Le cartoline di Renato
(continua)
Monumenti a Vittorio Emanuele II e Camillo Cavour (79)
Il 26 Agosto 1894 furono inaugurati i monumenti a Vittorio Emanuele II e a Camillo Benso di Cavour, con la piena soddisfazione del sindaco Angelo Rainusso che,
attraverso essi, coronava il suo sogno di realizzare una piazza sottratta al mare e costruire la strada litoranea.
Presidente del Comitato per i monumenti era il senatore Giacomo Costa, oriundo di Santa Margherita, avvocato generale erariale e poi Ministro di Grazia e
Giustizia al quale, anni dopo, venne dedicato un monumento per i servigi che aveva riservato in varie occasione alla città dei suoi progenitori.
Col sen. Costa erano presenti personaggi di primo piano come S. E. Boselli in rappresentanza del Re; De Seta, prefetto di Genova; l'on. duca Napoleone Canevaro
e molti altri.
La festa fu grandiosa, anche se solo qualche giorno prima Antonio Giovo, antagonista storico di Rainusso, aveva fatto di tutto per non consentire spese non
sopportabili dal bilancio comunale: cosa che era anche giusta, ma la vera ragione era il dispiacere che provava per il fatto che il suo avversario potesse
fregiarsi, tra luminarie e fuochi d'artificio, di vivere da protagonista una giornata memorabile per la città.
Via (Strada) alla Stazione (78)
Il ponte per raggiungere via Fiume esistevano quando c'era il binario unico, poi fu modificato e ampliato dal 1914 in concomitanza col raddoppio dei binari
(che comportò anche il raddoppio delle varie gallerie, con particolare riguardo a quella di Ruta che costò fatica e qualche morto tra i minatori, provenienti
prevalentemente dalla Sardegna e dall'Isola d’Elba).
[Francesco Piredda]
La foto a destra è posteriore al 1905 perché la vaporiera è già marcata F.S. [Il 1° luglio 1905 nasce l'
Azienda Unitaria delle Ferrovie dello
Stato], la Stazione è senza terzo binario e la linea è a binario unico (con sdoppiamento di servizio per incrocio e manovra).
A sinistra si nota il vialetto di accesso al villone di via Fiume che terminava in corrispondenza dei binari, che dovevano essere attraversati per accedervi da
via Roma. Dovrebbe trattarsi pertanto di un vialetto "tagliato" per la costruzione della ferrovia nel 1867/'68.
Di via Fiume non c'è traccia, quindi dovrebbe essere stata creata da lì a poco col raddoppio ferroviario. Il ponte era già presente, a giudicare dalla
prospettiva "dall’alto" della foto.
Francesco I di Francia (77)
Era il 24 febbraio del 1525 quando Francesco I, re dei francesi, fu battuto dagli spagnoli nella battaglia di Pavia.
Preso prigioniero fu condotto prima a Genova, poi a Portofino, infine alla Cervara dove venne recluso per alcuni giorni prima di essere condotto a Madrid.
E' tradizione tramandata dagli storici locali che "il re fosse posto in una stanza sopra gli scogli quasi perpendicolare al mare situata in un angolo dell'orto
del monastero. Questa stanza, che ancora oggi esiste, si chiama comunemente
la prigione di Francesco I".
Chiesa del Divo Martino (76)
La strada di Portofino terminava originariamente nei pressi della scalinata della chiesa.
Vista dal sagrato
Solo successiva- mente, per consentire la sosta delle automobili che sempre più numerose raggiungevano il borgo, fu realizzata la strada alla destra della chiesa
che porta nella piazza della Libertà.
Lì fu realizzato un posteggio che con gli anni assunse dimensioni sempre maggiori, fino alla realizzazione dell'autosilos.
Nella foto dei primi del '900, un po' mossa, si nota un omnibus col cavallo staccato a cui alcune persone stanno prestando delle cure.
Le banane dell'Impero (75)
La foto ritrae tale Bucchioni, venditore ambulante di frutta che promuoveva la propria merce ricorrendo al patriottismo del tempo e puntando sull'orgoglio per
le colonie italiane che fornivano le banane.
Nel dopoguerra fu protagonista di un gustosissimo episodio. Subito dopo la Liberazione l'unico mezzo per raggiungere Genova, con il ponte di Recco bombardato e
non ancora ripristinato, era costituito da un camion che gli americani avevano messo a disposizione dei civili. Una mattina Bucchioni era seduto sul camion in
attesa di partire, quando vide salire a bordo un baldo giovane che riconobbe e apostrofò come fascista: quel ragazzo non doveva usufruire del camion americano per
cui lo invitò a scendere. Pensava di guadagnare così la stima dei militari americani e il consenso dei concittadini
scese il gelo, poi il ragazzo prese
coraggio e disse tutto d'un fiato «Stai zitto tu, che vendevi le banane dell'impero
»
Gli italiani presenti scoppiarono in una fragorosa risata e gli americani, che fortunatamente non avevano capito quasi nulla, fecero partire il camion.
Chalet Colombo (74)
Un'altra immagine dello Chalet Colombo, il ristorante aperto a fine '800 da Giuseppe Quaquaro, ma questa foto è veramente particolare.
Prima di tutto perché ci dà l'opportunità di capire dove fosse realmente collocato: molto vicino al palazzo della farmacia Rainusso, oggi Internazionale.
Seconda particolarità: in primo piano si vede il ponte a dorso di mulo sul torrente Magistrato, delimitato da ringhiere in ferro.
Musciamme (73)
Nella foto del sammargheritese Magnasco quattro pescatori di Ghiaia mostrano con orgoglio la loro preda: un delfino, del quale veniva utilizzata, a fini
alimentari, solo una minima parte ovvero i filetti che, salati ed essiccati, costituivano una prelibatezza della cucina ligure, il
musciamme.
Il nome sembra derivi dall'espressione
muscio, termine genovese proprio di una persona incontentabile dai gusti difficili, che fa appunto il
muscio, ma che apprezza le cose eccezionali.
Più probabile che la parola derivi dall'arabo
mosammed che indica un alimento secco e duro.
Nel 1989 una legge dello Stato vietò giustamente la pesca
del delfino, mettendo fine a una antichissima tradizione ligure, livornese, sarda e siciliana. Anche se a volte la cronaca porta ancora alla luce un mercato
clandestino del
musciamme che viene venduto a cifre elevatissime.
La Madonna della sedia (72)
La Madonna della sedia, quando ancora era posta all'angolo tra la scalinata del convento e via Manara.
Si può notare a sinistra in basso la statua di Cavour, poi spostata in piazza fratelli Bandiera.
La statua della Madonna era sovente oggetto di atti vandalici, tanto che fu coperta con una rete metallica che però non diede i risultati sperati. Non rimase che
spostarla all'interno della chiesa dove ancora si trova, nel corridoio che porta in sacrestia.
Sulle origini della statua molti hanno scritto e in modi molto contrastanti. Sembra che provenga dalla Cervara, quando l'editto napoleonico ne decretò la
chiusura e la vendita dei beni.
Villa Attilia (71)
Fine anni '50: inaugurazione della Villa Attilia.
Realizzata ad opera del dott. Ettore Alberti, che volle chiamarla così a ricordo del padre Attilio, anch'egli medico.
Gli Alberti sono stati per lunghi anni al servizio della salute dei sammargheritesi, a partire dal 1859, anno in cui il dott Antonio Alberti, padre di Attilio e
nonno di Ettore, proveniente dalla Sardegna dove era nato nel 1835, assunse il ruolo di medico condotto.
Il medico "sardo" si fece subito apprezzare non solo come sanitario, ma anche come amministratore pubblico. Il dott Ettore veniva chiamato
u meghetto,
appellativo che probabilmente era già appartenuto al nonno Antonio, anche lui piccolo di statura.
Nella foto a sinistra la benedizione da parte del vescovo Francesco Marchesani del busto di Attilio Alberti.
Nella foto a destra i medici che operavano a villa Attilia: i dottori Alberti, Inglese, Mangiante e Pennino. Assieme a loro il vescovo Marchesani e a destra
frate Giorgio.
Incidente sul lavoro (70)
Anni '60: durante la demolizione del
Collegio delle Camicie nere per costruire le scuole elementari ci fu un grave incidente. La gru con la palla da
demolizione venne travolta da un grosso muro, causando all'operatore gravissime ferite che lo portarono alla morte.
Sulla destra è visibile la gru pesantemente danneggiata.
L'edificio a destra è la villa sede del Centro Sociale Anziani di via Buonincontri.
Piazza Vittorio Emanuele II (69)
Il sindaco Angelo Rainusso ha raggiunto il suo intento: riempire lo specchio acqueo del vecchio porto e realizzare una nuova piazza.
Dopo tanti rifiuti da parte del demanio marittimo e l'avversità dei proprietari delle case vicine, riuscì a convincere tutti con la necessità di trovare un
luogo idoneo per erigere un monumento al re Vittorio, padre della patria.
Sulla sinistra è ancora presente lo chalet Quaquaro che da lì a poco sarà demolito per ampliare i giardini anche in quella direzione.
Angelo Rainusso fu sindaco di Santa Margherita per sette volte ed era a capo della parte progressista. Suo eterno avversario fu il conservatore Antonio Giovo,
anche lui più volte sindaco, ma mentre quest'ultimo perseguiva il pareggio di bilancio Rainusso proponeva sempre nuove opere, tanto che sulla sua tomba è scritto:
"Trasformò Santa Margherita da piccolo borgo a doviziosa città".
Corso Matteotti (68)
I platani del viale di San Siro. Gli alberi erano così fitti che i ragazzi del tempo riuscivano a percorrere l'intero viale, passando dai rami di un albero
all'altro.
Il viale venne inizialmente intitolato a Umberto I, dopo l'8 settembre 43, con l'avvento della Repubblica di Salò, prese il nome da Ettore Muti componente del
gran consiglio del fascismo e decorato per la guerra di Spagna.
Dal 1945 divenne Corso Giacomo Matteotti.
Il viale venne pensato e realizzato perché i cordaioli avessero uno spazio in cui lavorare e abbandonassero i luoghi centrali dove vi erano continue liti per la
loro invadenza. D'altra parte la fabbricazione delle corde era una attività vitale per l'economia cittadina e l'amministrazione di allora rispose col viale alla
minaccia dei cordaioli di spostare la loro attività in altre località.
[Angelo Brundu]
Per quelli della mia età era
U Stradun
[Marina Marchetti]
I primi che iniziarono a tagliare gli alberi del viale furono i tedeschi, uno si è uno no. Ci legavano i cavalli.
Il confine con Rapallo (67)
Un panorama inusuale che ci fa vedere la facciata meno nota dell'Hotel Helios e dell'annesso stabilimento balneare, interamente su palafitte.
Si tratta probabilmente del secondo stabilimento balneare sorto a Santa Margherita, col nome di
Bagni Porticciolo, l'anno dopo l'inaugurazione dei primi
Bagni Belle vue.
La zona ha un ulteriore interesse perché rappresenta il confine storico tra i comuni di Santa Margherita e Rapallo, confine modificato successivamente con legge
del 1928 portandolo nella posizione attuale.
Il tutto avvenne senza troppe polemiche anche perché all'epoca il regime non lo consentiva.
Madonna della Lettera (66)
In occasione della festa della Madonna della Lettera del 1839 fece visita alla parrocchia Padre Ugo Bassi.
Invitato dal suo amico Canonico Gerolamo Larco nativo di Corte il Barnabita venne il 28 di luglio e fece una di quelle sue prediche tutte affetto e passione,
dettò un inno alla Madonna e se ne partì due giorni dopo, lasciando scolpita la sua immagine nel cuore del popolo.
Partecipò in seguito ai moti rivoluzionari del 1848 e alla repubblica Romana, alla caduta della quale fuggì assieme a Garibaldi e altri verso Venezia, ma cadde
prigioniero degli austriaci che lo fucilarono senza processo.
A N. S. DELLA SACRA LETTERA
Inno del Padre Ugo Bassi
Vergine bella d'acque lontane
Colla procella venisti qui.
Dove ridente siede Messina
Te un prepotente moto rapì.
Colla tempesta nuotasti assai
La faccia onesta volando il mar.
Quando l'aurora, chetato il nembo,
Il cielo indora, e il sole appar,
Coll'onda quieta qui t'appressasti,
E cara e lieta luce ne uscì.
Corse la gente a quella preda,
Il cuore ardente dicea così:
Che è mai quel caro color purpureo
Che per l'amaro flutto sen vien?
E' un bambolino, pieno di grazia,
Gruppo divino, simbol d'amor,
E quella mano stringe un tesoro
Che mai invano non parla al cuor.
Essa è Maria, l'hanno veduta,
Quale alta dia viaggiando in mar.
E' di Messina la gran Signora
E quella lettera non puote errar.
Poi si sentiva di là un lamento
Di gente priva d'alto tesor.
Ma il maggior duolo era un Imago,
Che da quel suolo, nel mar piombò.
Poi come intese che qui è nuotata,
Gioia riprese, si consolò.
Ma è l'Imago di quel tesoro,
Che fece pago dei buoni il cuor.
E i Messinesi un'ambasciata
Mandano accesi di puro amor.
A Lei, di Dio Madre Sovrana,
Con voto pio, dier la città,
E nell'amabile Lettera aulente,
Graziosa, affabile, che quel nome ha,
«Son Maria Vergine» Ella vis scrisse,
«Son quella Vergine, che partorì,
Prendo la destra fede sincera
Di fé maestra sarò ogni dì».
Disse: Non cadde suo santo detto;
Di guerra accadde grave furor.
Il Saracino tenne Sicilia,
Ma il paladino venne Rugger.
Egli a Messina piglia la riva
E già ruina il turco fier.
Ma da quel faro venne il valore,
Che il turco avaro fece perir.
Venne il colera nero e terribile,
Quella bufera tutti ingoiò.
Solo in Messina un non fu tocco,
L'altra ruina qui non entrò.
Già liberata l'isola bella
E consolata torna a fiorir.
O porgitrice di tanta lettera,
O beatrice di tutti i cuor.
Perché venisti a queste spiaggie
E ci rapisti in santo amor,
Questi difendi, siccome quelli,
E questi rendi tuoi detti ognor.
Che dal delitto, scrivi, si guardino,
Tuo onore afflitto fa il peccator
Che il poverello sopra la croce
Non sia rubello sperando ognor
Che il ricco forte non calchi il debole,
L'ore son corte viene il Signor.
A me tu scrivi, Vergine Santa,
Che il faro arrivi puro e fedel
Sotto altri soli canti tue lodi
E dopo voli a te nel ciel
La Statua di Santa Margherita (65)
Nel 1633 la Comunità di Santa Margherita ordinò una statua processionaria in argento della Santa titolare, deliberando per tale opera 500 scudi. La statua
venne realizzata da un artigiano argentiere ma non venne mai pagata tanto che ancora alcuni anni dopo, l'artista esecutore ne reclamava il pagamento. La comunità,
trovandosi al solito a corto di fondi, non sapeva come provvedervi quando il Messere Nicolò Schiattino si offrì di prestare i soldi necessari.
Nicolò Schiattino era un vero personaggio, nato a S. Giacomo di Corte, aveva cominciato giovanissimo a trafficare sulle coste del Mediterraneo e con fortuna e
abilità divenne ricco e potente, tanto che Filippo VI, re di Spagna, lo aveva insignito del titolo di Duca, assegnandogli in feudo ereditario la città di Viddino
in Sicilia. Era tornato poi nella sua patria e desideroso di lasciare fama di sé tra i suoi cittadini si diede a fare opere di beneficenza: acquistando per la
chiesa di San Giacomo una parte dell'attiguo podere per erigervi il coro e regalando una villa ai PP. Agostiniani perché potessero ampliare il convento.
Schiattino sborsò per il pagamento della statua L. 1290 con l'espressa condizione che la
statua sarebbe rimasta in casa sua sino al completo rimborso dell'intera somma, salvo il giorno della festa.
Ora accadde che nell'anno 1648 il 19 luglio, Stefano Cavazza, uno dei massari delle reliquie di Santa Margherita, fu incaricato di recarsi dal M. Nicolò
Schiattino per prendere la statua, Schiattino gliela diede a condizione che la riportasse subito finita la festa o diversamente di portargli i denari a lui
dovuti. Accadde l'imponderabile: il povero Stefano Cavazza improvvisamente si ammalò e morì e la statua rimase in chiesa, e Messer Nicolò non riebbe più né quella
né i denari.
Visto che c'era pericolo di perdere capitale e interessi, pensò di rifarsi almeno di questi, chiudendo, abusivamente sotto la sua casa, un portico prima aperto
al pubblico. Male gliene incolse. Gli agenti si opposero: gli intimarono di riaprirlo; avutone un rifiuto, gli mossero causa davanti al Capitano di Rapallo: e
questi lo condannò a pagare L. 300, così che il suo credito fu ridotto a L. 990.
Nel 1659 gli Agenti della Comunità proposero di cedere alla parrocchia ogni diritto sulla statua, a condizione che la parrocchia si addossasse l'obbligo di
soddisfare lo Schiattino. Ma al 24 di marzo, prima che l'accordo fosse concluso, il Magistrato pronunziò sentenza nella quale, «conoscendo essere dovuta al
M. Nicolò la detta somma di L. 990, ordinava che detto suo credito le fosse distagliato sopra le quattro Comunità della Cappella di Pessino, da pagarsi in tre anni,
in tre uguali paghe» di L. 355.7.8 ciascuna.
Non si acquietarono gli agenti a questa deliberazione anzi sostennero che «da' libri della comunità non apparisce che li agenti di essa habbino mai
deliberato di fabbricare statue d'argento», si rifiutarono di pagare e nominarono un sindaco per proseguire la causa.
Non è dato sapere come si concluse la questione ma è lecito credere che l'accordo già proposto, fosse rinnovato e accettato da tutti
(Tratto dagli annali di A.R. Scarsella)
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