto lo siano, a parità di spinta di galleggiamento totale, imbarcazioni che hanno carene corte. D'altro canto, per un data spinta di galleggiamento le carene snelle hanno maggior superficie bagnata di quanta ne abbiano le carene corte e larghe. Quanto più grande è la superficie bagnata, tanto maggiore è la resistenza idrodinamica causata dall'attrito dovuto all'acqua che scorre sulla superficie della carena. Questo tipo di resistenza idrodinamica è conosciuto come resistenza di attrito (della superficie bagnata). Quindi, se a un'imbarcazione viene data una forma più snella, la resistenza d'onda diminuisce, ma la resistenza di attrito diventa un problema maggiore.
A una carena progettata per imbarcazioni veloci deve quindi essere data una forma tale da ridurre al minimo la somma della resistenza d'onda e della resistenza di attrito. Sono state progettate carene per compiere percorsi di sei-sette minuti alla potenza di circa mezzo cavallo vapore per rematore. (Un cavallo vapore è uguale più o meno a 750 watt.) Il rapporto ottimale lunghezza-larghezza trovato per queste snelle imbarcazioni supera il valore 30. Uno scafo con un solo rematore, per esempio, ha una lunghezza compresa fra gli otto e i nove metri, mentre la larghezza non supera i 30 centimetri. Di conseguenza, la forma di scafo ottimale presenta una distribuzione dissimmetrica della resistenza idrodinamica alle velocità da competizione: l'80 per cento della resistenza che agisce sullo scafo è dovuta alla resistenza di attrito e il 20 per cento è dovuto alla resistenza d'onda.

forze Nella progettazione di un'imbarcazione simile a questa si devono tenere in considerazione quattro forze basilari: peso, spinta idrostatica, spinta propulsiva e resistenza idrodinamica. Il peso è la forza gravitazionale che agisce sullo scafo e sul pilota. La spinta idrostatica, detta anche comunemente spinta di Archimede, è la forza rivolta verso l'alto pari al peso dell'acqua spostata dalla carena. Un'ulteriore spinta verso l'alto, il sostentamento dinamico, può essere prodotta dal fluire dell'acqua sotto la carena. La spinta propulsiva, nel caso di natanti mossi da energia umana, è la forza prodotta dai movimenti del pilota che spinge avanti l'imbarcazione. La resistenza idrodinamica, la forza che si oppone all'avanzamento dell'imbarcazione, deriva, nella maggior parte degli scafi, dalla formazione di una scia (resistenza d'onda) e dall'attrito fra la carena e l'acqua (resistenza di attrito della superficie bagnata). Per mantenere costante la velocità di una imbarcazione, la spinta idrostatica deve bilanciare il peso e la spinta propulsiva deve bilanciare la resistenza idrodinamica. Obiettivo chiave nella progettazione di un'imbarcazione è la riduzione al minimo della resistenza idrodinamica alla normale velocità operativa. Per raggiungere velocità da competizione, si riduce la resistenza con il ricorso a scafi leggeri, lunghi e stretti.

Dato che la resistenza di attrito rappresenta la fonte principale della resistenza idrodinamica che agisce sullo scafo alle alte velocità, una riduzione sostanziale di quest'ultima è possibile se può essere ridotta la resistenza di attrito. Questa prende origine da un sottile velo d'acqua, conosciuto come strato limite, che scorre lungo la carena dell'imbarcazione. Esistono due tipi fondamentali di strato limite: uno laminare, in cui lo scorrimento è lineare e stazionario, e uno turbolento, in cui lo scorrimento è caotico e non stazionario. Gli strati limite laminari producono una resistenza di attrito molto inferiore a quella prodotta dagli strati limite turbolenti. Lo strato limite su uno scafo è laminare a prua, ma spostandosi anche di poco verso poppa si trasforma in un flusso turbolento. La resistenza idrodinamica è sensibilmente ridotta se questa transizione è ritardata, aumentando così l'area dello scorrimento laminare sulla carena.
Uno dei sistemi per aumentare lo strato limite laminare, applicato su alcuni particolari mezzi subacquei, è l'iniezione di polimeri a catena lunga nello strato limite vicino alla prua dell'imbarcazione. Le organizzazioni che stilano i regolamenti delle gare non sono molto favorevoli ad ammettere questo sistema nelle competizioni, se non altro perché inquina l'acqua. Un procedimento maggiormente accettabile sarebbe quello di coltivare con molta cura uno strato di alghe o altri innocui microrganismi per creare un velo viscido sulla carena.
L'aspirazione dello strato limite rappresenta un'altra tecnica adottata per stabilizzare lo strato limite laminare. In questo procedimento il fluido nello strato limite è continuamente «succhiato» all'interno dell'imbarcazione attraverso pori o piccole fessure sulla superficie della carena. La tecnica dell'aspirazione dello strato limite potrebbe essere effettivamente impiegata sugli scafi se questi venissero costruiti con carene in materiali porosi che permettessero all'acqua di filtrare capillarmente. Potrebbe venir utilizzata una piccola pompa per eliminare, di tanto in tanto, l'acqua che viene aspirata.
La rifinitura della superficie bagnata della carena può anche influire sulla riduzione della resistenza di attrito. Studi condotti sotto l'egida della National Aeronautics and Space Administration hanno dimostrato che una superficie lisciata a cera non sempre comporta una diminuzione della resistenza di attrito. Superfici con sottilissime scanalature nella direzione del flusso, dette «riblet», hanno presentato il sei per cento in meno di resistenza dì attrito rispetto alle superfici completamente lisce.
Queste scanalature sono state provate da un equipaggio di rematori provenienti da un gruppo del Flight Research Institute diretto da Douglas McLean della Boeing Company. Uno scafo monoposto venne ricoperto con un rivestimento sperimentale di plastica in cui erano state praticate delle scanalature. Lo spazio fra le scanalature era la tremillesima parte di un pollice (circa 80 micrometri), inferiore quindi all'intervallo fra i solchi di un disco fonografico. Le prove dimostrarono che la velocità massima dello scafo era maggiore del due per cento. Sebbene questo valore possa sembrare insignificante, su un percorso standard di 2000 metri è equivalente a un vantaggio di quattro lunghezze.
Sulla base di questi incoraggianti risultati, il rivestimento sperimentale venne applicato sulla carena dello scafo di un equipaggio olimpico americano «quattro con». (Un'imbarcazione «con» è governata da un timoniere che non rema, ma che dà la cadenza della remata all'equipaggio.) L'equipaggio raggiunse un ottimo risultato, conquistando la medaglia d'argento nei giochi estivi del 1984.

potenza La potenza necessaria a un'imbarcazione a propulsione umana per raggiungere una determinata velocità per un certo periodo di tempo dipende dal progetto dello scafo. Il grafico a sinistra mostra la potenza richiesta per uno scafo a remi, che si affida al dislocamento dell'acqua prodotto dalla sua carena per la maggior parte del suo sostentamento, paragonato con altri due progetti di scafi (uno progettato e costruito da due degli autori) che si affidano al sostentamento dinamico prodotto da ali idrodinamiche. Alle basse velocità gli scafi a dislocamento sono più efficienti degli scafi con ali idrodinamiche. Attualmente gli scafi con ali idrodinamiche hanno una velocità minima al di sotto della quale le ali idrodinamiche non permettono di sostenere il peso totale dello scafo e del pilota. A velocità più elevate, tuttavia, la situazione muta: le imbarcazioni ad ali idrodinamiche sono più efficienti degli scafi a dislocamento. Il grafico a destra mostra come la potenza che un atleta può fornire diminuisce con la durata dello sforzo. Per periodi limitati la potenza generata dal movimento circolare dei pedali è notevolmente più alta di quella generata remando. Un progetto ottimale con ali idrodinamiche potrebbe rendere possibile il raggiungimento di velocità superiori ai 20 nodi. Una tale impresa richiederebbe livelli di potenza che possono essere ottenuti solamente pedalando e solo per pochi secondi. Uno scafo che montasse una tale ala idrodinamica avrebbe però difficoltà a partire: la sua velocità di «decollo» dovrebbe superare gli 11 nodi.

In aggiunta alla bassa resistenza idrodinamica, un altro ingrediente essenziale per portare un'imbarcazione al successo è un buon rendimento nella propulsione: quanta più energia umana possibile deve essere convertita in spinta propulsiva utile. Nel caso della remata, i due maggiori progressi nel rendimento della propulsione risalgono alla metà del XIX secolo. Uno fu lo sviluppo del moderno supporto per lo scalmo nel 1843. Il supporto è un congegno attaccato al fianco dell'imbarcazione: lo scalmo (o punto di fulcro) per il remo si trova all'estremità del supporto a treppiede. Poiché non era più necessario attaccare lo scalmo direttamente sulla cinta dello scafo o sul lato, la carena poteva essere più stretta (riducendo la resistenza idrodinamica d'onda) e i remi potevano essere più lunghi (permettendo ai rematori di dare remate più lunghe ed efficaci).
Il secondo progresso fu realizzato nel 1856: il seggiolino scorrevole. Fino a quel momento le imbarcazioni a remi erano spinte dallo sforzo dei muscoli delle braccia, delle spalle e della schiena, mentre i potenti muscoli delle gambe venivano utilizzati soltanto per tenere in allenamento il corpo o per fargli da sostegno. La remata comportava un notevole sforzo per vincere lentamente la resistenza. L'installazione del seggiolino scorrevole fece sì che l'energia dei muscoli delle gambe venisse utilizzata, poiché il sedile si muove avanti e indietro quando si flettono e si allungano le gambe durante il ciclo completo della remata. Il primo seggiolino scorrevole era piuttosto rudimentale e consisteva in un cuscino di pelle di capra che scivolava su un pannello lubrificato con del grasso. Il sedile su cuscinetti, ancora in uso oggi, fu inventato negli Stati Uniti nel 1857.
Nel 1981 su uno scafo con una variante del sedile scorrevole Peter Michael Kolbe vinse il campionato del mondo a Monaco. A differenza degli scafi convenzionali che hanno sedili scorrevoli, ma supporti e traversine, o pedane, fissi, l'imbarcazione realizzata per Kolbe era dotata di un sedile fisso e di una struttura scorrevole che sosteneva le traversine (e gli scalmi). Con questa combinazione, il movimento per la remata è uguale a quello che si farebbe su uno scafo convenzionale, ma dal momento che la maggior parte della massa del rematore grava sul sedile fisso (e non su quello scorrevole), le oscillazioni del centro di massa (che più o meno coincide con il rematore) sono notevolmente ridotte. Ciò, a sua volta, fa diminuire le oscillazioni di velocità a cui uno scafo è soggetto quando si muove attraverso l'acqua. (In uno scafo convenzionale queste oscillazioni si manifestano, quando si rema con una certa foga, con il caratteristico avanzamento a scatti.)
Poiché la resistenza di attrito non è una funzione lineare della velocità dell'acqua rispetto alla carena (infatti è proporzionale al quadrato della velocità), una velocità variabile produce sempre più resistenza idrodinamica di quanto avverrebbe se l'imbarcazione si muovesse in modo costante alla velocità media. La riduzione della resistenza idrodinamica delle appendici ottenuta con l'impiego dello scalmo scorrevole è scarsa, ma sufficiente a creare una significativa differenza in gara. Nella finale del campionato del mondo del 1982 cinque imbarcazioni avevano sedili fissi e supporti degli scalmi scorrevoli. Nel 1983 tutti e sei i finalisti gareggiavano su imbarcazioni con supporti scorrevoli. Dopo il 1983, tuttavia, questo tipo di imbarcazione venne escluso dalle competizioni.

Benché l'aggiunta del supporto degli scalmi e del sedile scorrevole avessero aumentato sensibilmente il rendimento propulsivo della remata, la remata stessa aveva una limitazione fondamentale. Remi e pagaie sono di per se stessi congegni di attrito: producono una spinta propulsiva slittando indietro attraverso l'acqua. Lo slittamento rappresenta una perdita di rendimento che può essere limitata aumentando la superficie della pala del remo, ma solo entro certi limiti, per motivi pratici. Per di più la resistenza aerodinamica causata dalle pale quando sono fuori dall'acqua, durante la fase di ritorno, può essere elevata, in particolar modo in presenza di vento forte.
Il rendimento di un sistema propulsivo è definito come rapporto fra potenza utile prodotta, che è il prodotto della spinta propulsiva media per la velocità, e la potenza umana applicata. Non tutti i dettagli fisici, per quanto concerne la remata, sono conosciuti, ma studi fatti da diversi ricercatori hanno collocato il rendimento propulsivo della remata fra il 65 e il 75 per cento. Quindi circa due terzi della potenza prodotta da un rematore vengono trasmessi all'imbarcazione come lavoro utile; il resto va a creare perturbazioni nell'acqua e nell'aria.
Nelle imbarcazioni a motore sono stati abbandonati molto tempo fa i sistemi di propulsione con congegni di attrito, come la ruota, a favore dell'elica. E' interessante notare come, prima dello sviluppo dei piccoli fuoribordo a benzina all'inizio del secolo, i mezzi a propulsione umana dotati di elica fossero in fase di sviluppo nel settore dei mezzi di trasporto. Tali scafi spinti da eliche si sono dimostrati maggiormente veloci e meno stancanti di canoe o di imbarcazioni a remi. Nel 1890 un catamarano (un'imbarcazione con due scafi), spinto a eliche da un equipaggio di tre persone, si dimostrò più veloce del 13 per cento rispetto a uno scafo con tre rematori su un percorso di 163 chilometri lungo il Tamigi.
Le eliche presentano alcuni svantaggi: possono imbrattarsi con alghe e possono toccare il fondo nei bassi fondali; tuttavia sono particolarmente adatte alla propulsione umana. Si possono sfruttare progetti di eliche ad alto rendimento le cui pale abbiano un grado di snellezza maggiore, poiché il livello di potenza è abbastanza basso. Per di più, le velocità periferiche sono sufficientemente basse per non creare problemi di cavitazione. (La cavitazione è la formazione di bolle di vapore quando la pressione assoluta su alcune parti dell'elica che gira è ridotta al di sotto della tensione di vapore dell'acqua; il fenomeno riduce il rendimento e può causare un'eccessiva corrosione sulla superficie delle pale.) Parecchi nuovi scafi a propulsione umana sono stati dotati di eliche il cui rendimento supera il 90 per cento.
Il moto rotatorio di un'elica è relativamente facile da ottenere con un sistema di pedali, ingranaggi e catene molto simili a quelli di una bicicletta. Un sistema del genere trae vantaggio dai forti e rapidi movimenti delle gambe. Il movimento circolare del pedalare su una bicicletta rimane il più efficiente e pratico sistema per un trasferimento continuo di energia da un corpo umano a una macchina. (Non è una coincidenza che i mezzi a propulsione umana sia aerei sia su terra con cui sono stati stabiliti record si basino sul sistema di trasmissione a catena di bicicletta.)
Un campione di ciclismo può produrre quasi due cavalli di potenza per alcuni secondi di massimo sforzo. Per periodi di sforzo continuo oltre i sei minuti, invece, la potenza prodotta non supera il mezzo cavallo. Parecchi fattori influiscono sulla produzione di potenza: l'andamento della pedalata, l'altezza della sella, la lunghezza del braccio del pedale, le condizioni fisiche e la determinazione del ciclista. Il movimento tradizionale del remare, dove il rematore è seduto fermo e aziona soltanto i muscoli della schiena, delle braccia e delle spalle, produce considerevolmente meno potenza di quanto faccia il movimento del pedalare del ciclista. L'introduzione del seggiolino scorrevole ha incrementato la potenza della remata fino a rivaleggiare con quella della pedalata - almeno per periodi superiori ai pochi minuti. (Il vantaggio viene perso però dopo circa un minuto, per i limiti posti dai sistemi circolatorio e respiratorio dell'uomo.)
I vantaggi relativi a uno scafo spinto a pedali rispetto a quelli di uno scafo a remi stanno quindi in prevalenza nel fatto che i remi sono meccanismi meno efficienti per convogliare energia umana nella propulsione di uno scafo. Per di più la velocità discontinua di un'imbarcazione a remi, rispetto all'andatura senza strappi che si può raggiungere con un'elica, determina una maggiore penalizzazione nella resistenza idrodinamica.

tipi Gli scafi a propulsione umana possono differire per forma, per materiali di costruzione e per sistemi di propulsione. Gli scafi relativamente primitivi erano spinti da pali (a-c) o da pagaie (d,e) e costruiti con i più svariati materiali naturali, come giunco, legno e pelli di animali. Gli scafi moderni sono costruiti in legno o in metallo e spinti da remi (f), un sistema che richiede l'uso delle braccia, delle spalle, della schiena, o sono spinti da ruote a pedali, mettendo in azione i forti muscoli delle gambe (g). Gli scafi a elica spinti da pedali (h-j) sono più efficienti delle barche a remi o con ruota a pedali. Progetti e materiali nuovi hanno anche ridotto la resistenza idrodinamica che questi scafi incontrano. La carena sommersa dello scafo sperimentale di Theodore Schmidt (j) elimina con successo, per esempio, il problema della resistenza d'onda.

Alcuni progettisti di scafi veloci a propulsione umana hanno anche tentato di ridurre la resistenza idrodinamica con sistemi nuovi. Un modo per eliminare potenzialmente la resistenza d'onda e nel medesimo tempo ridurre la resistenza di attrito è quello di sommergere la carena; in questo caso la persona a bordo dovrebbe trovarsi fuori dall'acqua sostenuta da stretti supporti sporgenti sopra la carena. Una carena con la minima resistenza idrodinamica ha, in questo caso, la forma di una goccia d'acqua con una lunghezza compresa fra tre e quattro volte la sua larghezza.
Per il pilota sarebbe difficile, se non impossibile, tenere in equilibrio questo tipo di struttura, paragonabile a quella di un monociclo. Theodore Schmidt ha superato parzialmente questo problema collegando quattro piccole ali idrodinamiche a una carena sommersa sperimentale da lui stesso progettata. Una geometria a triciclo con tre carene sommerse più piccole sarebbe più stabile ma non altrettanto efficiente. Dacché il rapporto tra superficie dello scafo e dislocamento diventa più piccolo a mano a mano che il dislocamento aumenta, una carena grande ha un'area superficiale minore di tre carene piccole con la stessa spinta di galleggiamento totale.
Il problema dell'equilibrio di una carena singola subacquea potrebbe essere risolto collocando il guidatore nella carena, creando così un sommergibile. Ma una carena a profilo aerodinamico, abbastanza grande per contenere una persona, dislocherebbe una quantità di acqua molto maggiore e avrebbe una area superficiale superiore a quella di una carena con una spinta di galleggiamento giusto sufficiente a sostenere il peso di una persona. Sebbene un sommergibile a propulsione umana non sia ottimale come mezzo di trasporto vicino alla superficie dell'acqua, esso potrebbe costituire un notevole miglioramento rispetto a un sommozzatore con pinne. All'inizio degli anni cinquanta un sommergibile di questo tipo spinto da due persone, progettato da Calvin Gongwer e chiamato Mini-Sub, venne prodotto in un numero ridotto di esemplari dalla Aerojet-General Corporation. Spinto da una coppia di eliche controrotanti di 760 millimetri di diametro, pare che il Mini-Sub potesse raggiungere sette nodi di velocità: circa tre volte la velocità alla quale un sommozzatore può nuotare sott'acqua.
Altri progetti cercano di ridurre la seconda maggior componente della resistenza idrodinamica, la resistenza di attrito, sfruttando il sostentamento dinamico per far uscire dall'acqua parte dello scafo così da ridurre la superficie bagnata. Benché il sostentamento dinamico provochi una penalizzazione in resistenza idrodinamica, in tanti casi la riduzione della resistenza di attrito riesce più che a compensare la resistenza idrodinamica dovuta al sostentamento dinamico.
Scafi a propulsione umana che usano il sostentamento dinamico per planare sono ancora nella fantasia dei progettisti, ma è stato usato con successo un altro modo per generare il sostentamento dinamico: le ali idrodinamiche. Le ali idrodinamiche sono ali che funzionano sott'acqua producendo un sostentamento, analogamente all'azione delle ali di un aeroplano. La dimensione di un'ala idrodinamica è abbastanza modesta in paragone a quella di un'ala di aeroplano. Per esempio, alla velocità di nove nodi è necessario, per produrre abbastanza sostentamento da reggere una persona fuori dall'acqua, qualcosa di meno della decima parte di un metro quadrato di superficie alare. Un'ala idrodinamica progettata per produrre il medesimo sostentamento a una velocità doppia richiederebbe solo un quarto della superficie precedente.
Sebbene la ridotta superficie bagnata di un'ala idrodinamica provochi una minima resistenza di attrito, le ali idrodinamiche danno origine a un altro tipo di resistenza idrodinamica. L'ala idrodinamica si muove attraverso l'acqua lasciando dietro di sé una scia di vortici analogamente a quanto avviene con le ali di un aeroplano. L'energia spesa per generare la scia di vortici si manifesta come resistenza indotta. Anche lo spruzzo sollevato dai supporti verticali dell'ala idrodinamica, a mano a mano che tagliano la superficie dell'acqua, rappresenta una resistenza supplementare.
Un altro grande problema della propulsione umana con mezzi ad ali idrodinamiche è quello di raggiungere nell'acqua una velocità relativamente elevata necessaria per potere decollare e sostenersi sull'acqua. Siccome a velocità zero l'ala idrodinamica non produce sostentamento, è necessario un altro sistema di galleggiamento, come una carena dislocante, all'inizio e alla fine del «volo». Un'ala studiata per planare sull'acqua dovrebbe muoversi a 10 nodi prima di generare una spinta di sostentamento tale da reggere lo scafo e il pilota. Questa velocità potrebbe essere impossibile da raggiungere mentre lo scafo è ancora sostenuto sull'acqua dalla sua carena a dislocamento. Un'ala idrodinamica più grande ridurrebbe la velocità di decollo, ma la resistenza provocata dall'incremento di superficie non permetterebbe allo scafo di andare così veloce.
Sovrapponendo una sull'altra le ali idrodinamiche in modo tale che le più piccole siano sotto alle più grandi, come avviene negli aliscafi a motore, si potrebbe aggirare il problema. Uno scafo con ali a scala, di larghezza decrescente, potrebbe decollare alle basse velocità sulle ali superiori più grandi. Una volta raggiunta una velocità abbastanza elevata perché il sostentamento prodotto dalle ali inferiori sia sufficiente per sostenere lo scafo, questo si alzerebbe ulteriormente togliendo dall'acqua le ali più grandi e riducendo così la resistenza. A causa delle difficoltà intrinseche associate alle ali idrodinamiche, gli scafi a propulsione umana non hanno la stessa potenzialità di velocità degli aeroplani a propulsione umana che hanno raggiunto velocità superiori ai 25 nodi.

Flying Fish II Flying Fish II è uno scafo a propulsione umana con ali idrodinamiche, progettato e costruito da due degli autori (Brooks e Abbon). Lo scafo, spinto da un congegno a pedali, con elica ad alto rendimento, decolla a sei nodi e ha una velocità massima di circa 14 nodi. Si guida proprio come una bicicletta. La prima versione non aveva galleggianti laterali e aveva quindi bisogno di una rampa di lancio a catapulta per raggiungere la velocità di decollo. Nell'attuale versione i galleggianti sostengono lo scafo in modo tale che si possa raggiungere la velocità di decollo con partenza da fermo. La profondità a cui le ali idrodinamiche «volano» è controllata automaticamente da una leva a forma di spatola che segue la superficie dell'acqua ed è collegata a un sottile flap (timone di profondità) sull'ala idrodinamica frontale. Lo scafo ha coperto un percorso di 2000 metri in un tempo di circa 10 secondi inferiore a quanto sia il record di un rematore a bordo di uno scafo da competizione.

Fino a poco tempo addietro tutti i record di velocità di scafi a propulsione umana erano detenuti da scafi a dislocamento con propulsione a remi. Nel 1984, nell'intento di superare queste velocità, due di noi (Brooks e Abbott) hanno progettato e costruito Flying Fish I, il primo scafo ad ali idrodinamiche capace di «volare» solo con propulsione umana. Lo spinoso problema di portare lo scafo al di là della velocità di decollo, che tormentava fin dall'inizio i progettisti, fu inizialmente superato eliminando la necessità di avere una carena dislocante. La velocità per volare fu raggiunta catapultando lo scafo nell'acqua da una piattaforma galleggiante grosso modo come vengono fatti decollare gli aerei dal ponte di una portaerei. Usando la partenza «lanciata», il ciclista Steve Hegg, medaglia d'oro olimpica, coprì, pedalando su Flying Fish I, una distanza di 2000 metri in 6 minuti e 38 secondi, migliorando di 11 secondi il record del mondo di un singolo rematore. Il tempo, naturalmente, non è direttamente paragonabile, perché il record di remata era ottenuto con partenza da fermo.
Flying Fish I ha un'elica a pedali ad alto rendimento e due ali sottili sostenute da strette strutture verticali. L'ala principale, che porta il 90 per cento del peso dello scafo, ha una grande apertura alare (1,8 metri) per ridurre al minimo la resistenza indotta e corda, o larghezza, piccola per ridurre la resistenza di attrito. L'ala frontale più piccola ha una configurazione molto simile a una T rovesciata ed è soggetta a un carico leggero: il suo compito principale è quello di fornire stabilità e controllo. A questo scopo è collegata con un piccolo congegno a forma di spatola che controlla automaticamente la profondità dell'ala. Il congegno pattina sulla superficie dell'acqua regolando continuamente un sottile flap (simile al timone di profondità sulla coda di un aereo) al quale è collegato.
Il sostegno dell'ala frontale funge anche da timone ed è collegato al manubrio della bicicletta per potere virare. Lo scafo si guida allo stesso modo di una bicicletta. La struttura che normalmente sta al di fuori dell'acqua è infatti il telaio di una bicicletta modificato.
Flying Fish II è stato sviluppato migliorando la prima versione del nostro scafo. Abbiamo attaccato dei galleggianti leggeri sperando di poter decollare da fermo senza assistenza. Questo si è dimostrato possibile e, con l'allenamento, sono risultati necessari solo tre secondi per raggiungere la posizione di volo con partenza da fermo. Lo scafo è diventato così più pratico potendo anche «atterrare» e decollare sui suoi galleggianti. (Il Flying Fish I, che veniva catapultato, procurava al pilota un bel bagno quando questi smetteva di pedalare.)
A bordo del Flying Fish II uno di noi (Abbott) fece registrare il tempo record di 6 minuti e 39,44 secondi per coprire un percorso di 2000 metri con partenza da fermo, circa 10 secondi in meno del record di uno scafo con un solo rematore. Con partenza in velocità lo scafo ad ala idrodinamica ha permesso di coprire un percorso lanciato di 250 metri in 38,46 secondi, raggiungendo la velocità di circa 13 nodi.

Il tempo è maturo per una rivoluzione tecnologica negli scafi a propulsione umana. Laser International ha appena introdotto il Mallard, uno scafo navigante parzialmente coperto progettato da Garry Hoyt. Diversi nuovi catamarani a pedali e proa (scafi che hanno una carena principale e un piccolo bilanciere stabilizzante) offrono buona tenuta in condizioni di mare mosso e una velocità impressionante. Jon Knapp della Saber Craft ha progettato e costruito un proa con propulsione a elica che è più veloce di uno scafo monocarena in acque mosse, ma che, diversamente da quest'ultimo, non richiede particolare abilità per il governo. Il Dorycycle, un monoscafo a propulsione a elica progettato da Philip Thiel, offre buone capacità di carico a velocità doppie rispetto a quelle del dory a remi da cui è derivato.
A prescindere dal fatto che gli scafi ad ala idrodinamica possano o meno diventare popolari nel diporto, sembra fuori di dubbio che saranno alla ribalta nei prossimi miglioramenti di record. La International Human Powered Vehicle Association incoraggia la competizione fra i mezzi a propulsione umana su terra, in acqua e in aria, senza alcun limite arbitrario nella loro progettazione. Tale competizione spingerà sempre più in alto i valori della velocità degli scafi ad ala idrodinamica a propulsione umana. Non è esagerato prevedere scafi di questo genere in grado di raggiungere velocità addirittura dell'ordine dei 20 nodi: valori una volta e mezzo superiori alla velocità di Flying Fish II.

© La Gazzetta di Santa