Testata Gazzetta
    Pezzi di storia

I grandi stranieri in Italia – Charles Dickens
di Aldo Sorani

Le Vie d'Italia – aprile 1921

Il 18 marzo 2023 la Gazzetta ha pubblicato l'articolo "Pictures from Italy (Impressioni d'Italia) di Charles Dickens.

Commemorando, in questi ultimi tempi, il cinquantenario dalla morte di Charles Dickens, i critici inglesi hanno fatto la lieta constatazione che il grande scrittore ritratto non è morto. Alla sua vena fluente, opulenta e iridata continuano ancora ad abbeverarsi centinaia di migliaia di lettori non solo in patria, ma in tutti i paesi. Il suo spirito alacre, acuto e fosforescente non è stato spento dai fantastici e rumorosi fuochi d'artificio delle ultime scuole e delle ultime mode letterarie. La sua religione si conserva intera ed appassionata e i suoi fedeli accorrono attorno agli idoli tipici ch'egli ha loro fornito, con una simpatia sempre fervida e una commozione che nessun evento ha affievolito e si rinnova quotidianamente. Dickens è dunque vivo, vivo in sé medesimo e nei suoi personaggi ed anche nelle sue battaglie come nelle sue favole, poiché molti dei problemi sociali e morali ch'egli ha imposti ancora rimangono da risolvere, anche se la guerra ha scompaginato ed in parte distrutto la società da cui egli ha tratto le figure, le immagini, le impressioni che lo hanno reso immortale.
Questa riconstatata vitalità del Dickens ci fa sovvenire ch'egli ci fu amico in un periodo forse difficile della sua vita e della nostra, soprattutto negli anni, quando egli era già celebre, ma ancora era costretto, per vivere, a cercare nuove fonti di studio e nuove esperienze, e l'Italia era ancora divisa in dieci parti, percorsa da lampi albeggianti, ma povera e spoglia, agli inizi appena della sua rivoluzione e della sua evoluzione unitaria e nazionale. Dickens fu nostro ospite nel 1044-45 e nelle sue Pictures from Italy, formate di corrispondenze, che videro per la maggior parte la luce nel Daily News, egli ritrasse le impressioni di quell'Italia d'allora, tanto diversa da quella di oggi e la ritrasse a suo modo e secondo il suo temperamento, non soffermandosi di proposito in delucidazioni estetizzanti, non dilungandosi in elucubrazioni politiche, ma divertendosi un mondo a cogliere gli aspetti pittoreschi, le scene e le cerimonie popolari, i tipi caratteristici degli uomini e dei paesi, con una verve non mai rattristata dalle condizioni sociali ed economiche d'un popolo che non aveva, si può dire, un presente, ma solo un passato, e non cedendo alle facili lusinghe letterarie o moraliste dei soliti viaggiatori pei quali il «viaggio in Italia» era un modo di ripetere a sazietà gli imparaticci accademici dei panegiristi.
Bisogna, anzi, dir subito che il Dickens giunse in Italia dalla Francia serbando una gran nostalgia del suo paese, una nostalgia che il sole e il verde della nostra terra non bandirono mai dal suo cuore ed in cui egli volle di proposito cullarsi lavorando tra noi a quei suoi Racconti, di Natale che gli facevano presenti, anche nella radiosa atmosfera del cielo e del mare d'Italia, i cieli nebbiosi della patria per poco abbandonata.

Bagnarello Villa Bagnarello al Lido d'Albaro

La sua prima e più lunga sosta fra noi egli la fece sul Lido d'Albaro nella villa Bagnarello (nome poetico, ma appartenente ad un macellaio! egli ha cura di avvertirci), dove scrisse la novella The Chimes [Le campane], e poi a Genova, nel palazzo delle Peschiere, la cui sontuosità doveva sedurlo in modo eccezionale, come quella di un palazzo incantato.
Al paesaggio insolito, vario e colorito, non si assuefece subito e non sentì, al vederlo la prima volta, neppure una sorpresa violenta; ma lo impressionò prima la vista del popolo. La mimica dei genovesi, e degli italiani in genere, paragonata alla flemma britannica, gli ispirò subito le prime note umoristiche. Il popolo era eccezionalmente animato e pantomimico tanto che «due popolani amici che parlino tra loro per la strada sembra sempre che stiano per tirarsi delle coltellate a vicenda». Dickens non si lascia vincere, neppure da principio, dal sentimento e dal sentimentalismo. Può commuovere, ma non si commuove mai e gli interessa il quadro d'insieme quanto il particolare, ma pur che il quadro e il particolare siano vita, formino o suggeriscano delle scene, e non delle idee e dei ricordi. Così la bellezza di Genova, del suo mare, del suo porto, dei suoi palazzi, delle sue chiese, dei suoi teatri, lo trovano pieno di simpatia, ma non di retorica ed egli non compulsa volumi ponderosi e non intraprende alcuna educazione estetica per imbarcarsi pel viaggio d'Italia dopo il soggiorno genovese. Imbarcarsi sulle solite corriere e per i soliti casi dei lunghi viaggi che sono spesso tenzoni singolari con i vetturini e i pellegrini, e con le incomodità degli alberghi.

Peschiere Genova: Palazzo delle Peschiere

A proposito di alberghi, non sembra che Dickens abbia davvero avuto motivo di compiacersi di quelli del 1844. «Non mi so spiegare - egli scrive - perché il primo ramaio di ogni città italiana abbia immancabilmente la sua bottega accanto all'albergo o di fronte, di modo che il battere dei martelli faccia provare al viaggiatore la stessa impressione che sentirebbe se il cuore gli battesse nel petto sino a scoppiare. Non mi so spiegare perché le camere siano circondate da ogni lato da corridoi gelosi i quali ingombrano le pareti di usci superflui, che non si possono chiudere, che non si riescono ad aprire e al di là dei quali regna la più profonda oscurità. Non mi so spiegare perché - quasi non bastasse che questa specie di geni poco rassicuranti perseguitino in sogno il viaggiatore - ci debbano anche essere, su in alto nel muro, finestrini rotondi, aperti, i quali, quando si sente qualche topo far rumore dietro il tavolato, insinuano il sospetto che qualcuno, tentando di arrampicarsi ad uno di questi finestrini per guardar dentro, raspi il muro con le dita dei piedi. Non mi so spiegare perché le fascine delle legna siano fatte in modo da produrre immancabilmente uno di questi effetti: un caldo insopportabile quando sono accese e non sono ancora consumate, ed un fumo ed un freddo intollerabili in ogni altro stadio della combustione. Non so soprattutto perché la caratteristica principale dell'architettura domestica degli alberghi italiani sia che tutto il calore se ne vada per il camino e il fumo rimanga giù».

Tritone Roma: Piazza del Tritone – L'inglese ingannato dagli antiquari
(Da una stampa dell'epoca – Coll. Dr. Bertarelli)

Ma Dickens non è un turista stizzoso, schifiltoso e permaloso e la prima faccia sorridente che vede, sia pur la faccia di una persona di servizio, gli fa dimenticare tutti questi inconvenienti. A Mantova, all'albergo del'Leon d'Oro, egli non sa resistere alla tentazione di accogliere i servizi di un caratteristico cicerone che vuole per forza accompagnarlo a visitare le meraviglie della città. E' una macchietta. «Me ne stavo nella mia stanza concretando progetti col bravo corriere, quando sentii battere un colpettino modesto alla porta che dava su un loggiato aperto, costruito attorno ad un cortile; e subito dopo vidi affacciarsi un omino vestito miseramente, il quale domandò se il signore desiderava un cicerone per visitare la città. La faccia che appariva nello spazio lasciato dall'uscio socchiuso rivelava tale ansietà e tale desiderio e c'era tanta miseria nel suo vestito, nel cappello meschino e nel guanto di maglia spelacchiato con cui teneva in mano il cappello stesso - la qual miseria non appariva meno evidente sebbene quello fosse indubbiamente il vestito migliore che avesse e l'avesse indossato lì per lì per la circostanza - che a rifiutare l'offerta mi sarebbe sembrato di commettere una colpa altrettanto grave che se avessi pestato il povero diavolo sotto i piedi. Mentre finivo la discussione interrotta, egli se ne stette, tutto raggiante di gioia, in un angolo, fingendo di spazzolare il mio cappello con la manica della sua giacca. Neanche se il suo compenso fosse stato di tanti napoleoni quanti franchi era, la miseria del suo abito avrebbe potuto esser rischiarata di un raggio di sole tale quale era quello che traspariva da tutta la sua persona, ora che egli era stato accettato…». E a Bologna sorride ad un arguto cameriere che a tutti gli inglesi, per ingraziarseli, parlava di Lord Byron, senza averlo mai visto né conosciuto, raccontandone le meravigliose gesta… Egli ha un cuore aperto ed accogliente e fa aperti ed accoglienti le città e le cittadine che vede, anche se gli sembrano troppo deserte e malinconiche, troppo polverose o troppo erbose e troppo piene di accattoni e di sudiciume. Vecchie città italiane, come Parma, Piacenza, Modena, gli sembrano tuttavia presentare lo stesso aspetto di monotona inerzia, esser centri dello stesso sistema torpido e indolente, - sono parole sue - pascoli magri d'uomini, di bambini, d'animali, come Piacenza, «piena di fortificazioni diroccate, di trincee ingombre a metà di macerie e di terra» per le cui vie si incontrano qua e là, quasi colpiti dalla duplice maledizione della miseria e dell'ozio, i soldati più malvestiti e d'aspetto più pigro che sia dato vedere». Parma «per essere una città italiana ha le vie allegre e rumorose, e per conseguenza non ha un aspetto così caratteristico». Bologna «ha un non so che di grave e di dotto ed è immersa in un'ombra così piacevole che basterebbero queste due cose a farcela ricordare anche se essa non venisse impressa maggiormente nella memoria del viaggiatore, dalle due torri pendenti di mattoni (ciascuna delle quali è di per sé abbastanza sgraziata, a onore del vero) che sono inclinate per traverso come se si inchinassero rigidamente l'una all'altra e che terminano in un modo veramente straordinario la prospettiva di alcune delle vie più strette».

bufali Bufali nella campagna romana
(Da una stampa di A.J. Strutt del 1843 – Coll. Dr. A. Bertarelli)

La vecchia Ferrara e è ancor più solitaria, più spopolata, più abbandonata di qualsiasi altra città del solenne consorzio. L'erba cresce così folta nelle strade silenziose che chiunque potrebbe approfittare dell'occasione per fare il fieno senza attenderne altra migliore. Ma il sole appare meno gaio che altrove nella tetra Ferrara e per le vie e per le piazze passa così poca gente che ci sarebbe da credere che la carne dei suoi abitanti fosse veramente erba e crescesse nelle piazze». A Verona lo incanta la piazza del Mercato, lo seducono i palazzi antichi, le porte romane, l'anfiteatro e, naturalmente, la casa di Giulietta. Avrebbe potuto seguitare a girare per Verona, «fino ad oggi» e non si sarebbe annoiato! E naturalmente scongiurò l'incubo dell'albergo rileggendo Romeo e Giulietta, cosa che - osserva - nessun inglese aveva mai fatta prima di lui! Mantova gli parve la città avita naturale del farmacista magro che Shakespeare fa apparire nel quinto atto di Romeo e Giulietta, «che la miseria aveva ridotto come uno scheletro». «Il farmacista magro e Mantova erano proprio destinati l'uno all'altro. Forse allora essa poteva essere un po' più animata, nel quale caso il farmacista era uomo che precorreva il suo tempo e sapeva ciò che sarebbe stata Mantova nel 1844. Egli faceva molti digiuni e ciò lo aiutava nelle sue previsioni». «Milano… in quanto a Milano, è una bella città sebbene l'aspetto suo non sia indubbiamente italiano da possedere le qualità caratteristiche di molte città». A Milano non lo entusiasma neppure il Cenacolo di Leonardo, meraviglioso, ma che gli sembra troppo deturpato dai restauri. Pisa gli sembra, a causa del campanile, che lo soddisfa, la settima meraviglia del mondo, ma «essa può aspirare ragionevolmente al diritto di essere almeno la seconda o la terza a cagione dei suoi poveri». Gli accattoni sono la croce e la delizia del Dickens in Italia. Li trova dappertutto, a Radicofani come a Roma, a Genova come a Pisa e a Napoli. Istituzione veramente nazionale, non estirpata ancora!

Foro La festa dei fochetti al Foro
(Da una stampa dell'epoca – Coll. Dr. A. Bertarelli)

Ma non bisogna credere, da questi spunti che colgo nelle Pictures from Italy, che Dickens non vedesse che brutto, tetro e affumicato. Le sue pagine italiane hanno invece una giocondità, un humour, una aperta simpatia per gli spettacoli e le cose che non è possibile rendere o riferire con gli accenni e i riferimenti suoi senza andar troppo per le lunghe. Ricordiamoci che egli tace di proposito i panegirici alla bellezza, alla antichità, alla classicità per attaccarsi al costume, all'episodio, alla curiosità e quando dice, ad esempio, che si parla di Livorno come di un «covo di accoltellatori» non vuol fare affatto un moralizzante processo all'Italia del 1844, né lanciare un'ingiuria grossolana che non entrerebbe mai nella sua bocca e nel suo temperamento di placida bonarietà. E quando parla di Ronciglione, della Ronciglione del 1844, ricordiamocelo, come di un «ampio porcile» è probabile che fosse alquanto nel vero…
Roma appare al Dickens immensa, sperduta nel grande cimitero della sua campagna, come somigliante alla distesa enorme di Londra e a Roma lo sorprendiamo nel suo vivo gusto per il costume e l'episodio.
Sulla Trinità dei Monti gli sembra trovare vecchie conoscenze. Gente veduta in tutti i quadri di tutte le gallerie. I tipi che tutti i pittori hanno dipinti. Nelle gallerie, nelle chiese, nei musei, nelle cappelle, le figurazioni sproporzionate, le lineature illogiche lo invitano alla sincerità non dispregiativa, ma non ammirante. Ma egli confessa di non aver conoscenze tecniche ed estetiche in fatto di scultura e di pittura. Non cerca che la verosimiglianza e la perfezione in confronto con la natura. Egli vuol riconoscere ed ammirare soltanto ciò che gli par naturale e vero e non sa risolversi a lasciare il suo senso comune, come le sue scarpe fuori di una moschea, se viaggiasse in oriente. Il Canova, perciò, lo empie d'ammirazione, ma non può soffrire il Bernini. Gli resta impressa infinitamente la dolce bellezza di Beatrice Cenci, ritratta da Guido Reni, che ha per lui un fascino singolare indimenticabile, ma trascura di parlare dei meravigliosi mille capolavori che le chiese, i musei, i palazzi di Roma offrono alla sua vista.
E tuttavia egli non è cieco alla bellezza, anche a quella tradizionalmente consacrata e celebrata. Ma sia nelle sue corrispondenze pubbliche, sia nelle lettere private è raro che il suo entusiasmo si faccia lirico. Come non potrebbe conquistarlo la divina bellezza di Venezia, di Firenze o di Napoli? Venezia – come scrive all'amico Forster – gli pare superiore a ogni descrizione scritta o parlata. «Le visioni delle notti arabe sono niente in confronto della Piazza San Marco e della prima impressione che produce l'interno della chiesa. La splendida e meravigliosa realtà di Venezia supera la fantasia del più immaginoso sognatore. Tutto ciò che io ho ascoltato o letto o immaginato resta indietro di mille miglia lontano». E' già troppo per uno spirito come quello del Dickens e non si può da lui pretendere di più. In Italia egli trova, certo, soltanto quello che è più facile trovare, quello che risalta più agli occhi e colpisce di più l'immaginazione.

Bologna La Certosa di Bologna
(da una stampa del 1840)

Non scende mai al profondo delle cose materiali o morali e tanto meno politiche o religiose. Gli basta di cogliere degli aspetti e sintetizzarli e colorirli e accusarne il lato comico o per lo meno singolare ai suoi lettori. E' inutile dire che l'Italia ha trovato amanti più fervidi, descrittori più penetranti, analizzatori più sottili di lui, ma Dickens non è un turista di professione né uno scrittore di viaggi, ed egli, nell'Italia del 1840, trova precisamente quello che è venuto a cercarvi: degli usi e dei costumi singolari, soprattutto, da illustrare senza preoccupazione di metodo o di erudizione. Egli sa, ad esempio, benissimo - e infatti lo dice - che in Italia, ogni chiesa, ogni monumento, ogni opera d'arte potrebbe agevolmente essere seppellita sotto il cumulo di libri e di opuscoli che vi sono stati scritti intorno e non vuol quindi aggiungere troppo di suo al cumulo soffocatore. Non .chiediamogli più di quello che è venuto a chiedere egli stesso, o che egli ha voluto darci e non rileggiamo oggi le sue Pictures from Italy con viso troppo arcigno e con intenzione troppo critica. Se ci ha talvolta giudicati male, o meglio se ha giudicato male i nostri concittadini di allora, perdoniamolo; se non ha veduto in Italia quello che ci sarebbe stato di più importante e significativo da vedere, siamogli grati di averci descritto magistralmente costumanze ormai oltrepassate che troviamo in lui, piacevoli, vivaci, caratteristiche e ricordiamoci, infine, ch'egli si immagina i suoi lettori tutti lieti, sorridenti, raggianti, simpaticissimi. Ecco infatti il ritratto ideale ch'egli faceva dei suoi lettori: colorito chiaro; occhi, molto allegri; naso, non arrogante; bocca sorridente; espressione del viso, raggiante; aspetto generale, simpaticissimo. No, in verità, il viaggio in Italia non deve aver molto rattristato l'autore del David Copperfield ed ha forse aggiunto più d'un colore alla sua tavolozza, e più d'una corda alla lira del suo sentimento.

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