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    Pezzi di storia

Genova, turismo e clima secondo un medico dell'ottocento
di Giovanni Pesce

Genova – ottobre 1963

Ancora una vecchia descrizione di Genova, una testimonianza straniera sulla curiosità e l'ammirazione che la nostra terra suscitava nei foresti giunti per diporto o per affari nel golfo ligure. copertina Questa volta si tratta di una descrizione concisa e singolare - 68 pagine stampate a Londra nel 1844 dallo Smith - compilata dal dott. Henry Jones Bunnett, un medico inglese residente ispettore generale degli ospedali di Spagna, capitato chissà come a Genova. Lo scopo del libretto è premesso nella presentazione ed annunciato nel sottotitolo: A description historical and topographical with remarks on the climate and its inftuence upon invalids. E' pertanto il frutto di osservazioni raccolte nella nostra città con dettagliate notizie sulla storia, sull'arte, sull'indole degli abitanti e nel contempo è una guida preziosa sui benefici o sui danni del clima ligure per i malati ed i convalescenti.
Si tratta di un manualetto pratico, di quelle guide che gli inglesi dell'ottocento solevano compilare per comodità del turismo specifico; di un loro turismo interessato, messo a disposizione dei malati e dei convalescenti, che pervenivano sulle coste marittime liguri per beneficiare del sole e del clima temperato mediterraneo.
Indubbiamente i turisti inglesi che invasero la Liguria nella prima metà del secolo passato avevano nel loro bagaglio questa preziosa descrizione storico-topografica e furon proprio le notizie raccolte da un medico nell'ultimo capitolo - on the climate and its influence upon invalids - a deciderli per un soggiorno tra noi, per quanto, a proposito di clima, la guida non sia di grande aiuto.

pezzotto Signora in pezzotto

Il libro contiene curiose impressioni personali che qua e là completano la descrizione e rendono quanto mai interessante la lettura. Il primo capitolo riguarda la storia di Genova e della Liguria: l'Autore dimostra di aver letto quanto ha potuto in fatto di notizie e dimostra di essere bene informato: rileva l'importanza di Genova quale repubblica marinara, nei confronti di Venezia, con la quale ebbe nel medio-evo rivalità di iniziative marittime e commerciali: attualmente mercé la saggia amministrazione del regno Sardo, Genova è a suo giudizio superiore alla consorella adriatica, ormai soppiantata da Trieste, mentre nel porto ligure continuano i grandi traffici di passeggeri e di merci. Risaltano in particolare le eccezionali qualità del popolo genovese il quale, costretto ad occupare una esigua striscia di terreno tra monti e mare, trovò un logico sfogo nell'espansione coloniale verso il medio-oriente, creando empori ed esercitando la mercatura, trovandosi nel contempo interessato alla politica medioevale mediterranea.
Dopo brevi premesse sull'età classica, l'A. ricorda che la Genova dei Greci, probabilmente fondata come emporio commerciale dai navigatori Fenici, fu capitale dei Liguri e venne dai Romani denominata Genua. Alla caduta dell'impero romano il suo nome venne in seguito modificato in Janua, allorquando fu di moda l'assurda favola che riteneva Giano fondatore della città; comunque è bene ricordare che l'antica denominazione Genua, citata dagli storici latini, è confortata da iscrizioni che risalgono al III-II secolo a.C.
Distrutta una prima volta da Magone e seriamente danneggiata dai Goti, Genova venne ridotta in macerie da Rotari; risorse per opera di Carlo Magno ed ebbe allora i primi governatori franchi che la difesero dai Saraceni. Affermatisi in un primo tempo con l'istituzione di empori nel medio-oriente, i Genovesi continuarono l'espansione coloniale con l'occupazione della Corsica, l'isola che per secoli sarà il loro miglior possedimento.
Il nostro medico riconosce con gli altri storici che le notizie relative alle vicende genovesi, a partire dal Caffaro ed attraverso i successivi annalisti, sono precise ed ininterrotte: pone soprattutto in rilievo l'importanza delle lotte intestine che non tardarono ad escludere i Genovesi dalla politica estera e favorirono a ritmo continuato l'ingerenza straniera nel governo della Repubblica.

Gigante Panorama dal Gigante (San Rocco)
con la chiesa di San Tommaso nel 1860

Molte notizie sono inesatte: valga per tutte quella della decapitazione di Simon Boccanegra voluta dai Francesi; comunque la trattazione appare metodicamente esemplificata con il giusto rilievo dei fatti più importanti. Le lotte tra le due famiglie degli Adorno e dei Fregoso, che per secoli si contesero aspramente il potere, sono messe nel giusto rilievo e viene denunciata come logica conseguenza la loro definitiva esclusione dal governo nella premessa alla riforma apportata da Andrea Doria nel 1528.
Per il nostro Autore la storia del colonialismo genovese si conclude con la cessione della Corsica ai Francesi (15 maggio 1768) «poco prima - scrive testualmente - che ad Aiaccio nascesse Napoleone Buonaparte. I Genovesi sonnecchiarono per un centinaio di anni in uno stato di opulenta snervatura dopo la vendita detta Corsica, finché furono invasi dalle truppe napoleoniche ed ebbero a sopportare i loro guai con l'occupazione di Massena ed il blocco degli alleati».
Alla caduta di Napoleone Genova ricostituì una effimera Repubblica indipendente, ma «i sovrani d'Europa, i cui ministri parteciparono al Congresso di Vienna, giudicarono miglior partito per gli interessi d'Italia e per il consolidamento della pace, che Genova e Venezia non fossero più esposte ai pericoli derivanti dalla loro debolezza territoriale, senza possibilità di difesa e pertanto decisero di incorporare la Liguria nei domini della monarchia Sabauda e di cedere il Veneto all'Austria».
Genova è attualmente - secondo l'A. - il gioiello più splendente del Regno Sardo e può ritenersi giustamente un rinnovato centro di commerci marittimi e terrestri.
Fin qui l'esposizione dei fatti storici. Nel capitolo successivo la descrizione di Genova e più ancora le succose impressioni sui suoi abitanti costituiscono senza dubbio l'argomento più interessante del libro.
Dopo aver sottolineato ancora una volta che all'epoca dei Liguri il dominio di Genova abbracciava un territorio enorme, ben più vasto dell'attuale comprendente soltanto 272 comuni, l'A. trova singolare che la città sia costruita per i suoi tre quarti su zona accidentata: vista dal mare, anche se non rassomiglia a Napoli, non ne è inferiore per bellezza ed imponenza. E' disposta ad anfiteatro, con i promontori di San Benigno ad occidente e di Carignano ad oriente: non si possono contare le magnifiche, aristocratiche ville che popolano il suburbio.
Due torrenti che in seguito alle calure estive si fanno minacciosi per le piogge autunnali producendo allagamenti e disastri, rendono ubertose le rispettive vallate. Specialmente quella del Polcevera, ad occidente della città, è sede di culture per vini pregiati, di castagne e di ortaggi. I vini della Liguria sono conosciuti in tutto il mondo, ma l'A. rileva che i migliori tipi a lui offerti erano di provenienza francese. Malgrado la bontà delle coltivazioni i contadini non riescono a tirare avanti con la scarsa resa dei prodotti del suolo e per questo emigrano in massa nel sud America, specie a Buenos Aires.

spallarolo Spallarolo
dell'alta Polcevera

Il miglior prodotto della terra ligure è l'olio d'oliva: ottimo fra tutti quello di Diano, ma i frutti dell'olivo sono molto sensibili agli sbalzi di temperatura ed alle variazioni dell'umidità. Il grano locale non è sufficiente a coprire il consumo e pertanto se ne importa dal Piemonte, dalla Sardegna e dal mar Nero. Ottimo il latte e squisito il burro: il formaggio è però importato da Parma, dalla Sardegna e dall'Olanda. Non esistono estensioni naturali di terreno pronte per lo sfruttamento agricolo: soltanto con snervanti lavori di adattamento del suolo accidentato è possibile ottenere campi per la semina.
Circa la natura e le qualità dei Liguri e dei Genovesi in ispecie, a detta dell'Autore non esiste al mondo altro popolo che sia così dedito al guadagno e che porti tanto amore per i traffici della mercatura che viene esercitata in ogni classe: per un buon genovese fare i propri interessi traendone profitto, è aspirazione predominante e solo se gli rimane un po' di tempo può cercare qualche svago intellettuale, molto ristretto però, perché di norma i genovesi viaggiano esclusivamente per affari e pertanto trascurano di conoscere usi, costumi ed opere d'arte delle località in cui si trovano!

grano Camallo da grano

Gli uomini, anche se appartengono alle classi più umili, sono decentemente vestiti e le donne, pulite ed ordinate, adornano le orecchie con grandi anelli d'oro e portano al collo catene di considerevole valore alle quali attaccano croci o medaglie con effigi di santi; portano i capelli - di solito nerissimi - divisi in fronte, trattenuti posteriormente da una spilla d'oro che ferma il «mézaro», sorta di mussola bianca scendente ai lati fino ai piedi: è il costume caratteristico delle donne della classe media. Le contadine invece portano mèzari di cotone impresso con raffigurazioni multicolori di animali, alberi e case, evidente residuo di costumi indiani ed arabo-moreschi. Le più giovani ornano i loro capelli con garofani e gelsomini.
Passando alle arti ed alla letteratura il nostro Autore se la sbriga con brevi notizie: poco coltivate le lettere; le arti mantenute soltanto da qualche incoraggiante premio offerto dalle persone più facoltose: ancora una volta vien sottolineala l'occupazione della mercatura che distoglie i Genovesi dall'interessamento alle arti liberali. Esiste una Accademia di pittura: la nuova sede è stata costruita nel 1831 in piazza Carlo Felice su progetto del Barabino ed è frequentata gratuitamente da un centinaio di allievi, grazie al mecenatismo del marchese Marcello Durazzo. Le lettere potrebbero essere coltivate, ma molto si dovrebbe fare per riportarle al livello raggiunto in passato.
C'è un'Università, con sede in strada Balbi, in un magnifico palazzo costruito dall'architetto Bartolomeo Bianco: è ampio e sufficiente ad ospitare le varie branche dello studio. Possiede ricche collezioni di storia naturale ed una importante biblioteca nella quale abbondano edizioni rare e manoscritti arabi e cinesi: meravigliosi i due leoni in marmo ai piedi dello scalone di accesso. Genova ospita altre importanti biblioteche: una appartenente alle Missioni Urbane ed un'altra, dovuta alla munificenza della famiglia Berio, in piazza C. Felice, presso l'Accademia.

olio Camallo d'olio

Le più belle strade di Genova sono la Nuova, la Nuovisima e la strada Balbi. La Nuova risale al 1552 e venne costruita demolendo un vecchio quartiere: è la via aristocratica, con due file di magnifici palazzi - sette a sud, sei a nord - quasi tutti opera di Galeazzo Alessi. La strada Nuovissima parte dalle Fontane Marose e si dirige verso levante: è la via dei negozi. Nella direzione opposta, da piazza dell'Annunziata, si parte la strada Balbi, considerata dall'A. inferiore alle altre due, sebbene vi sia il palazzo reale.
Il porto è grande e comodo: l'ingresso è protetto da due moli, entrambi muniti di «lanterna». Il faro maggiore - la Lanterna per antonomasia - è opera di sapiente architettura: è costruita su un promontorio roccioso (capo di faro); è alta e potente e la sua luce si vede a trenta miglia di distanza.
Il traffico commerciale del porto si svolge con l'esportazione di tessuti, specialmente un tipo scadente di seta chiamata «filosella» nella cui produzione sono occupati circa duemila artigiani. Esistono in città e nei dintorni numerosi telai per la produzione di generi di abbigliamento.

ortolana Ortolana di Bisagno in gala

La lavorazione dell'oro e dell'argento sotto forma di filigrane ha raggiunto la perfezione: lo stesso dicasi per la lavorazione del corallo che è pescato dai Genovesi sulle coste della Sardegna e della Corsica e persino nell'Africa del nord. Genova produce anche ottima carta, specie a Pegli ed a Voltri e circa cinquemila operai attendono a questa lavorazione, il cui prodotto va specialmente in America e nel Levante.
La maggior produzione locale in partenza dal porto è costituita dal grano e dall'olio per la Francia e per l'Inghilterra. Tuttavia si precisa che un forte quantitativo di grano è in realtà di produzione straniera e viene rispedita su navi. L'esportazione attuale dell'olio d'oliva, prodotto nella Riviera di ponente, ammonta a cinque milioni di Franchi all'anno.
Tra i locali pubblici è ricordata la società del Casino cui appartengono i più noti commercianti che vi riuniscono amici ed invitati. Tra i palazzi residenziali è celebre la villa delle peschiere e notevoli il palazzo Saliceti sulla passeggiata dell'Acquasola ed il palazzo Cambiaso in Strada Nuova.

vino Camalli da vino

I forestieri possono trovare comodo alloggio in ottimi alberghi quali il Croce dì Malta che è raccomandato per malati, quello delle Quattro Stagioni, d'Italie et de Suisse.
Magnifico il teatro Carlo Felice con bella facciata in marmo e colonnato: è più adatto ai balletti che all'opera lirica; il teatro S. Agostino è invece destinato alla prosa.
Passando alle chiese, l'A. magnifica il Duomo di S. Lorenzo con facciata in stile saraceno» ed interno gotico a strisce in marmo bianco e nero. Conserva le ceneri di S. Giovanni Battista qui trasportate dalla Licia, ed un catino in smeraldo che i Genovesi reputano sia servito per l'Ultima Cena: lo trasferì nella città Guglielmo Embriaco da Cesarea nel 1101. Si conserva inoltre in questa chiesa un piatto in agata che la tradizione vuole sia stato consegnato ad Erodiade con la testa di S. Giovanni : è un dono di Papa Innocenzo VIII. Quadri e marmi non sono degni di rilievo (!). Secondo l'A. la chiesa di S. Siro, già metropolitana, è degna di considerazione unicamente perché possiede la cupola affrescala dai Carloni. Bella senz'altro la chiesa dell'Annunziata che deve il suo splendore alla famiglia Lomellini. Importante inoltre la chiesa di S. Ambrogio fondata dai Milanesi durante l'invasione longobardica, che contiene quadri preziosi del Rubens, del Piola e del Reni.
Le notizie relative alle altre chiese non si discostano da quanto contenuto nelle solite guide della città; unicamente S. Maria di Castello, che l'A. giudica più antica di S. Stefano, è citata come la sede nella quale si convertirono al Cristianesimo i primi Genovesi. La chiesa dei Doria è singolare perché reca scritta sulla facciata la storia della celebre famiglia; contiene inoltre la tomba di Andrea Doria. Della chiesa di S. Agostino si dice solo che ha una magnifica architettura esteriore, ma nell'interno è completamente distrutta dalla rivoluzione del 1797.
Nei riguardi dei palazzi patrizi l'A. elenca le opere d'arte più importanti in essi contenute. Tra le ville del suburbio è ampiamente magnificata quella del marchese Durazzo allo Zerbino e la villetta del marchese Giancarlo Di Negro «che è veramente da considerarsi l'invidiabile ritiro di un letterato ed in perfetta armonia col carattere del proprietario che custodisce in casa sua una preziosa biblioteca, quadri, monete ed oggetti curiosi che volentieri mostra ai visitatori». La villa è attorniata da uno splendido giardino a terrazze e vallette, popolato di piante esotiche e fiori di ogni specie.
Espressioni di meraviglia ha l'A. per le magnifiche ville dei dintorni di Genova, quasi tutte in uno stato di abbandono, perché i loro proprietari preferiscono risiedere nei loro palazzi entro le mura cittadine: è riprovevole come le lascino andare senza provvedere alla loro manutenzione, dimenticando il prestigio che avevano goduto i loro antenati che le avevano costruite così belle! «Eppure - conclude il nostro medico - le ville della collina di Albaro sono splendide per opulenza di costruzione e per grandiosità di giardini che quasi sempre raggiungono il mare». Peccato che si preferisca l'aria confinata entro le mura di Genova e non si goda il clima di Albaro e di Sampierdarena!
Giusto rilievo vien dato al palazzo del Banco di S. Giorgio nei cui ampi saloni si notano le statue dei vecchi benefattori e le lapidi che ne narrano la storia. Sulla facciata di questo palazzo, sede della più vecchia Banca del mondo si vede un pezzo della catena che i Pisani avevano messo all'imboccatura del loro porto e che Corrado Doria nel 1290 ruppe, violando con alcune galere il porto stesso: una lapide che ricorda il fatto è murata nel palazzo di piazza Ponticello.

1821 La Riva dritta del Porto durante la burrasca del 25 dicembre 1821

Di grande importanza il Porto Franco fondato nel 1642: immenso magazzeno di ogni sorta di merci, da visitarsi nelle ore di lavoro per notare l'intenso traffico che vi si svolge: donne, soldati e sacerdoti non possono entrarvi.
Le operazioni di facchinaggio sono svolte dalla Compagnia dei Caravana originaria di Bergamo, che gode particolari privilegi: originariamente costituita da 12 uomini; ora sono 220. E' proverbiale la loro onestà e per questo sono tenuti nella massima considerazione dai mercanti: vestono particolari divise a seconda della mercanzie cui sono destinati e danzano la Moresca, sorta di ballo che è di prammatica nella festività del loro Santo patrono.
Il porto si articola in quattro moli principali che prendono i nomi della Mercanzia, per le merci pregiate; di Ponte Reale per il traffico dei passeggeri; di Ponte Spinola ove risiedono gli Uffici di Sanità ed i magazzeni di carbone ed infine il Ponte delle Legne per i commerci del legname. Il terrazzo in marmo che sovrasta il porto è la meraviglia delle meraviglie: al marmo bianco si alterna la pietra verde tratta dalle cave di Pegli (Varenna).
Tra i monumenti della città è magnificata l'imponenza del ponte di Carignano che, con ardite arcate, allaccia la collina di Sarzano a quella di Carignano.
E' degna di nota la torre degli Embriaci, la più vecchia torre della città, costruita da Guglielmo Embriaco - l'inventore delle torri mobili d'assalto - sfruttate da Goffredo di Buglione per la presa di Gerusalemme.
Il nostro Autore afferma che nessuna città - in tutta Europa, si badi bene - possiede tanta ricchezza d'acqua, che raggiunge tutte le abitazioni, le più elevate comprese. L'acqua giunge in città dai monti e talora con un percorso di 12-15 miglia. L'acquedotto più antico fu approntato dall'architetto Michele Bocanegra nel 1278 e successivamente ingrandito, venne dotato di arditi sifoni e di condotte forzate per assicurare un approvvigionamento costante. L'acqua giunge in città mediante un grande canale coperto denominato il Condotto, meta di suggestive passeggiate nella valle del Bisagno.
Esaurita così la parte storico-topografica, il nostro medico entra nel merito della questione affrontando l'argomento per il quale, in definitiva, aveva proceduto alla compilazione della sua «Guida».
Il clima di Genova e dei dintorni giova molto ai malati in genere, soprattutto perché è temperato: infatti è evidente che una località protetta per tre parti dalle ingiurie dei venti del nord mediante la catena appenninica ed esposta unicamente alla brezze dei venticelli del sud, non possa avere improvvisi sbalzi di temperatura e si addica quindi ai sofferenti ed ai deboli. Probabilmente l'A. si è accorto, mentre scriveva queste notizie, che non rispondevano a verità, perché subito dopo soggiunge: «I due tipi di vento che maggiormente disturbano a Genova sono quello di tramontana che si fa sentire specialmente in inverno, ed il maestrale; inoltre c'è spesso un vento locale, cui si accompagnano pioggia e freddo e ne sopportano i danni tanto i nativi che gli stranieri!» Seguono quindi altre notizie congeneri relative alla primavera che talora, proprio a causa di venti insistenti, è fredda e piovosa, con alternative di neve e di tempeste; inoltre è frequente lo scirocco che reca abbondanti piogge che favoriscono la fioritura dei prati e delle culture. Anche l'estate ha il suo tipo di vento, il ponentino, che attenuta notevolmente la calura, specialmente nella zona di Albaro. L'autore pone in guardia contro l'influsso dei venti e la carica di elettricità che è nell'aria. Particolari attenzioni vanno osservate in autunno, quando cioè più intenso è il turismo: i venti di questa stagione producono burrasche di mare e rendono difficile la navigazione e malsicura la sosta delle navi nei porti (tutti ricordano i disastri provocati dai temporali nel 1820 e nel 1843).

1822 Bisagno in piena e diroccamento del Ponte Pila il 26 ottobre 1822

La stagione critica per i cagionevoli di salute a Genova è quella autunnale per gli improvvisi abbassamenti di temperatura e per il progressivo accorciamento delle giornate: ne conseguono frequenti malattie da raffreddamento.
Preso così come è, il clima ligure, secondo il nostro medico, è utile per le malattie che richiedono tono e vigore, particolarmente nelle forme reumatiche croniche e nelle sofferenze di stomaco causate da atonia e dispepsia. Più efficace ancora il clima della nostra città per le forme linfatiche, per la scrofola e soprattutto per le forme bronchitiche allo stato cronico. Per tutte queste malattie non vi è in Europa altra zona climatica che possa competere con la Liguria! Occorre tuttavia fare molta attenzione all'estrema instabilità delle condizioni climatiche, inoltre è indispensabile che l'apparato circolatorio sia in ordine: individui con lesioni alle arterie, o con sangue grosso, stiano molto attenti agli insulti apoplettici!
Nei mesi estivi poi non dovrebbero abitare a Genova individui sofferenti per eccessiva bile o predisposti alla infiammazione dello stomaco e del fegato: in tal caso chi è costretto a venire in Liguria, cerchi di soffermarvisi il minor tempo possibile. Per tutti gli altri, una prolungata permanenza è raccomandabile.
In appendice alla trattazione il nostro A. descrive gli istituti di cura ed i ricoveri genovesi. Si intrattiene sull'ospedale di Pammatone di cui ricorda il fondatore, l'avvocato Bartolomeo Bosco (1420) e la famiglia dei Pammatone (sic!) che nel 1441 lo ingrandì, specificando che è immenso e può contenere non solo i malati poveri della città, ma anche quelli dell'intero territorio della Repubblica. Annualmente vi sono ricoverate circa novemila persone (compresa la maternità e gli illegittimi): il maggior numero di malati, circa un quarto del totale, è rappresentato da colpiti all'apparato respiratorio; tutti gli altri sono reumatizzati o portatori di febbri infiammatorie.
L'Albergo dei Poveri è descritto come il più grande monumento elevato all'assistenza dei poveri e dei vecchi: è situato in amena posizione, sul colle di Carbonara e vi si accede per un magnifico viale di querce che è anche un comodo ed utile luogo di soggiorno per i ricoverati (circa duemila) che svolgono, per quanto possibile, attività artigiane.
Anche il Manicomio è citato come un moderno stabilimento per il ricovero degli alienati che trovano assistenza in otto padiglioni sistemati a raggiera attorno ad una costruzione centrale.
L'Istituto dei Sordomuti, fondato nel 1801 dall'abbate Ottavio Assarotti, è citato come uno dei migliori ricoveri per la rieducazione dei pazienti ai quali viene insegnato il modo di farsi intendere; inoltre vengono istruiti ai commerci ed all'artigianato.
Viene da ultimo descritto il Conservatorio delle Fieschine (immensa costruzione ultimata nel 1762), capace di ricoverare e mantenere seicento ragazze orfane che sono avviate alle occupazioni domestiche ed all'artigianato: curano particolarmente la fabbricazione dei fiori artificiali.
Queste le notizie più importanti rilevate nella trattazione fatta dal medico inglese nella sua singolare guida turistica.
In sostanza si può affermare che, nel suo insieme, la città non ne esce poi troppo male, specie per quanto riguarda la sua storia: i ragguagli sono abbastanza aderenti alla realtà e dobbiamo riconoscere allo scritto uno stile conciso ed adeguato all'argomento intricato specie per il periodo medioevale.
Le notizie sui Genovesi sono ad un dipresso le solite, ravvivate qua e là da succose considerazioni personali. Più superficiali invece le indicazioni sull'arte e sui monumenti: forse il nostro Autore ha la sensazione di essersi dilungato troppo in fatto di storia e vuol affrontare la conclusione del libro analizzando l'argomento che più gli sta a cuore: il clima ed i suoi pregi. Giusto il rilievo sullo strano comportamento dei venti, coi relativi influssi sulla temperatura e sullo stato delle precipitazioni atmosferiche, ma imprecise e confuse le argomentazioni conseguenti. Manca pertanto la logica conclusione quando è il momento di tirare le somme: ne consegue la enunciazione di concetti che non permettono di stabilire i reali benefici di un clima peraltro universalmente riconosciuto efficace per la sua mitezza.

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